mercoledì 30 novembre 2016

Pearl Harbor: il grande inganno di Franklin Delano Roosevelt



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Grazie a 16 anni di ricerca da parte di un uomo, tra cui una revisione di oltre 200.000 documenti governativi rilasciati dalla Freedom of Information Act, nel suo libro Day of Deceit di William Stinnett, ora sappiamo che Franklin Delano Roosevelt ha fatto in modo che Pearl Harbor fosse attaccata.
Lo ha fatto, provocando i giapponesi in una varietà di modi, come ad esempio l'imposizione di pesanti sanzioni di carburante su di loro che avrebbero rapidamente distrutto il loro paese.
Il tradimento di FDR è stato legalmente provato con ampia documentazione.
La prova è ben oltre qualsiasi cosa che sarebbe necessaria in una causa legale per emettere una giusta condanna.
All'insaputa dei giapponesi, le loro comunicazioni ,intercettazioni e tutti i loro codici erano stati sabotati: i giapponesi erano sotto sorveglianza completa , senza segreti.
Erano completamente ignari che la loro sicurezza era stata compromessa.
Una volta scoperto che i giapponesi stavano pianificando un attacco, Franklin Delano Roosevelt, ha censurato tutti gli avvertimenti dell'attacco contro Pearl Harbor .
Fu dunque il presidente Roosevelt a permettere ai giapponesi di attaccare Pearl Harbor senza che questi incontrassero alcuna resistenza.
Questo fatto è stato accertato da Robert B. Stinnett - che era anche un veterano della Seconda Guerra Mondiale.
I risultati sono stati pubblicati nel suo libro del 2002, Day of Deceit.
Libro che il Chicago Sun-Times ha definito "il documento più rivelatore del nostro tempo."
E 'stato ormai dimostrato, come fatto inconfutabile assoluto, che FDR sapeva Pearl Harbor stava per subire l'attacco e non fece nulla per fermarlo.
I documenti di Stinnet dimostrano anche che i funzionari degli Stati Uniti hanno creato eventi di trigger simili per iniziare la prima guerra mondiale e il Vietnam.
William Stinnett definisce questo: il segreto più grande degli Stati Uniti e il nostro peggior disastro militare.

Questa umanità è ormai incapace di accogliere la poesia dei miti e così aprirci alla redenzione!

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La nostra umanità può oggi vantarsi di padroneggiare quella natura che la ossessionava, di costruire edifici come macchine, di progettarli in modo scientifico, di realizzarli in modo economico, ma essa rimane prigioniera dei suoi pregiudizi, delle sue crudeltà, dei suoi terrori infantili, e sugli altari di idoli nuovi non smette -in sacrifici ogni volta più cruenti- di accumulare le sue vittime. Quale stregone potrebbe mai esorcizzare tutti i demoni che ancora la possiedono? La nostra umanità è forse ormai incapace di accogliere di nuovo coloro che la vollero liberare, che le offrirono la poesia dei loro miti, la consolazione dei loro sogni, la redenzione del loro vangelo, e le insegnarono a contemplare nella cupola stellata la bellezza dei volumi platonici, l'armonia dell'ordine cosmico e le beatitudini della Gerusalemme celeste?  

Parlare con se stessi, con le nostre profondità: un caposaldo dell'arte magica

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È un luogo comune, nonché un paradosso dell’occultismo, affermare che in mezzo alla profonda angoscia e infelicità della personalità, la gioia dell’anima può essere sentita e riconosciuta. Questa è la verità e a ciò deve mirare ogni studente. Vi sono persone felici perché chiudono gli occhi alla verità o sono autoipnotizzate e si nascondono in un guscio d'illusione. Ma l’aspirante raggiunge spesso lo stadio in cui i suoi occhi sono ben spalancati; egli ha imparato a parlare con se stesso il linguaggio della verità e non ha costruito una parete di separazione fra sé e gli altri. Egli è vivo e desto, sensibile e spesso soffre. Egli talvolta si chiede perché ciò che il mondo chiama felicità e pace lo abbiano abbandonato, e quale sarà l’esito.
Noi, che osserviamo e guidiamo dal lato interiore, sorvegliamo con amorevole cura tutti voi che lottate nel fitto della mischia. Siamo come lo Stato Maggiore che segue il corso della battaglia da una posizione sicura. Nella nostra sicurezza sta il vostro successo finale, poiché noi deteniamo la soluzione di molti problemi e l'applichiamo quando le condizioni della battaglia sono avverse. Vorrei che ricordaste sempre un fatto di vitale importanza, cioè che nella distruzione della forma risiede il segreto di tutta l’evoluzione. Non pensiate che sia un luogo comune. Ne vedrete la costante applicazione e occorre che siate preparati a vederne la dimostrazione. I Maestri utilizzano la forma fino al limite massimo; cercano di operare attraverso essa, tenendovi imprigionata la vita fintanto che quella forma serve allo scopo e l’umanità ne trae insegnamento. Giunge però il momento in cui essa non serve più allo scopo prestabilito, la struttura si atrofizza, cristallizza ed è facile distruggerla. La sua distruzione acquista allora estrema importanza e utilità; la vecchia forma scompare, mentre una nuova ne prende il posto. Osservate e costatate se non è la verità. Sempre viene costruita una forma, sempre viene utilizzata il più a lungo possibile, sempre viene distrutta quando impedisce e ostacola l’espandersi della luce e sempre segue la rapida ricostruzione di una nuova forma.
Questo è il metodo seguito sin dall’inizio dei tempi.
Pagg. 370-1 ingl.

La città ideale guidata dai filosofi

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30 novembre 1602- il Sant'Uffizio condanna al carcere perpetuo il frate domenicano TOMMASO CAMPANELLA
Nell'illusione di un rivolgimento già scritto nelle stelle, Campanella progetta di realizzazione in Calabria una città (repubblica) ideale, comunistica, ricorrendo anche all'aiuto dei Turchi: cominciò a predicare dai primi mesi del 1599, intessendo una fitta trama di contatti. Scoperto fu condannato dal Sant'Uffizio all'ergastolo. 
In carcere scrive La città del Sole (1602), felice e pacifica repubblica universale retta su principi di giustizia naturale.
Molto interessante il suo immanentismo: «Tanta sciocchezza è negare il senso alle cose perché non hanno occhi, né bocca, né orecchie, quanto è negare il moto al vento perché non ha gambe, e il mangiare al fuoco perché non ha denti, e il vedere a chi sta in campagna perché non ha finestre da cui affacciarsi e all'aquila perché non ha occhiali. La medesima sciocchezza indusse altri a credere che Dio abbia certo corpo e occhi e mani».

martedì 29 novembre 2016

Il Veneto e il suo Grandioso Rinascimento

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La parola Rinascimento evoca immediatamente Firenze e la casata della "palle" ovvero i Medici. Non dobbiamo scordare che il Veneto ha sviluppato un suo particolare Rinascimento, unico ed irripetibile sulla scia di un grande architetto che farà da traino copiato dal mondo intero: Palladio.
Fu l'artefice di una rivoluzione artistica, che non ha precedenti, che con la sua originalità, le sue innumerevoli ville hanno cambiato il panorama delle campagne venete e sono state il segno di una ricchezza nata dalla oculata gestione delle terre, con il sapiente governo delle acque da parte della Serenissima.
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 La stessa Verona con la scuola di Fra Giovanni da Verona aprirà ad un'arte straordinaria ed unica, che condizionerà tutta l'Italia rinascimentale.
Così scrive il Vasari nelle sue"Vite" riguardo alle straordinarie tarsie di Santa Maria in Organo di Fra Giovanni da Verona:
la più bella sagrestia che fusse in tutta Italia, perché oltre alla bellezza del vaso ben proporzionato e di ragionevole grandezza, e le pitture dette che sono bellissime, vi è anco da basso una spalliera di banchi lavorati di tarsie e d'intaglio con belle prospettive così bene che in que' tempi, e forse anche in questi nostri, non si vide gran fatto meglio, perciò che fra' Giovanni da Verona, che fece quell'opera, fu eccellentissimo in quell'arte, [ … ]
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Con l'occasione ricordo un edificio dislocato nelle terre bonificate di Belfiore (l'antico Porcile) chiamata villa Moneta, voluta da un influente banchiere che gravitava nel veronese e qui aveva investito le sue fortune fuori dai canoni Palladiani e vicino alle ville medicee: Villa Moneda. Edifio citato anche questo dal Vasari

L'iniziazione di Ezra Pound a Verona


Tratto dal testo: "IL CAPPELLO DEI MAGI" di Luigi Pellini pag. 113-114 Edizioni Aurora 2002
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IL VIAGGIO DEI POETI
Il viaggio di Ezra Pound nei “I Cantos” inizia con la discesa, come nell’inferno dantesco

In una lettera Pound descrisse in sintesi al padre la struttura fondamentale del suo poderoso e complesso poema,” I Cantos”:
-Katabasis, o la discesa da vivo nel mondo dei morti.
-Dromena, i corsi storici o il tempo ciclico.
-Epopte, il momento magico ovvero il cambiamento e la piena coscienza, l’avvicinamento al mondo degli dei.
Queste tre fasi sono anche il fondamento della “Divina Commedia”
Il viaggio infernale è l’inizio di ogni serio cammino spirituale, come la fase al nero degli alchimisti è  la prima fase dell’Opera. La seconda, paragonabile al purgatorio, è la fase al bianco e l’ultima, accostabile al paradiso, è quella al rosso, la fase della liberazione attraverso il corpo di gloria o di luce-fuoco.
Anche il neoplatonico T. Taylor appone la seguente note sulla traduzione dell’”Antro delle Ninfe” di Porfirio:
<<……L’allegoria relativa alla discesa di Ulisse nelle regioni infernali…..contiene….alcuni degli arcani maggiori della teologia greca. Per quanto riguarda Ulisse, a me pare insinuare il suo volare in cerca di aiuto presso la negromanzia, allo scopo di conoscere gli esiti dei mali di cui è circondato, attraverso l’ira del suo demone natale. Quindi Tiresia non è altro che uno spirito defunto evocato dall’arte magica, allo scopo di svelare i segreti dell’avvenire e di informare Ulisse di come egli possa ritornare al vero impero della sua mente>>.

Questo ultimo concetto è la chiave per comprendere tutta la questione: avvenuta la piena coscienza della mente, il gioco è a buon punto. Forese dopo Dante, si può individuare come continuatore il cosmopolita Pound, che a Verona ebbe la sua iniziazione nella chiesa di San Pietro Incarnario (distrutta durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale). Egli fu legato tutta la vita a questa città, alla quale si era avvicinato, alla quale si era avvicinato inizialmente per lo studio delle opere del Cavalcanti, conservate nella prezioso biblioteca Capitolare accanto al Duomo. I Cantos, opera monumentale riempita di antiche ed eterne conoscenze, sono pregni di suoni incantatori che si rincorrono, di viaggi terrestri e celesti, delle miserie della carne e della grandezza degli antichi misteri che sono ormai nel mìnostro patrimonio genetico. 

Il complesso dell'Acropoli di Palestrina legata ai santuari italici e all'acropoli di Verona

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Palestrina. Nel tempio della dea fortuna La celebrazione del potere primigenio Renato del Ponte, Dei e miti italici Il tempio dedicato alla Dea Fortuna a Palestrina rientra tra le costruzioni monumentali erette nell’antichità in forma di altare telluricocosmico. Qualcosa di radicato al suolo e avvinto alla struttura stessa della terra, come scaturito dai contrafforti del colle. Dalla base alla sommità del rilievo dominante l’antica Praeneste si levava il grandioso e scenografico tempio: qualcosa di simile all’altare di Pergamo, inglobante l’intero altopiano, oppure a certe rappresentazioni fantastiche della liturgia faraonica. Molti tra i più celebri studiosi rinascimentali, scrutando i pochi resti antichi che si potevano vedere tra le povere casupole di Palestrina, si erano ingegnati a immaginare quale forma avesse in origine il tempio che si sapeva essere della Fortuna Primigenia. Ricostruzioni ideali di Giuliano da Sangallo o del Palladio liberavano la fantasia ad immaginare i più colossali edifici, secondo le geometrie di un gigantesco neoclassicismo. Renato del Ponte, La città degli dei. La tradizione di Roma e la sua continuità Ma neppure la fantasia poteva superare la realtà. Furono le bombe americane dell’ultima guerra a liberare in più punti le incrostazioni e a mostrare in tutta la sua portata quello che era stato davvero il magnifico tempio. Si trattava di una imponente costruzione che, già nel IV secolo, occupava l’intero colle: un sistema di terrazze saliva per gradi sino alla sommità, in cui si trovava il tempio più interno, e ogni tappa del viaggio ascensionale era segnata da vari livelli, con scalinate, rampe, stazioni. Tutto il complesso aveva l’aspetto di un sistema geometrico costruito in asse col tempio più alto e con la statua del culto supremo, in un quadro che qualcuno ha definito “ideologico”, volendo rimarcarne gli aspetti di celebrazione del potere divino attribuito al contatto con l’energia generatrice dell’uomo. La terrazza degli Emicicli, quella dei Fornici, quella delle Fontane, quella della Cortina erano altrettante tappe del sacro itinerario. Sino alla sommità, dove, sul culmine del colle, si levava il tempio vero e proprio della Fortuna Primigenia. Era un luogo essenzialmente oracolare. In una grotta naturale ai primi livelli della salita, all’estremità della parete addossata al suolo, è stato trovato uno spazio impreziosito di colonne scanalate e con i resti di un pavimento musivo. È l’Antro delle Sorti, in cui l’oracolo emetteva i suoi responsi. Questi, altre volte, secondo Cicerone, venivano ottenuti, per così dire, alla maniera nordica, interpretando le sortes, lettere incise su pezzetti di legno che venivano estratte dalla roccia e interpretate. E il sacello costruito sul luogo in cui si operò questo oracolo era ritenuto particolarmente sacro. Jean-Michel David, La romanizzazione dell'Italia Poco distante, dietro l’abside del Duomo attuale, là dove un tempo sorgeva la basilica di epoca repubblicana, ecco comparire l’aula absidata, anch’essa in parte scavata nella roccia e dotata di ricca decorazione architettonica. Qui fu rinvenuto il famoso mosaico detto del Nilo, risalente all’80 avanti Cristo, che oggi si conserva al Museo. Questo capolavoro contiene una specie di mappa geografica dell’Egitto e un vero bestiario esotico. Ma, ciò che più interessa, è che è stato messo in relazione con le mutazioni della Fortuna e con il viaggio fatto da Alessandro Magno in Egitto, quando rese onore a Giove Ammone. Una presenza, questa di Giove, che era anche a Praeneste sin dagli inizi, dato che - secondo Tito Livio - Cincinnato, che conquistò la città alla fine del IV secolo, portò a Roma come preda di guerra proprio una statua di Giove Vincitore, posizionandola sul Campidoglio. Il culto alla Fortuna è uno dei più antichi su suolo italiano. In esso si intrecciavano motivi legati sia alla fertilità che alle potenze oracolari. Esiste la prova che nel santuario prenestino il culto ufficiale alla Fortuna era gestito dai patres e dai sacerdoti virili, mentre quello femminile legato alla fecondità era appannaggio di collegi di matres. Questa duplice vocazione del tempio è stata riconosciuta dagli studiosi come prova di un sincretismo che, per la verità, era assai diffuso a Roma. Lo stesso abbinamento che è stato fatto tra la Fortuna e Iside, cui in epoca ellenistica anche a Praeneste veniva reso onore, non è che un’ennesima riprova della capacità pagana di unificare in concetti organici anche ispirazioni diverse. Le fonti antiche affermano che esistevano due statue della Dea Fortuna: una di bronzo dorato e una di marmo bianco, nella posa di allattare Giove e Giunone bambini. La presenza di Giove all’interno di un tempio dedicato alla Fortuna non sembra essere, dunque, una contraddizione tra significati della sovranità e quelli della maternità. Anzi, era proprio luoghi come questo che nell’antichità si intendeva celebrare ad un tempo tanto il potere sovrano che l’origine della vita, fondendo in un unico culto la gerarchia uranica della potenza e quella tellurica della genealogia. Andrea Carandini, Remo e Romolo. Dai rioni dei Quiriti alla città dei Romani (775/750 - 700/675 a.C. circa) Alla celebre iconografia della Fortuna recante la cornucopia dell’abbondanza si affianca quella, che era ricorrente specialmente sulle monete, di una duplice Dea: una vestita con la corona sul capo, l’altra a seno nudo con un elmo sulla testa. Del resto, sulla più alta terrazza, là dove, secondo Cicerone, l’olivo avrebbe secerto miracolosamente del miele, si trovava la statua guerriera della Fortuna, posta ad un gradino più elevato di quella materna del santuario situato livello inferiore. Rappresentazione ben chiara che questo santuario riuniva in sé tutti i valori principali della vita, celebrando alla maniera pagana e in modo uniforme tanto la virilità quanto la femminilità. Alcuni studiosi hanno poi rimarcato l’importanza della Dea Fortuna nell’ambito delle credenze italico-latine più arcaiche, sottolineando come i loro più profondi attributi fossero quelli legati al primordiale potere di assicurare la fecondità e riproduzione della discendenza. La speciale tutela sulla nascita e sulle sue arcane provenienze era l’aspetto principale, assicurato dal dettaglio rivelatore che la Dea Fortuna la si diceva avere potere di protezione sul corpo e, particolare, sugli organi genitali. Giandomenico Casalino, Il nome segreto di Roma Una divinità della genealogia, della trasmissione del sangue, della nascita? È proprio questo che deve intendersi sotto denominazione di Fortuna Primigenia, intimamente legata, in altre parole, al concetto di “buona nascita originaria”. Questa era, dunque, per i nostri antichi padri la vera “fortuna primigenia”: avere buona razza, essere di ceppo sano e legato all’origine. È tra le pieghe di monumenti e luoghi che fanno parte del nostro panorama quotidiano, e dei quali, di solito, trascuriamo di ricordare i più profondi significati, che si nascondono alcune verità essenziali della nostra civiltà. Per dire, andare oggi a Palestrina a visitare il tempio della Dea Fortuna significa inevitabilmente ammirare il palazzo della famosa famiglia papalina dei Colonna-Barberini, costruito nella zona più alta dell’antico santuario che come un cuculo si è posato sul nido di una religione più antica e diversa, occultandone oggi l’intimo senso. Ma i simboli parlano, a chi sa intenderli, anche se offuscati dalle manomissioni e dalla dimenticanza. Luca Leonello Rimbotti Tratto da Linea del 26 ottobre 2006

lunedì 28 novembre 2016

Gli ombelici terrestri: punti sacri segnati da pietre, luoghi eletti alla comunicazione e all'adorazione degli dei



L'omphalos ( ombelico) in tutte le latitudini di tutti i tempi è rappresentato da una sacra pietra similmente conica posta dove le energie terrestri e celestri si uniscono armoniosamente. L'ombelico del mondo è praticamente il centro, posto nella città capitale di una civiltà o di un impero ubicato nei pressi di un tempio o di un luogo sacro, come Cuzco o Delfo.
Molti "punti focali" esistono nel mondo ed oltre a rappresentare un centro indicano che il luogo è adatto alla comunicazione e così "all'adorazione" della divinità legata e  preposta alla protezione del luogo.
https://otrosmundosotrasdimensiones.blogspot.cl/2015/02/la-sagrada-piedra-omphalos-ombligo-del.html