giovedì 2 febbraio 2017

Dalla festa pagana a quella cristna: La candelora

La luce dell'Inverno: Imbolc, il trionfo dello splendore

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Presso le popolazione dei Celti 1/2 febbraio era Imbolc (pronuncia Immol’c) detta anche Oimelc o Imbolg. L’etimologia della parola è controversa ma i significati rinviano tutti al senso profondo di questa festa. Infatti Imbolc pare derivare da Imb-folc, cioè “grande pioggia’ e in molte località dei paesi celtici questa data è chiamata anche “Festa della Pioggia”: ciò può riferirsi ai mutamenti climatici della stagione ma anche all’idea di una lustrazione che purifica dalle impurità invernali.
Invece Oimelc significa “lattazione delle pecore” mentre Imbolg vorrebbe dire ‘nel sacco” inteso nel senso di “nel grembo” con riferimento simbolico al risveglio della Natura nel grembo della Madre Terra e con un riferimento più materiale agli agnelli, nuova fonte di cibo e di ricchezza, che la previdenza della Natura e degli allevatori avrebbe fatto nascere all'inizio della buona stagione.
L’allattamento degli agnelli garantiva un rifornimento provvidenziale di proteine. Il nuovo latte, il burro, il formaggio costituivano spesso la differenza tra la vita e la morte per bambini e anziani nei freddi giorni di febbraio.

La luce che è nata al Solstizio di Inverno comincia a manifestarsi all'inizio del mese di febbraio: le giornate si allungano poco alla volta e anche se la stagione invernale continua a mantenere la sua gelida morsa, ci accorgiamo che qualcosa sta cambiando. Le genti antiche erano molto più attente di noi ai mutamenti stagionali, anche per motivi di sopravvivenza. Questo era il più difficile periodo dell’anno poiché le riserve alimentari accumulate per l’inverno cominciavano a scarseggiare. Pertanto, i segni che annunciavano il ritorno della primavera erano accolti con uno stato d’animo che oggi, al riparo delle nostre case riscaldate e ben fornite, facciamo fatica ad immaginare.

Imbolc è una delle quattro feste celtiche, dette “feste del fuoco” perché l’accensione rituale di fuochi e falò ne costituiscono una caratteristica essenziale. In questa ricorrenza il fuoco è però considerato sotto il suo aspetto di luce, questo è infatti il periodo della luce crescente. Gli antichi Celti, consapevoli dei sottili mutamenti di stagione come tutte le genti del passato, celebravano in maniera adeguata questo tempo di risveglio della Natura. Non vi erano grandi celebrazioni tribali in questo buio e freddo periodo dell’anno, tuttavia le donne dei villaggi si radunavano per celebrare insieme la Dea della Luce (le celebrazioni iniziavano la vigilia, perché per i Celti ogni giorno iniziava all'imbrunire del giorno precedente).

Imbolc, festa di luce, ci chiede di ritornare allo spirito di gioioso stupore ed aspettativa dell’infanzia, di lavare con le acque lustrali i vecchi strati di preoccupazione e uscire a giocare nuovamente con la vita che si risveglia, in fiduciosa attesa degli eventi.
Nulla sarà come prima se sapremo cogliere i segni della trasformazione.
Il ciclo della Ruota dell’Anno si ripete, ma la ripetizione non è monotona poiché ogni giro ci sposta e ci propone una diversa opportunità: il ritorno delle medesime circostanze è un’occasione per reinterpretare i significati della nostra esistenza alla luce del presente.
Per cogliere la differenza bisogna riuscire ad aprirsi.

La rievocazione dello spirito dell’infanzia, inteso come profonda apertura e ricettività ed “elasticità” interiore, è una sfida da sovrapporre alle nostre precedenti esperienze. È difficile ma non impossibile riuscire a giocare quando si è adulti: chi percorre un cammino iniziatico conosce la differenza tra “desiderare” e “volere” e sa che tutte le trasformazioni esterne iniziano dalla trasformazione interiore. Solo se si è convinti di poter evolvere dentro di sé si riuscirà a imprimere la trasformazione anche nella vita che ci viene incontro

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Alfredo Cattabiani
(da Calendario)
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«Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore [...]: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore. Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone [...] lo Spirito Santo che era sopra di lui gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese fra le braccia e benedisse Dio: "[...] i miei occhi han visto la tua salvezza preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo, Israele"». Poi Simeone aggiunse, rivolto a Maria: «Egli è qui per la rovina e la resurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima». (Luca 2, 22-35)

La presentazione del primogenito al tempio e la purificazione rituale della madre dovevano avvenire, secondo la legge ebraica, il quarantesimo giorno dalla nascita: dunque la festa doveva cadere nel calendario cristiano il 2 di febbraio perché il Natale era stato fissato al 25 dicembre. Sicché venne a coincidere col mese dedicato nella Roma pagana alle purificazioni, a lunio Februata e al rito dei Lupercali. Forse per allontanare quelle presenze pagane e soprattutto Giunone, il 2 febbraio divenne successivamente la Purificazione della Beata Vergine ponendo in ombra l'evento più importante, la presentazione del Figlio al Padre sulle braccia di Maria. «Offri il tuo Figlio, o Vergine santa» pregava san Bernardo «e presenta al Signore il frutto benedetto del tuo seno. Offri per la riconciliazione di noi tutti la vittima santa, a Dio gradita.»

Con la recente riforma liturgica la Chiesa latina, in pieno accordo con quelle orientali, ha restituito al 2 febbraio la categoria di festa del Cristo che aveva originariamente, chiamandola Presentazione del Signore. È detta anche Candelora perché vi si benedicono e si distribuiscono ai fedeli candele cui la pietà popolare attribuisce virtù protettive contro le calamità, le tempeste, e anche durante l'agonia.

Si legge nel Lunario toscano del 1805: «La mattina si fa la benedizione delle candele che si distribuiscono ai fedeli; la qual funzione fu istituita dalla Chiesa per togliere un antico costume ai fedeli che in questo giorno, in onore della falsa dea Februa, con fiaccole accese andavano scorrendo in città, mutando quella superstizione in religione e pietà cristiana». La dea Februa era evidentemente lunio Februata, detta anche lunio Sospita, Salvatrice: alle calende di febbraio si celebrava la dedicazione del suo tempio sul Palatino che forse (ma è solo una mia ipotesi non suffragata da documentazione) si raggiungeva alla luce delle fiaccole. È invece certo che già nel VII secolo si svolgeva a Roma, in occasione della festa cristiana, una processione notturna con ceri accesi, da ogni parrocchia fino alla chiesa di Sant'Adriano e di qui a Santa Maria Maggiore: processione penitenziale, secondo alcuni storici, per esorcizzare una sfilata licenziosa e carnascialesca che si svolgeva in quei giorni. Ma non sarebbe da scartare un'altra ipotesi: che la Chiesa abbia voluto cristianizzare non solo i riti precristiani di febbraio, ma anche anticipare quelli che si svolgevano alle calende di marzo in onore di Vesta e di Giunone e avevano come protagonista il fuoco, simbolo dell'energia divina nel cosmo secondo una concezione arcaica analoga a quella di altri popoli indoeuropei, come gli Indiani e i Persiani.

Alfredo Cattabiani, Calendario (Mondadori, pag. 131)

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