giovedì 7 maggio 2015

Sempre sulla stanza di meditazione dentro al palazzo di Vetro

Va bene l’irruzione dell’inatteso nella vita ma Dio come se lo raffigura o meglio a quale altare ama inginocchiarsi?
Per descrivere il mio atteggiamento di fronte alla divinità e l’altare prendo in prestito le parole di * Dag Hammarskjöld che progettò e seguì personalmente in ogni dettaglio la creazione della stanza per la meditazione al Palazzo delle Nazioni Unite.
“Ciascuno di noi ha dentro di sé un centro di quiete avvolto dal silenzio. Questo palazzo, dedicato al lavoro e alla discussione a servizio della pace, doveva avere una stanza dedicata al silenzio, in senso esteriore, e alla quiete in senso interiore. L'obiettivo è stato di creare in questa piccola stanza un luogo le cui porte possano essere aperte agli spazi infiniti del pensiero e della preghiera. Qui si incontreranno persone di fedi diverse e per questa ragione non si poteva usare nessuno dei simboli cui siamo abituati nella nostra meditazione(...) Così, al centro della stanza vediamo un simbolo di come, quotidianamente, la luce dei cieli dà vita alla terra su cui tutti ci troviamo, un simbolo per molti di noi di come la luce dello spirito dà vita alla materia.
Ma la pietra in mezzo alla stanza ha qualcosa di più da dirci. Possiamo vederla come un altare, vuoto non perché non vi è un Dio, non perché è un altare a un dio ignoto, ma perché è dedicato al Dio che l'uomo adora sotto molti nomi e in molte forme.
La pietra in mezzo alla stanza ci ricorda anche ciò che è saldo e stabile in un mondo di movimento e di mutamento (...) È una memoria di quella pietra angolare di resistenza e di fede su cui deve basarsi ogni sforzo umano.
(...) Con il ferro l'uomo ha forgiato le sue spade, con il ferro ha anche fabbricato i suoi aratri. Con il ferro ha costruito carri armati, ma con il ferro ha edificato anche case per l'uomo. Il blocco di minerale ferroso è parte della ricchezza che abbiamo ereditato su questa nostra terra: come dobbiamo usarne?
Il raggio di luce colpisce la pietra in una stanza di estrema semplicità. Non vi sono altri simboli, non v'è nulla che distragga la nostra attenzione o irrompa nella nostra quiete interiore. Quando il nostro sguardo si muove da questi simboli verso la parete di fronte, incontra un disegno semplice, che apre la stanza all'armonia, alla libertà, all'equilibrio dello spazio.
Un antico detto ricorda che il senso di un recipiente non sta nel guscio ma nel vuoto. Così è di questa stanza. È per quanti vengono qui per riempire il vuoto con ciò che trovano nel proprio centro di quiete”.
Sono Pietro con la mano alzata nell'immagine "Ultima Cena" della ritrattista russa Tsarkova
 


Se dovesse trovare una forma di preghiera o meditazione quale suggerirebbe?

 
Mi viene in mente un brano di J. L. Borges che riguarda proprio la formulazione di una preghiera che condivido pienamente eccolo:
 
La mia bocca ha pronunciato e pronuncerà, migliaia di volte e nelle lingue che mi sono intime, il “padre nostro”. ma io non lo capisco che in parte. Questa mattina, quella del primo giorno di luglio del 1969, voglio tentare una preghiera che sia personale, non ereditata. So che si tratta di un’impresa che esige una sincerità quasi sovrumana.

È evidente, per cominciare, che mi è vietato chiedere. Chiedere che non si offuschi del tutto la mia vista sarebbe pazzia; so di migliaia di persone che vedono e non sono per questo più felici, giuste e sapienti. Il processo del tempo è una trama di effetti e di cause, di modo che chiedere qualsiasi mercede, per infima che sia, è chiedere che si rompa un anello di quella trama di ferro, è chiedere che si sia già rotto.

Nessuno merita un tale miracolo.

Non posso supplicare che i miei errori mi siano perdonati; il perdono è un atto di altri e io soltanto posso salvarmi. Il perdono purifica l’offeso, non l’offensore, col quale il perdono non ha quasi relazione. La libertà del mio arbitrio è forse illusoria, ma posso dare o sognare che do. Posso dare il coraggio, che non ho; posso dare la speranza, che in me non alberga, posso insegnare la volontà d’imparare quel che so appena o che intravedo.

Voglio essere ricordato meno come poeta che come amico ; che qualcuno ripeta una cadenza di Dumbar o di Frost o dell’uomo che vide nella mezzanotte l’albero che sanguina, la Croce, e pensi che per la prima volta l’udì dalle mie labbra. Il resto non m’importa; spero che l’oblio non tardi.

Ignoriamo i disegni dell’universo, ma sappiamo che ragionare con lucidità e operare con giustizia è aiutare quei disegni, che non ci saranno rivelati.

Voglio morire del tutto; voglio morire con questo compagno, il mio corpo.


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