martedì 20 ottobre 2015

L'altra storia della sifilide

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TERZAPAGINA. LETTERA AL CORRIERE DI GUIDO CERONETTI: DE MORBO GALLICO

mal di Venere, nato dai miti e non sulle navi di Colombo

la comparsa della sifilide in Europa

------------------------- PUBBLICATO ------------------------------ LETTERA AL CORRIERE DI GUIDO CERONETTI: DE MORBO GALLICO TITOLO: Mal di Venere, nato dai miti e non sulle navi di Colombo - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Nel ricadente all' interno di piu' d' un pensiero, dialogo tra Ulderico Munzi e Jacques Attali ("Corriere" del 31 marzo scorso) sulla cacciata degli ebrei sefarditi all' epoca dell' Isabella e il neorazzismo (vecchia impurita' ) europeo, c' e' un punto in cui l' intervistatore introducendo ai contenuti di Attali dice che (nel 1492, tra gli altri eventi) "a Ginevra appare la sifilide". Non vedo li' la connessione solita tra il viaggio di Colombo e l' insorgere della pestis venerea, sbarco e apparizione essendo collocati nello stesso anno, ma veder considerato uno degli eventi cruciali proprio di quell' anno la sifilide sul Lemano mi suona veramente strano. Lo storico ne dara' spiegazione nel suo lavoro 1492, che non ho visto; mi limito qui a discutere l' accenno fugace trovato nell' articolo. Michel Foucault, trattando della Follia, diceva che (sempre, all' incirca, in quel tempo) in Europa esce di scena la lebbra e subentra la sifilide. Questo fa un certo effetto di teatro ma in fatto di sifilografia storica mi pare che le migliori erudizioni abbiano scarsa voglia di separarsi dal generico e dal luogo comune. La lebbra morbo di Hansen, quella di Lambare' ne e degli attuali lebbrosari, non e' la stessa lebbra dei lebbrosari medievali che in qualche caso, difficile da provare, se non addirittura in nessuno. Una tale lebbra, anziche' uscire di scena, ci rimase, cambiando a poco a poco la maschera e il nome. Non poteva apparire per la prima volta a Ginevra qualcosa che gia' , da tempo immemorabile, con nome di lebbra e con una lunga sequela di nomi a seconda dei luoghi e dei linguaggi, era dappertutto, probabilmente, di casa. Lo sbarco di andata e di ritorno di Colombo sarebbe gia' sufficientemente fornito di prolungamenti, anche senza annettergli incontri e nozze con uno dei morbi fondamentali della storia patologica umana, uno di quelli a cui siamo piu' debitori di misfatti, di genio e di deliri. Il luogo comune della sifilide posteriore alla scoperta di Colombo e' assimilato con la stessa facilita' del dogma evoluzionista, che ci vuole tutti emissioni di qualche facoltosa scimmia, oppure basta un minimo di riflessione e un po' d' occhio ai testi antichi, per sgomberarne la mente. Gli Indios certamente ne erano infetti (e consideravano anche le famose bubas, le bolle sulla pelle, un segno di distinzione aristocratica e di relazione col divino, malattia solare) ma la ciurma colombiana ne portava del suo (come morbo non solare: da noi era lunare e infero) cosi' che chi tra i marinai era gia' contagiato infetto' ragazze sane della Hispaniola, e chi tra le amerinde era infettata contagio' i marinai sani, e di sani non tornarono che i vergini "a miracol mostrare". Un enigma resta l' Ammiraglio, seminatore di continenti. L' apparizione del nome sifilide, questa si e' postcolombiana, perche' il poema che gli dedico' il Fracastoro, De morbo gallico, e' successivo all' invasione di Carlo di Valois in Italia. Ma bisogna leggere i nomi, interpretare i testi, osservare i segni nelle pitture, confrontare descrizioni di sintomi, ascoltare i poeti (che ne parlarono spesso), scavare greco, latino ed ebraico biblico: dovunque sparse troviamo bubas. Nella versione del libro di Giobbe che curai per l' Adelphi puo' vedere, chi ne abbia voglia, il paragrafo dov' e' discussa la malattia di Giobbe (detta ulcera o piaga maligna, she' kin.ra' ) come esplosione sifilitica. E Giobbe viene di lontano, dalle piaghe e dai morbi di Babilonia e dei Semiti piu' antichi. Quando i pittori cristiani dipinsero San Giobbe lo punteggiarono di bolle: esegesi di gente semplice, infallibile. A questa luce piglia un senso piu' netto la protesta di Giobbe come Giusto Soffrente: perche' a me, innocente, questo male specifico di peccatori? L' incesto nella reggia di Tebe ha per effetto simmetrico un' epidemia del morbo venereo nella citta' , una pestilenza velata, un fuoco oscuro, un "dio che tra gli Dei non ha nome", e un' epidemia simile alla tebana nell' Edipo flagella le tribu' d' Israele agli Shittim, nel libro dei Numeri, per il culto reso a un idolo priapico, il Baal.Peor (di cui abbiamo fatto il diavolo Belfagor). E' significativo che, per togliere il contagio, uno dei mosaisti piu' duri uccida in quell' episodio due amanti nella loro tenda, a cui segue una strage feroce di colpevoli.contagiati. Ma anche la pioggia di fuoco su Sodoma puo' essere vista come meravigliosa metafora di un' epidemia venerea che non risparmiera' , eccetto la casa di Lot, nessuno. Giobbe e il Filottete sofocleo si rassomigliano anche nella malattia, in Filottete localizzata nel piede in cancrena (lo stesso male di Rimbaud, di Gauguin). Di Filottete ho gia' trattato in quel paragrafo, ma vorrei accennare qui alle Trachinie e alla morte di Eracle. Che cosa sara' stata la famosa tunica del centauro Nesso che indossata dall' eroe semidivino gli si attacca alla pelle piagandola spaventosamente, obbligandolo a supplicare il rogo? Il diabolico Centauro consuma la vendetta contro Eracle da morto, trasmettendogli il Male degli Ardenti attraverso la violata Deianira, folle di gelosia ma ignara di portarlo. Il mito e' crudo e parla di un filtro d' amore fatto di sangue e di sperma del Centauro; Sofocle l' attenua e aggiunge mistero, il sangue di Nesso e' reso infetto dal veleno mortale della freccia, proveniente dall' idra di Lerna. Qualche precolombianista che abbia conoscenze storico.mediche trovera' con miti sifilografici amerindiani affinita' vertiginose, cosi' saldiamo il ponte, arco al di sopra delle caravelle. Eracle, l' invincibile, lamenta di essere stato abbattuto "da una donna, da un essere femminile, da qualcuno con niente di maschile, che ha operato sola, senza pugnale" (Trachinie, 1062.63). Senza pugnale, col veleno del suo corpo soltanto, nudita' impregnata della vendetta postuma di Nesso. (Tutto bestialmente avvilito nel luogo comune semicolto "la camicia di Nesso"). Chi e' infetto brama infettare, e' un sadismo antico, che conosceranno anche le tenebre del futuro. (Vedi il finale di A celle qui est trop gaie di Baudelaire: il veleno di cui si parla li' e' lo stesso "malanno cieco" che distrugge vivente Eracle, e che Baudelaire sadicamente vuole trasmettere in un bacio). Di Ginevra non so; ma prima di Calvino era tutta bevute, bagni e bordelli. E dalla fine del XV a tutto il XVI la strana malattia, appartenuta coi suoi treponemi, sempre, a quasi tutta l' umanita' , inviscerata nelle sue storie e nei suoi poemi, prese in Europa un andamento epidemico, spopolandola, mettendo i segni della grosse ve' role dappertutto. San Giobbe e specialmente San Rocco ne erano i patroni; Sant' Antonio del deserto ne era stato preservatore nei secoli cristiani precedenti e i frati antoniani, quelli con la Tau, con un loro celebre unguento, i terapeuti. Dopo Fleming pareva vinta, tornata in cielo e al Dio Apollo, ma si viaggia, si emigra, si fanno marchette in brulicante ronda ophulsiana del Nulla, si copula strabocchevolmente, senza oasi vergini, senza misericordia: e la marcia del prurito primario e dei collarini di Venere ha ripreso, felpata pantera che pero' il domatore Antibiotico sorveglia da vicino. Un presente tuttavia mediocre, dopo tanta passata gloria. Ed e' il nuovo fuoco di Sodoma, l' Aids, a tenere oggi, con crescente strepito, con volonta' annientatrice di mondo, il campo. L' Angelo ha i suoi aiutanti per ogni tempo. E, stranamente, ripensato, ritrovato nei testi e nelle pitture, nelle grandi biografie umane, questo triviale e temuto morbo mi viene e mi si liquefa tra le mani come un sogno, un cifrato sogno in cerca di chiave. Ma delle mie ricerche storiche e filologiche sul piu' vecchio male di Venere ho chiuso il capitolo da tempo. Queste non sono che briciole nella mia memoria. Guido Ceronetti
Ceronetti Guido
Pagina 9
(9 maggio 1992) - Corriere della Sera

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