martedì 7 marzo 2017

Il nipote di bakunin insegnava all'università di Napoli matematica

Caccioppoli, la malinconia del genio
Lo storico dell’architettura Renato De Fusco racconta la vita del grande matematico Renato Caccioppoli, suicida a palazzo Cellamare nel 1959. Diede tutto se stesso all’arte, alla scienza, ai suoi studenti universitari e alla politica
di RENATO FUSCO

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Renato Caccioppoli 
Di quello strano personaggio che s'incontrava per via Chiaia, nei pressi del palazzo Cellamare dove abitava, o in via dei Mille, via Alabardieri, vico Cavallerizza, vico Belledonne, insomma raramente oltre il quartiere, molti ritenevano di sapere tutto, così come accade per le immagini autoespressive. Ed infatti, quell'uomo di mezza età, magrissimo, sempre avvolto in un impermeabilino chiaro, dai tratti somatici esotici, la folta capigliatura e l'immancabile ciuffo di capelli sulla fronte, riusciva alla sola apparenza a significare una icona inconsueta e in pari tempo familiare. SI trattava del professore Renato Caccioppoli, genio della matematica, nipote dell'anarchico Bakunin, esule a Napoli nel 1865, padre di Giulia Sofia che, sposa di Giuseppe Caccioppoli, uno dei più illustri chirurghi della città, aveva generato il nostro personaggio.

Nato a Napoli nel 1904, laureatosi nel '26, nel '31 cattedratico di analisi matematica all'Università di Padova, nel '34 ritornò a Napoli dove si fermò per tutta la vita, facendo ricerche che lo portarono alle soglie del Nobel. Nonché eminente matematico, Caccioppoli fu grande musicista, fiancheggiatore del Pci, in quegli anni alle prese col Patto Atlantico e sostenitore di un pacifismo a oltranza.

Ermanno Rea attribuisce a Maurizio Valenzi questa frase: "Senza la Nato saremmo finiti in braccio a Stalin e sa Iddio che cosa avrebbe fatto di noi, innanzitutto di noi comunisti con il tic della democrazia "[E. Rea, Mistero napoletano, Einaudi, pp.64-65]. Qualche anno prima dei suoi più evidenti gesti politici, Caccioppoli sposò nel 1939 Sara Mancuso e il loro matrimonio durò circa un decennio fino all'abbandono di Sara per accompagnarsi a Mario Alicata.

Ma, a conferma della loro intesa è l'episodio che ebbe luogo nella birreria Löwenbrau, della quale oggi non c'è purtroppo alcuna traccia. Ubicata presso il Grand Hotel de Londres vicino al teatro Mercadante. L'ottima cucina, il piacere della compagnia, la discrezione che avvolgeva tanto il servizio quanto il consumo trovavano legame con il piccolo suonatore di harmonium, don Salvatore Starace, capace di eseguire ogni genere di musica.

Si racconta che una sera del 1938 Caccioppoli e Sara entrarono in questo locale e si scontrarono con un gruppo di camicie nere che, con fare sprezzante verso il pubblico in sala, presero a cantare l'inno Giovinezza. Al che la coppia, costringendo il povero musicista all'accompagnamento, intonò la Marsigliese. Ne venne fuori un parapiglia che costò a Caccioppoli l'arresto e l'inizio di quella sorveglianza speciale della polizia come usava allora coi pazzi e i dissidenti. Né le cose andarono molto meglio per il professore negli anni della democrazia, quando in alcuni comizi si espresse contro il generale Ridgway, pezzo grosso della Nato.

Normalmente la giornata di Caccioppoli si concludeva con una visita ai giornalisti de "La voce" e dell'"Unità" all'Angiporto della Galleria. Ivi incontrava Renzo Lapiccirella, Francesca Spada, Fausto De Luca, Ruggero Guarini, Franco Prattico, Gianni Di Giovanni, Francesco Pistoiese e qualche simpatizzante di rincalzo come Michele Coppola, Vincenzo Montefusco, i fratelli Greco, Ornella Marzoli. Poi tutti a cena nell'osteria "Acin 'e pepe" ai quartieri spagnoli oppure nella trattoria Moccia nel quartiere Chiaia, quindi a casa di Caccioppoli dove lui e Francesca si mettevano a suonare a quattro mani: pezzi per lo più dannatamente romantici. La presenza di Renato Caccioppoli in un libro che riguarda soprattutto le arti è motivata anche dalla sua passione per il cinema.

Ogni domenica mattina centinaia di napoletani andavano a compiere una specie di rito purificatorio, tra discussioni e dibattiti, al Circolo del cinema. "Le proiezioni venivano presentate generalmente da Renato Caccioppoli, oratore stravagante e imprevedibile, d'una arguzia però mai fine a se stessa, la quale ci accompagnava per mano in fondo alla malinconica comicità di Buster Keaton oppure in fondo agli occhi di ghiaccio di Ivan il Terribile, ma sempre alla ricerca soprattutto di noi stessi". Prima della depressione che lo portò al suicidio, molti fanno cenno ad alcuni sintomi del suo probabile disincanto verso il Pci. Nel '51, ad esempio, quando i Partigiani della pace usavano portare all'occhiello il distintivo con la colomba disegnata da Picasso, Caccioppoli se lo nascondeva sotto il suo liso impermeabile.

Del resto, come aveva imbarazzo per questi simboli, così non ebbe mai la tessera del partito comunista e alla domanda "Renà, ma tu sì marxista?", evitava sempre di rispondere. In un'altra occasione, lui che godeva della stima di Togliatti, venne meno ad un consiglio di quest'ultimo che raccomandava, nei comizi, di seguire sempre uno schema scritto. Viceversa, parlando in un teatro, molti notarono che insolitamente il professore aveva in mano un foglietto dal quale mostrava di leggere qualche appunto, ma pochi s'accorsero che si trattava di un foglio bianco. Più seria era la sua avversione a quanto proveniva dall'Urss in fatto di scienza e di arte. Le teorie, care a Stalin, di Trofim Denisovic Lysenko, che si opponevano alla genetica, lo facevano inorridire. Se non ne denunciò apertamente l'infondatezza scientifica, fu solo per non offrire alla pubblicistica anticomunista ulteriori possibilità di offesa. [Cfr. G. Picone, op. cit., p.160]. Forse determinante per l'epilogo del caso Caccioppoli fu la notizia della repressione sovietica in Ungheria nel 1956. "Il 30 aprile si fece vedere per l'ultima volta all'università. Ai primi di maggio del 1959, in una pizzeria con un gruppo di compagni, ebbe parole dure per un giovane che si era svenato per poi lasciarsi soccorrere. Disse: "Quello è uno stupido. Per uccidersi davvero si fa così".

E proseguì descrivendo la tecnica del cuscino contro la nuca, il punto preciso dove appoggiare la canna della pistola, il colpo
 inesorabile. L'8 maggio del 1959 Caccioppoli si uccise esattamente in questo modo, con un colpo sparato tra le 17 e le 19 e 15 da una Beretta 7 e 65. Il giorno precedente lo avevano visto a via Chiaia, probabilmente era andato a prendere la pistola dalla cassetta di sicurezza. Lo trovò la governante Tina, poco sangue sul cuscino, accanto una tazza di tè e qualche grissino, il proiettile uscito dalla fronte si era conficcato in uno scaffale". [G. Picone, op. cit., p.174].

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