martedì 14 marzo 2017

HIERONYMUS BOSCH. ALLUCINATO BESTIARIO NEL CUORE DI VENEZIA

Di Giovanna Pastega




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Ascesa all'Empireo (polittico delle Visioni dell'Aldilà)


Tutta la vita di Hieronymus Bosch è avvolta nel mistero. A cominciare dal suo nome, che in realtà era Jeroen o Hieronymus van Aken, ma che l'artista cambiò in Bosh dal nome della sua città natale 's Hertogenbosch (Boscoducale) nel Brabante olandese.

Di lui si sa pochissimo: scarse sono le opere superstiti, tutte senza data, solo alcune firmate. Nonostante la sua produzione sia stata in realtà molto varia, i quadri per cui è ricordato sono visioni allucinate ed inquietanti di mostri, sogni e meraviglie. Parafrasandone il nome, nelle sue opere si può dire abbia dato vita a un "bosco" di inquietudini e misteri, dove simboli, visioni e allucinazioni costituiscono una fitta trama narrativa in cui l'artista interpreta un universo iconografico medievale, fatto di bestiari umani e animali attraverso una regia e un montaggio dell'immagine assolutamente nuovi e moderni. Le opere giunte a noi sono per lo più narrazioni complesse spesso dipinte anche sul retro, mappe oniriche costellate di invenzioni iconografiche tutte da decodificare, allusive, secondo taluni, a riti esoterici ed alchemici. A questo misterioso artista, di cui nel 2016 sono ricorsi i 500 anni dalla morte, il Muve dedica nelle sale Palazzo Ducale a fino al 4 giugno la mostra "Jeronimus Bosch e Venezia".

Al rapporto in parte ancora da chiarire con il capoluogo lagunare, unico in Italia a conservare suoi capolavori, e alla relazione con il potente e colto cardinale Domenico Grimani, suo appassionato collezionista, è dedicato il cuore dell'esposizione. Seppure la mostra fosse stata annunciata lo scorso anno come un ampio excursus sulle influenze della pittura di Bosch nel bacino del Mediterraneo, il nuovo impianto più ristretto e focalizzato sulla sola Venezia riformulato dalla Fondazione Musei Civici offre al visitatore l'occasione di rivedere da vicino i tre capolavori "veneziani" di Bosch contestualizzati in un percorso di oltre 50 opere provenienti da tutta Europa: da Jacopo Palma Il Giovane a Quentin Massys, da Jan Van Scorel e Joseph Heintz ai disegni e bulini di Dürer, Bruegel, Cranach, fino ai bronzi, ai marmi antichi, ai preziosi manoscritti e volumi a stampa, tesori della collezione Grimani.
Fondamentale nella ricostruzione del rapporto tra Bosch e Venezia secondo il curatore Bernard Aikema sarebbe la testimonianza di Marcantonio Michiel, uno dei primi critici d'arte veneziani, che nel 1521 nel descrivere la collezione del Cardinale Grimani nominò accanto a una straordinaria serie di dipinti nord europei tre opere di Bosch con mostriciattoli, incendi e visioni oniriche. Secondo Aikema questa descrizione è la prima in assoluto in cui l'arte di Bosch "viene associata a questi concetti, che sarebbero poi diventati normativi in qualsiasi evocazione letteraria dell'opera dell'artista in Italia e altrove".

Tutte le opere di proprietà del Cardinale alla sua morte (1523) furono lasciate in eredità alla Serenissima a patto che fossero esposte pubblicamente. La condizione fu rispettata solo per le sculture. La sorte dei dipinti invece non è del tutto chiara. Si sa che 8 casse del suo lascito piene d'opere preziose rimasero nei sotterranei di Palazzo Ducale fino al 1615, quando un nucleo fu restaurato ed esposto nella residenza dogale. Tra le ipotesi curatoriali di questa mostra la più significativa indica come due delle tre opere di Bosch conservate a Venezia - Santa Liberata e Le visioni dell'Aldilà - fossero inizialmente destinate a committenze nordeuropee e solo in seguito modificate, forse da qualcuno dell'atelier, subito dopo la morte di Bosch per adeguarsi alla raffinata clientela italiana e a un nuovo destinatario. Probabilmente proprio Domenico Grimani, uomo raffinato e dottissimo dai molteplici interessi, dalla filosofia alla teologia, con simpatie che andavano da Erasmo a Pico della Mirandola, amante di Tiziano, di Raffaello e Leonardo da Vinci, ma anche dall'arte delle Fiandre e soprattutto interessato fortemente a quelle visioni oniriche vagheggiate negli ambienti colti della Venezia dell'epoca e collezionate nelle Wunderkammer dei nobili veneziani.
Attraverso un intermediario, l'ebreo Meir de Balmes, suo medico personale e amico dell'editore nonché uomo d'affari Daniel van Bomberghen, le opere di Bosch sarebbero giunte a Venezia finendo nella sua collezione.

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