domenica 20 agosto 2017

Un tempo lontano erano i sacerdoti ad essere castrati, noi ricordiamo gli evirati cantori

Massimo Centini
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"QUI SI CASTRANO RAGAZZI A BUON MERCATO"

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Dal punto di vista esclusivamente tecnico, nella storia della musica, con castrato si indica un cantante adulto di sesso maschile che, seguendo un uso invalso fino alla fine del XIX secolo, aveva subito la castrazione prima della pubertà e di conseguenza possedeva capacità vocale eccezionale determinata dalla mancata produzione di ormoni sessuali. Il castrato era quindi il risultato di un'operazione barbarica, effettuata per la formazione di cantanti con voce che avesse un'estensione molto ampia, talvolta di tre ottave, coprendo così i registri di soprano, contralto, tenore e in alcuni casi anche del basso. La crudele pratica della castrazione dei bambini aveva quindi lo scopo di creare cantori con voci angeliche che si mantenessero tali nel tempo: l'origine è orientale, ma si diffuse ampiamente in Europa a partire dal XVI secolo, divenendo un espediente comune, se pur non consentito dalla legge. Di certo non fu perseguito con forza, almeno fino all'Ottocento. Secondo una diffusa convinzione, i castrati erano "fondamentali" per svolgere le parti riservate alle donne, alle quali era vietato cantare nelle chiese: gli uomini con voce femminile ebbero quindi il ruolo vocale di "donna" nelle composizioni polifoniche poiché possedevano il registro corrispondente.

Gli studiosi che si sono occupati dell'argomento (1), pongono in evidenza che a sostenere la diffusione dell'assurda pratica della castrazione, contribuì il grande successo incontrato dagli "evirati cantori" (2), sia tra il pubblico che tra i compositori. Molti autori della musica barocca, scrissero opere in cui era espressamente previsto l'intervento di castrati. Di fatto è impossibile immaginare la vita culturale del XVII-XVIII secolo senza la presenza di cantanti con tali peculiarità: erano parte integrante della musica di quel tempo. II virtuosismo dei castrati fu per il melodramma un apporto di grande rilevanza, determinando una notevole condizionante por gli sviluppi vocali e strumentali. A spegnere la "passione" per i cantori evirati non fu, paradossalmente, il prevalere dell'etica, ma il cambiamento del gusto musicale che il Romanticismo spinse verso altre direzioni sonore ed estetiche, accentuando, in particolare, la netta contrapposizione tra i caratteri maschili e femminili. Per fortuna, verrebbe da dire, cambiarono i gusti, così finalmente fu chiuso uno dei periodi più oscuri della storia della bellezza. Una bellezza che ebbe bisogno di rovinare la vita a numerosi uomini, costretti a restare bambini nella voce e a trascinarsi appresso per il resto delle loro esistenze il pesante giogo di un'alterità molto condizionante sul piano sociale e affettivo.

Con la castrazione si determinava un arresto dello sviluppo del bambino, che giunto alla pubertà non poteva sviluppare gli ormoni maschili, tra i quali il più importante è il testosterone. In questo modo si producevano alcune alterazioni, che coinvolgevano lo sviluppo osseo e quello della laringe; al soggetto che subiva tale menomazione veniva quindi negata la possibilità di procreare, determinando anche cambiamenti di un certo rilievo nell'aspetto fisico e nell'orientamento psicologico, correlati allo squilibrio ormonale, ma anche culturale che contrassegnava il castrato. Giunto all'età in cui dovrebbero manifestarsi le modificazioni somatiche caratteristiche nel soggetto maschile, il castrato tendeva a mantenere un aspetto "infantile", misure ridotte dell'apparto genitale, sviluppo muscolare scarso, accumulo di grasso e statura tendente a essere elevata a seguito della mancata saldatura delle cartilagini di accrescimento. La laringe manteneva dimensioni ridotte, con conseguente voce acuta. La funzione sessuale non si stabiliva, non appariva la libido. Se ciò avveniva dopo la pubertà, le manifestazioni erano meno vistose e l'attività sessuale poteva ancora aver luogo, pur mancando la spermatogenesi. I castrati erano definiti "soprani naturali", quelli che avevano la voce femminile a seguito della loro condizione fisica, contrapponendosi quindi ai "soprani artificiali", cioè uomini che cantavano in falsetto.

La castrazione - sulla cui etimologia vi sono pareri diversi - è documentata fin dall'antichità e applicata con varie finalità: negli animali per l'addomesticamento, negli esseri umani a fini punitivi e rituali. Per quanto riguarda l'ambito musicale, le prime informazioni risalgono all'impero bizantino: in quella cultura erano infatti attivi cantanti eunuchi (3), anche se la pratica della castrazione a fini canori era già effettuata in altre aree e probabilmente da tempi più antichi. 
La primitiva tecnica della castrazione giunse in Italia in circostanze che non sono chiare: probabilmente proveniva dalla Spagna, dove il dominio arabo aveva diffuso gli eunuchi. È documentato infatti che i primi castrati attivi in Italia furono spagnoli; la moda comunque si estese rapidamente: negli ultimi tre lustri del XVI secolo, numerosi sovrani europei annoveravano nei cori delle loro cappelle di corte, cantanti castrati. Anche la Santa Sede non fu da meno: papa Sisto V nel progetto di riorganizzazione del coro di San Pietro, previde anche l'inserimento di cantanti castrati quando ancora erano fanciulli. Nei decenni successivi, Clemente VIII autorizzò la castrazione unicamente "ad honorem Dei". Nella nostra Penisola raggiunse il culmine nel XVIII. All'origine di tutto quel versetto di san Paolo: "Mulieres in Ecclesiis taceant" (4), cioè le donna in chiesa non dovevano cantare, lasciando che il loro ruolo fosse assolto dagli eunuchi "i quali furono resi tali dagli uomini" (5).





Tra necessità di carattere etico-religioso e piacere del bel canto, il numero dei fanciulli sottoposti alla menomazione andò via via crescendo tanto che, nel XVII secolo, Pietro della Valle elogiava la vocalità di questi singolari cantanti, ponendo in evidenza, nel "Della musica dell'età nostra che non è punto inferiore, anzi è migliore di quella dell'età passata" (1640), che al suo tempo "di soprani naturali de' castrati ora abbiamo in tanta abbondanza". E così, in breve tempo, alcuni divennero dei veri e propri divi; come già indicato, il loro successo fu parallelo a quello del melodramma che andava diffondendosi in Europa. Non va però dimenticato che solo i più "fortunati" tra i fanciulli castrati ebbero modo di calcare scene famose ed esibirsi davanti a sovrani e pontefici; una gran parte cantava tutta la vita in cappelle ecclesiastiche dedicandosi anche all'insegnamento, molti però non furono in grado di intraprendere la carriera musicale professionale e furono costretti a svolgere occupazioni di altro tipo, spesso marginali. A decidere il futuro canoro di un bambino erano spesso i genitori, che intravedevano in quella carriera una garanzia di benessere per il loro figlio. In qualche caso la decisione era sorretta dal parere professionale di qualcuno che aveva ascoltato il piccolo cantore in un coro di voci bianche. Globalmente i castrati provenivano da famiglie molto semplici, spesso poverissime.

Nel Traité des eunuques (1707) di Charles Ancillon, l'orchiectomia è variabilmente descritta: la pratica meno cruenta prevedeva l'uso di tenaglie con i bordi arrotondanti per interrompere il canale spermatico e bloccare l'afflusso di sangue ai testicoli, così che si atrofizzassero. La rimozione dei testicoli richiedeva che il piccolo paziente fosse drogato con laudano e messo in un bagno molto caldo. Si esercitava quindi una forte pressione ai lati del collo, sulla arteria che consentiva l'afflusso di sangue al cervello: in questo modo si determinava una perdita di conoscenza limitata, che permetteva al chirurgo di intervenire attraverso un'incisione nell'inguine. L'operazione era condotta da professionisti spesso in concorrenza tra loro. Emblematico il cartello-insegna presente su un negozio di Napoli nel XVIII secolo: "Qui si castrano ragazzi a buon mercato". Comunque erano numerosi quelli che morivano a seguito delle complicanze determinate dalla scarsa igiene che caratterizzava questi interventi chirurgici, praticati spesso in condizioni primitive. Sempre borderline tra divieto e tolleranza, la castrazione dei bambini era spesso mascherata e indicata come l'effetto traumatico determinato dal morso di un animale, o altro grave incidente invalidante.

Per essere ammessi a quella particolare carriera canora, i fanciulli dovevano avere meno di sette anni, non essere affetti da malattie infettive ed essere battezzati. Dopo il loro ingresso nelle scuole di canto, i giovani castrati erano sottoponi i a un addestramento molto severo che prevedeva naturalmente l'educazione canora in molte delle sue forme, lo studio della teoria musicale, delle lettere, della composizione, dell'esercizio agli strumenti, in genere il clavicembalo.
Correva voce, tra ufficialità e ufficiosità, che alcuni piccoli avessero espresso il desiderio di farsi castrare per poter così coronare il loro sogno musicale. Qualunque fossero le motivazioni che indussero i bambini a diventare evirati cantori, risulta comunque evidente la problematicità della loro esistenza futura, contrassegnata da un'anomalia destinata a segnarli non solo nel fisico, ma anche profondamente nella psiche. Spesso furono costretti a spostarsi continuamente per lavorare: da Napoli a Bologna, da Firenze a Venezia, ma fu soprattutto Roma la "piazza" migliore. Si stima che, all'inizio del XVIII secolo, circa quattromila ragazzi fossero stati castrati per essere indirizzati all'arte del bel canto ma solo alcuni ebbero modo di esibirsi davanti a folle in delirio. La bravura di questi fenomeni canori era totalmente determinata dalle performance vocali: a dominare il virtuosismo del canto, mentre sul piano scenico ebbero scarsissimi riconoscimenti, poiché considerati pessimi attori e cantanti privi d'anima.

Ma come già indicato, solo ad una piccola percentuale toccarono gli onori di un Farinelli o di un Velluti, gli altri dovevano accontentarsi di scritture mediocri, alcuni scelsero la vita ecclesiastica. Qualcuno era costretto a scendere molto in basso; a Roma, all'inizio del XVIII secolo, vi era un bordello nel quale si prostituivano gli evirati. Amati soprattutto per il fascino ambiguo che li circondava, i castrati ebbero stuoli di estimatori (non solo per il canto), costituiti sia da donne che da uomini. La loro vita era segnata dalla violenza e dal denaro, dall'erotismo e dalla trasgressione: aspetti che lasciano trasparire analogie tra i castrati e le odierne star della musica rock. L'immaginario popolare accomunava i castrati agli angeli: significativamente Alessandro Moreschi era conosciuto come l'Angelo di Roma.

Anche i papi ebbero molto a cuore la sorte di quei bambini cresciuti dalla voce angelica. Non è possibile sapere se corrisponda al vero o se sia frutto della mitologia l'affermazione "Si castri meglio", rivolta da Innocenzo XI a un evirato che chiese la dispensa dal celibato per potersi sposare! Nel 1878, papa Leone XIII proibì l'ingaggio di cantanti castrati da parte della Chiesa, anche se il loro impiego nella Cappella Sistina continuò ancora per qualche anno. Nel 1861, con l'Unità d'Italia, la castrazione venne ufficialmente dichiarata illegale. Bisognerà attendere il 1903, quando Pio X, con Motu proprio sulla musica sacra, scrisse la parola fine sulla castrazione a fini canori. L'epoca della barbarie perpetrata per secoli sui bambini con la voce degli angeli era finalmente finita.



NOTE

1) P. Barbier, Gli evirati cantori, Milano 1991, cfr. la bibliografìa contenuta in questo volume; A. Heriot, I castrati nel teatro d'opera, Milano 1962; M.F. Bukofzer, La musica barocca, Milano 1982; R. Celletti, Storia del belcanto, Firenze 1986; R. Strohm, L'Opera italiana nel Settecento, Venezia 1991; A. La Bella, I castrati di Dio. Storia degli evirati cantori: dal Sinesino al Farinelli, dal Caffarelli al Velluti, Valentano 1995; S. Cappelletto, La voce perduta. Vita di Farinelli evirato cantore, Torino 1995; L. Scarlini, Lustrini per il regno dei cieli. Ritratti di evirati cantori, Torino 2008.

2) È importante un piccolo chiarimento etimologico. Spesso nei testi che fanno riferimento ai cantanti castrati si usa indifferentemente il termine castrato ed evirato: non è un errore, ma è importante ricordare che con evirazione si definisce l'asportazione degli organi della virilità, quindi pene e/o testicoli. Mentre la castrazione corrisponde all'asportazione delle gonadi, cioè dei testicoli nei maschi e delle ovaie nelle
femmine.

3) "Le notazioni bizantine e le scarse cronache confermano che il numero dei cantori castrati, soprattutto monaci, doveva essere elevato, perché proprio quelle notazioni richiedevano registri vocali e fioriture che potevano essere eseguiti solo dai castrati", P. O. Scholz, L'eros castrato. Storia culturale degli eunuchi, Genova 2000, pagg . 224-225

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