giovedì 18 gennaio 2018

Le forti similitudini fra le antiche filosofie, riprendendo le teorie del "non fare" legate alle pratiche zen

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“L’inoperosità e l’indolenza sono modi di trovare tempo, o di fare tempo; per questo il ritrarsi dal flusso della vita quotidiana è un modo di occuparsi dell’eterno, e di essere da esso occupati o posseduti. La costanza, il dolore, la letargia e la solitudine non significano soltanto un rallentamento delle cose o un loro protrarsi nel tempo; essi vengono anche a significare modi di fare esperienza dell’essenza senex di Crono-Kronos, dove il tempo è una qualità che rasenta l’infinito (la fedeltà dell’amicizia, il ritorno delle stagioni, la prolungata afflizione del lutto), senza processi o alterazioni di sorta, una condizione dell’essere dove il divenire è stato stipato al massimo. E’ in questo senso che si può parlare di una temporalità peculiare della coscienza senex, che struttura la sua visione in termini di cronicità. Essa scruta l’eterno, giacché è ciò che dura più a lungo; e il suo giudizio viene riconosciuto per veritiero se risponde a requisiti di durata, e non se risveglia l’intuizione, se commuove il cuore, o se è apportatore di bellezza. La bellezza stessa viene definita in base a canoni inalterabili di forma o significato - le verità eterne - mentre la prova d’amore non è l’ardore, ma la costanza”
(James Hillman: “Trame perdute”, Cortina, Milano 1985).

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