giovedì 6 novembre 2014

Il corpo incorrotto segno di una grande anima?

Antonio Rossi

IL SEGRETO DEGLI INCORRUTTIBILI



Chiunque si sia trovato a vagare in piccole o grandi chiese o cattedrali più o meno importanti, sarà rimasto senz'altro sbalordito nell'ammirare il corpo intatto di un santo avvolto in paramenti sontuosi all'interno di una teca. Certo, a volte si tratta di manichini di cera che ne racchiudono le ossa e ne riproducono le fattezze, ma più spesso quello venerato dai fedeli è il vero corpo integro. Di fronte a quei cadaveri proviamo sentimenti di paura, forse perché come ritiene Renato Grilletto, uno che di mummie ne sa, nessuno lo vede alla stregua di esseri umani, ma come oggetti di culto. Se per i credenti quell'"abilità" nell'eludere le leggi della natura rappresenta un indubitabile segno miracoloso, la si può davvero attribuire alla grazia divina? Quando un essere muore, i batteri naturali presenti nelle viscere avviano la decomposizione del corpo, a meno che fattori naturali o artificiali interrompano i processi microbici e le attività enzimatiche, consentendogli di conservarsi. La mummificazione spontanea può esse indotta sia da specifici presupposti climatici, come aridità estrema o freddo intenso, sia da particolari condizioni ambientali, come l'assenza di batteri e umidità o la presenza di agenti dalla spiccata azione inibente (muffe e funghi). Un'altra spiegazione poi è il processo di cerificazione o saponificazione, dove in sostanza il grasso sottocutaneo si trasforma in una sorta di massa saponosa insolubile detta adipocera e il cadavere subisce un indurimento della pelle. È sin troppo ovvio sottolineare che alcuni di questi processi fisiologici hanno fatto gridare, a prima vista, al miracolo. 

La questione sulla presunta incorruttibilità dei santi è stata scarsamente oggetto di ricerche scientifiche. Sovente sono state proprio le autorità ecclesiastiche a ordinare esami atti a verificare se per la conservazione dei cadaveri fossero state utilizzate sostanze e se gli organi interni si trovassero ancora al loro posto. In molti casi, le viscere si sono rivelate intatte o quasi, se si eccettua le situazioni in cui furono asportate per farne delle reliquie, e non sono emersi indizi che facessero pensare a una deliberata imbalsamazione. La prima cosa che viene in mente è che le salme furono sottoposte a qualche trattamento più o meno tradizionale. I corpi si conservano particolarmente bene sotto formalina, alcool, sale e sabbia, ma anche col rhum, il miele e il guano che hanno le medesime proprietà. Tuttavia, la conservazione talora è dovuta a cause spontanee, per esempio le particolari caratteristiche del suolo o l'ambiente asciutto e privo di polvere. Oltretutto non sono affatto rare, in tutta Europa, cripte dalle "speciali virtù" in cui sono stati riesumati corpi intatti. Scavate nella fredda terra o rivestite di pietra alcalina, grazie alla loro temperatura costante e all'ambiente inerte, alcune di esse hanno creato i presupposti chimicamente e climaticamente adatti per una perfetta mummificazione naturale. […]



Il corpo di Papa Giovanni XXIII


Nel XX secolo la Chiesa era ricorsa a tecniche artificiali per la conservazione dei Papi e di probabili santi passati a miglior vita. Aveva fatto leva sulla forza dell'antico e inossidabile culto dei santi per ispirare i fedeli e attuare i propri intenti: quello di portare dalla propria parte i personaggi di maggiore consenso popolare. Era accaduto anche in passato? Le notizie più antiche e certe riguardo al trattamento delle salme dei Papi risalgono al pontificato avignonese (1305-1337), quando, prima di essere deposti nel feretro, i corpi venivano ben rasati e lavati dall'apotecario e dai cosiddetti "Fratelli della Bolla" con vino riscaldato assieme a erbe aromatiche. Venivano occlusi gli orifizi con bambagia e stoppa e la bocca, le orecchie e le narici erano riempite di aromi e spezie come mirra, incenso, muschio e aloe. Da ultimo, si ungevano le mani con balsami. Questo procedimento fu utilizzato fino al XV secolo, poi si iniziò ad adottare altri sistemi piuttosto complessi. Si introducevano negli intestini, per via rettale, mirra, galla moscata, sandalo, legno di aloe, cimino e allume con aceto, il tutto sciolto in acqua di rose. Per impedire la fuoriuscita di questo liquido si otturava l'ano con bende resistenti. S'iniettava vino aromatico all'interno della testa e si procedeva a spalmare il cadavere con una sorta di pece nera (alchitran). Si ricopriva infine tutto il corpo di sparadrappo, un cerotto fatto di resina, colofonia, incenso di mastice di storace, gomma arabica e dragante, fasciando tale involto in un lenzuolo pulito che veniva posto in una cassa di piombo ben saldata assieme a erbe odorose. Secondo Gino Fornaciari, celebre anatomopatologo dell'Università di Pisa che da circa 25 anni si occupa di riesumare scheletri e mummie, l'imbalsamazione nel Medioevo era una pratica piuttosto diffusa per conservare i corpi dei personaggi ritenuti importanti dalla comunità come sovrani, nobili e santi. Rispondeva all'esigenza dell'epoca di lunghe esposizioni funebri, indispensabili perché venisse reso alle salme degli illustri il dovuto omaggio. Sebbene le tecniche egizie fossero ormai andate perdute, i medici di corte possedevano evidentemente conoscenze in materia d'imbalsamazione: asportavano le viscere, incluso il cervello tramite craniotomia, e le sostituivano con sostanze conservanti d'origine vegetale (resine e/o piante aromatiche), animale (lana) o minerale (calce). Suturavano poi le incisioni e rivestivano il corpo con abiti. La Chiesa, pur guardando alla scienza con diffidenza quale pericolosa nemica dei dogmi di fede, di tanto in tanto contraddisse questa sua posizione servendosene per raggiungere determinati scopi. 

Si conoscono sette corpi di santi sicuramente da classificare come imbalsamati, tra cui quelli di S. Rita da Cascia (1447) e di S. Margherita da Cortona (1297), le cui autopsie hanno smascherato le ragioni della loro splendida conservazione. Sono molti di più, però, gli incorruttibili che non sono passati per le mani dei chirurghi ecclesiastici. Alcuni corpi come quello di S. Zita non mostrano segni d'intervento umano. Quando negli anni '80 Gino Fornaciari lo esaminò, si rese conto che non presentava incisioni, né tracce di unguenti conservativi o resine sulla pelle. Era intatto e in possesso di tutti gli organi interni. La decomposizione doveva essere stata impedita da altri fattori. Fulcheri sostiene che la conservazione dei corpi dei santi potrebbe derivare da specifiche condizioni ambientali visto che, prima della canonizzazione, in parecchi erano stati seppelliti sotto il pavimento delle chiese in apposite cripte. La presenza di ceri e torce e di un microclima adatto, privo di umidità e batteri, avrebbe favorito ulteriormente l'essiccazione completa dei cadaveri. In epoca medievale la gente comune non aveva idea che la natura potesse conservare i corpi. Era così abituata a vedere cadaveri in decomposizione accatastati sui campi di battaglia o sparsi per le strade, a causa della peste, che una salma incorrotta rappresentava un autentico miracolo! Ma i più eruditi avevano constatato che cadaveri che sembravano ancora freschi iniziavano a disgregarsi non appena venivano rimossi dalle cripte. Questo fatto gettava ombre sulla santità di alcuni individui così, nel 1734, il futuro Papa Benedetto XIV dovette stabilire un nuovo criterio di valutazione per l'incorruttibilità. Solo i corpi che per anni rimanevano morbidi, flessibili, rosei e senza segni di decadimento successivo o d'intervento dei necrofori potevano essere considerati frutto di un miracolo. Il candidato tuttavia era spesso valutato con notevole indulgenza dai fedeli troppo affezionati al proprio santo per poterlo destituire. 



Il corpo di Santa Zita, nella Basilica di San Frediano a Lucca


Paradossalmente, nel Medioevo il corpo era oggetto di profondo disprezzo perché veicolo di dannazione. Per raggiungere la salvezza, i cattolici osservanti lo punivano come meritava mediante l'autoflagellazione, il digiuno e indossando il cilicio che mortificava la carne. Sebbene, inoltre, la Chiesa rammentasse che il corpo era polvere e polvere doveva tornare, questa regola evidentemente non valeva per i santi che fino al 1838 non solo potevano essere acclamati a furor di popolo, ma erano proclamati tali in base alla conservazione perfetta del loro corpo, condizione senza la quale non era possibile avviare le pratiche per l'acquisizione del prestigioso status. L'incorruttibilità dunque era un segno distintivo e inequivocabile di santità, perché riproduceva in parte la perfezione divina. Oggi tale requisito non è più indispensabile. Sulla scia delle nuove scoperte, la Santa Sede si è messa al passo coi tempi e ha praticamente abbandonato il vecchio concetto d'incorruttibilità: è ormai acclarato che, in determinate condizioni, anche i corpi di persone che tutto sono fuorché santi si mummificano naturalmente. La Chiesa non concede facilmente agli studiosi la possibilità di esaminare un presunto caso d'incorruttibilità o di ficcare il naso nei resti dei beneamati dei propri adepti. Solamente di tanto in tanto hanno potuto disturbare qualche "sonno eterno" per chiarire i dubbi legati all'autenticità di certi miracoli e sgombrare il campo da falsità. A ogni modo, come altri miracoli, l'incorruttibilità è accettata dai credenti con o senza indagini che accertino l'esistenza o meno di una spiegazione più plausibile rispetto a quella dell'intervento divino. Non è una questione di dotte congetture, ma di fede. La gente ha bisogno di qualcosa in cui credere, non è disposta a non credere. Il filosofo Feuerbach diceva: «L'essenza del miracolo è la fede nel miracolo».


Antonio Rossi - Hera n° 63 (aprile 2005)

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