martedì 29 luglio 2014

BENEDICARIA LA "MAGIA" POPOLARE SICILIANA E NON SOLO.

                          
  


BENEDICARIA "LA VIA DELLA BENEDIZIONE"

"le cose che facciamo e abbiamo sempre fatto"
La “magia” popolare siciliana che troverete in
queste pagine non ha nulla a che vedere né con
la Wicca né con la cosiddetta Stregheria. Le
tradizioni e le pratiche illustrate sono pagane,
certamente, nel senso che derivano da dinamiche
di villaggio arcaico (pagus: villaggio) ma sono il
frutto di una evoluzione differente. La Benedicaria
(l'Arte di benedire) invece non può essere
assimilata alla Stregheria in quanto pur essendo
pagana attua in un contesto cattolico e non se ne stacca. 
Le antiche reminescenze pagane sono evidenti ma
chi opera questa tradizione non si sente per nulla
pagano, anzi, opera in un contesto cristiano a tutti
gli effetti anche se molte pratiche sarebbero discutibili
a livello squisitamente cattolico. La Stregheria rivolge
le sue attenzioni alla Grande Dea ed al suo compagno
mistico, mentre la Benedicaria è incentrata sul culto
dei Santi, della Vergine, di Gesù e del Creatore, veri ed
indiscussi protagonisti. La “magia” popolare, chiamata
anche “magia” delle campagne, non ha testi scritti, non
esistono manuali o codici, gli unici testi scritti esistenti
sono vecchie orazioni e preghiere, ricavate talvolta da
sgualcite immaginette e da antichi santini. Per secoli
queste pratiche sono state tramandate a voce, in segreto
a chi ne fosse veramente degno. Non esistono costosi rituali
di iniziazione, chi sa fa, questa è la regola, anche se esistono
pratiche di consacrazione a santi particolari, come San
Michele, che permettono una connessione specifica con
lo Spirito, una sorta di giuramento solenne. L’iniziazione alla
“magia” popolare sono fondamentalmente i Sacramenti
della Chiesa Cattolica. Gesù disse: “Tutto quello che
domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo
ottenuto e vi sarà accordato” (Marco 12,24). Questa è
la prima regola che dovrete tenere a mente se desiderate

cimentarvi in questo tipo di pratiche: la fede.

Hitler era un bravo pittore, forse quella era la sua strada






Un quadro inedito di Adolf Hitler, acquarello
su carta raffigurante un paesaggio urbano
di collezione privata, è stato rinvenuto dal
critico d’arte Daniele Radini Tedeschi esperto
di Caravaggio e di arte rinascimentale e
barocca. Pochi sanno infatti che Hitler,
prima di intraprendere la sua carriera politica,
aveva iniziato la professione di pittore, tanto
da guadagnarsi da vivere vendendo i suoi
disegni ed i suoi quadri. Un mestiere che partì
male poiché il giovane Adolf venne bocciato

dall’Accademia di Belle Arti di Vienna.

Tornare indietro

Questa è la vittoria di una oligarchia di potentissimi, di pochi, che lavorano nell'ombra e che tirano le fila della politica globale. Dobbiamo girare le spalle e pensare una strategia diversa. Per certi versi i principi comunisti hanno agevolato, anche loro, l'affermarsi di questo manipolo di persone decise a prendere il potere del mondo......

sabato 26 luglio 2014

A. Camus: "Il Mediterraneo è altrove"



Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, 
ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre. 
Significa incontrare realtà antichissime, ancora vive, 
a fianco dell'ultramoderno. Accanto alla barca del 
pescatore, che è ancora quella di Ulisse, il peschereccio 
devastatore dei fondi marini o le enormi petroliere. 
Significa immergersi nell'arcaismo dei mondi insulari 
e nello stesso tempo stupirsi di fronte all'estrema 
giovinezza di città molto antiche, aperte a tutti i 
venti della cultura e del profitto e che da secoli 
sorvegliano e consumano il mare. Certamente 
ancora oggi il Mediterraneo è custode della vita di 
molti popoli, rievocandone le radici e le origini 
comuni. Ma il Mediterraneo, crocevia di civiltà, non 
è destinato a rappresentare un mito del passato. 
Che cosa resterà nella nostra cultura mediatica e 
tecnologica delle sedimentazioni millenarie e delle 
culture stratificate che hanno alimentato i popoli del
 mare? Che cosa oggi ha preso il posto dei viaggi e 
delle esplorazioni, degli scambi e delle migrazioni 
dei popoli mediterranei? Come il Mediterraneo è 
vissuto da questi stessi popoli, oggi?


giovedì 24 luglio 2014

Finalmente qualcuno si prende la responsabilità e l'onere di di dare continuità all'arte




ROMA – È successo ieri pomeriggio alla Galleria 
Nazionale d’Arte Moderna di Roma in occasione della mostra
“Fontana e l’Italia”. Erano da poco passate le 17 quando gli 
addetti alla sicurezza hanno avvicinato
un’anziana signora che sostava da oltre dieci minuti a distanza 
ravvicinata dalla celebre opera
“Concetto spaziale” dell’artista Lucio Fontana. Solo allora 
si sono accorti che il “taglio” di Fontana
era stato abilmente ricucito. “Credevo si fosse strappata la 
stoffa allora l’ho rammendata”, ha detto la
signora Palmira, sarta in pensione, agli addetti alla sicurezza.
Il direttore del Museo stima il danno in circa 8 miliardi di euro. 
“È impossibile recuperare l’opera,
facciamo prima a farne un’altra”, ha affermato brandendo 
un rasoio. Nel frattempo l’incidente sta avendo un risvolto 
inaspettato: da stamattina, infatti, sono migliaia le persone in 
coda per ammirare “Il rammendo” di Palmira.
 06-02-2013  Eddie Settembrini

domenica 20 luglio 2014

La Grande legge dell'evoluzione umana



Non servono testi di centinaia di pagine, per giunta definiti sacri: Antichi Testamenti, Vangeli. Come testi buddisti, induisti, scintoisti ecc.
Basta la sintesi racchiusa in una semplice frase che fa superare all’uomo la fase animale:
<>Una frase adottata da tutti i sistemi religiosi, un assioma etico dove il mondo inizia la grande Metamorfosi.

Dobbiamo superare l’uomo che pensa e proiettarci verso l’uomo che AMA!

venerdì 18 luglio 2014

Le maledizioni in un mausoleo scoperto a Ostia

l Messaggero › Roma › Cronaca 

Ostia, scoperto mausoleo

 del III 

secolo con iscrizioni 

terribili e 

maledizioni

Il sepolcro di un fanciullo inserito in una 

struttura a tamburo 

era protetto da iscrizioni terribili contro 

profanatori e sacrileghi

i
di Giulio Mancini
Un mausoleo a tamburo esagonale, che ricorda
quello di Cecilia Metella sull'Appia ma dalle
dimensioni molto più ridotte, è venuto alla
luce a Ostia Antica nel corso di una campagna
di scavo condotta dalla Soprintendenza
archeologica insieme con i ragazzi del
“The american institute for roman culture”.



Ostia Antica, scoperto un
mausoleo del III secolo

Il cantiere si trova nel Parco dei Ravennati,
a metà strada tra la Cattedrale di Sant'Aurea
e Porta Romana di Ostia. Al suo interno sono
state recuperate una decina di sepolture
appartenute a una famiglia di nobili benestanti
dell'epoca tra il III ed il IV secolo dopo Cristo.

Nel mausoleo è stata scoperta una tomba di un
bambino coperta da una lastra di piombo con
una maledizione: un messaggio terribile per i
profanatori e magico per i nemici del defunto.
«All'interno del muro perimetrale che conteneva
il sepolcro – segnala Paola Germoni della
Soprintendenza di Ostia – abbiamo trovato
su una tomba di un bimbo una lastra in piombo
con il foro di un chiodo le cui caratteristiche ci
fanno chiaramente comprendere che si trattava
di un supporto scrittorio a protezione del corpo
del bambino. Su questo supporto scrittorio
venivano lanciate terribili maledizioni contro i
profanatori della tomba, auspici di gravi malattie
e di morte con dolore nei confronti dei sacrileghi».

Le tombe ritrovate in prossimità del mausoleo
sono disposte in maniera compatta e ricoprono
sepolture precedenti in ambienti decorati con
affreschi. Molte risultano essere state violate,
altre sono intatte. Il riuso del monumento funebre
è attestato per un lungo periodo, fino al
medioevo, forse in associazione con il culto di
Santa Monica o di Sant'Aurea.

La straordinarietà della scoperta consiste
anche nel metodo di lavoro: agli scavi, infatti,
hanno contribuito una trentina di studenti
provenienti da tutto il mondo: Usa, Australia,
Svezia, Danimarca, Canada. A dirigerli il team
composto da Paola Germoni, Darius Arya, Michele
Taddi, Flora Panariti e Angelo Pellegrino.

A pochi metri di distanza dal mausoleo di tarda
età Repubblicana, sono stati individuati ambienti
domestici della fine del IV secolo. La prosecuzione
degli scavi iniziata nel 2013 ha ampliato l'area
visibile del pavimento in opus sectile, caratterizzato
da coloratissimi marmi che definiscono un disegno
geometrico. «Questo pavimento - ha sottolineato
Germoni - è straordinario per la sua raffinatezza,
anche rispetto all'opus sectile ostiense di Porta
Marina. I marmi utilizzati sono d'importazione e
altamente pregiati. Lo scavo di quest'anno ha
messo in luce il motivo centrale del pavimento
con elementi lineari, ma estremamente complessi
che vedono alla base una conoscenza di disegni
importati probabilmente dall'oriente».

Accanto alla domus è stata portata alla luce una
vasca di epoca medievale. L'ipotesi degli scienziati
è che possa essere stata utilizzata per la lavorazione
del pesce. Una strada basolata del III sec. divide
'abitazione dal mausoleo.
Giovedì 17 Luglio 2014 - 15:38
Ultimo aggiornamento: Venerdì 18 Luglio - 09:55
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martedì 15 luglio 2014


15 luglio 2014 Alberto Samonà - 
Viva Palermo e Santa Rosalia,
Dea Pagana


Continui riferimenti al mondo della Tradizione sono riscontrabili 
nel significato che nei secoli i palermitani hanno dato al Monte 
Pellegrino, la montagna che sovrasta la città. Il mito fa risalire 
a Saturno la fondazione del “castello di Cronio” alle pendici 
del Monte; dunque, secondo la leggenda, questa montagna 
avrebbe addirittura origini divine. È certo, peraltro, che nel
periodo precristiano proprio il Monte Pellegrino era considerato 
un luogo dal forte significato spirituale, rappresentando per 
tutti una vera e propria montagna sacra.
L’idea della sacralità del Pellegrino sarebbe stata 
particolarmente radicata tra gli abitanti delle comunità 
che risiedevano nella cosiddetta “Conca d’oro” (la pianura 
di Palermo), tanto che in epoca punica, all’interno di una 
grotta situata quasi sulla vetta del Monte venne costruito un 
altare, dedicato a divinità femminili della fertilità, prime fra 
tutte alla Dea Tanit.
festino14
E non pare un caso che proprio la grotta nella quale venne 
realizzata questa edicola punica, molti secoli dopo sia diventata 
il principale luogo di culto del popolo palermitano: quello 
dedicato alla SantuzzaRosalia Sinibaldi, la nobile 
palermitana vissuta nel XII secolo e successivamente 
dichiarata Santa: trasposizione in chiave cristiana della dea 
dei tempi precedenti.
Peraltro, la grotta che ospitava questo santuario 
pagano era anche attraversata da unafalda acquifera e 
questo particolare non fece che favorire il convincimento
di trovarsi di fronte a un luogo impregnato di spiritualità, 
anche in ragione della sacralità, attribuita dagli antichi al 
simbolo delle acque. È quasi certo che il culto praticato 
nella grotta abbia influenzato anche i successivi cristiani, 
che nel periodo bizantino, all’interno della medesima cavità 
realizzarono una piccola chiesa con un quadro dedicato alla 
Madonna: costruzione, addossata proprio all’originaria 
edicola punica.
Il Monte Pellegrino venne, dunque, considerato sacro dai 
palermitani anche dopo la fine del periodo pagano, ma la 
portata evocativa dei culti precristiani rimase pure in epoca 
successiva: e infatti, all’interno della stessa grotta sacra le 
pratiche cultuali proseguirono, pur se nel segno della nuova 
religione cristiana. Dunque, per gli originari residenti della città 
e per i primi cristiani la grotta fu il principale luogo di culto della 
montagna che sovrasta Palermo, ritenuta sacra perché originata 
da volontà divina. E, a partire dal V secolo d.C., proprio il Monte 
Pellegrino divenne meta di decine di eremiti, che scelsero questo
luogo isolato come proprio ritiro spirituale: la grotta dentro se stessi 
– direbbero gli iniziati – in cui chiudersi per ricercare la luce 
interiore: il v.i.t.r.i.o.l alchemico, tappa iniziale per ogni cammino 
iniziatico che porti alla conoscenza di se stessi.
festino14.
[...] E nei secoli il fenomeno dell’eremitaggio sul Monte divenne 
particolarmente diffuso, tanto che nel 1162 il Pellegrino sarebbe 
stato scelto da Rosalia Sinibaldi come luogo in cui vivere la propria 
solitudine in preghiera: e la giovane, che successivamente sarebbe 
divenuta la santa patrona di Palermo, scelse come proprio ritiro la 
stessa grotta che era stata cara sia ai pagani che ai primi cristiani.
Inoltre, proprio all’interno della grotta dove visse e morì Santa 
Rosalia, nel 1624 vennero rinvenute le sue ossa: a quel tempo
Palermo era infestata dalla peste e si decise di portare le ossa di 
Rosalia in processione per le vie cittadine, perché già allora la nobile 
palermitana era venerata in tutte le classi sociali. Quell’atto diede gli 
effetti sperati, perché i compilatori dell’epoca riferiscono che la peste 
cessò immediatamente dopo che erano state portate in processione le 
reliquie della giovane, che dopo tre anni fu ufficialmente dichiarata 
santa e divenne la protettrice della città.
Da allora la grotta del Pellegrino è stata ribattezzata “grotta di Santa
Rosalia” e da secoli è considerata il luogo più sacro di Palermo, tanto che, 
anche ai giorni nostri, in occasione della Festa della Patrona migliaia di 
palermitani la raggiungono a piedi, attraverso il vecchio sentiero che 
dalle pendici del Pellegrino giunge alla sua vetta.
Nel 1180, si diceva, vien fatta erigere una chiesetta in onore della 
Madonna e di Rosalia e dal 1205 sulla Montagna sarebbe stato 
praticato il culto a lei dedicato. Nel 1474, poi, a seguito di una 
pestilenza precedente rispetto a quella del 1624, il Senato palermitano 
decise di restaurare la medesima cappella dedicata alla stessa 
Rosalia Sinibaldi. In merito al culto precristiano, il Giustolisi nel 
1979 conferma la tesi dell’esistenza nella grotta di un antico 
culto dell’acqua salutare che si personificava in origine in 
una ninfa, successivamente interpretata da una divinità
ellenica molto simile all’Atena Kronia, da Tanit, da Iside, 
dalla Madonna e infine (appunto) da S.Rosalia […]
Solo apparentemente a Palermo il simbolo civico e laico (il Genio
si contrappone a quello mistico e religioso (Rosalia), poiché 
entrambi sono influenzati da un “ricordo” popolare e da tradizioni 
radicate in città fin dai tempi dei primi insediamenti abitativi.  
Entrambi fanno riferimento agli originari culti praticati sul Monte 
Pellegrino: Rosalia trasfigurazione cristiana della Dea Tanit e 
Panormus, il Genio della comunità civica, che sovraintende 
spiritualmente ed energeticamente al luogo in cui la città si sviluppa.
Articolo tratto dal brano di Alberto Samonà “Il Genio 
di Palermo e il Monte Pellegrino – influenze iniziatiche 
nel capoluogo siciliano” (Hiram 1/2002)

lunedì 14 luglio 2014

Il padre di Albert Einstein e Isola della Scala

Mulino del Palasio

Lungo il fiume Tartato all'altezza di via Emili 
si trova un antico mulino
Nei primi anni del '900 Rudolf e Hermann
 Einstein installarono, all'interno di questo 
mulino, un generatore che mosso dalla forza 
delle acque del fiume produceva energia 
elettrica. Uno dei primi contratti per la
 fornitura di energia elettrica, che reca 
la data del 2 aprile 1901, venne sottoscritto 
dall'Abate di allora don Vincenzo Manfredi 
per l'illuminazione del complesso Abbaziale: 
erano previste sei lampade per la Canonica
quattro lampade per la Chiesa e due lampade 
per la sagrestia; il contratto prevedeva che le 
lampade fossero tutte da 25 candele ma che 
potessero essere momentaneamente sostituite 
con lampade da 32 candele in occasione di feste 
particolari. La corrente, fornita esclusivamente 
per l'illuminazione, era erogata dal tramonto 
all'alba. Presso l'archivio Parrocchiale è 
conservato sia il contratto per la fornitura 
di energia elettrica sia una bolletta; il costo
era fisso commisurato al numero delle lampade e
pertanto non si pagava, come oggi, l'effettivo consumo.
Hermann Einstein era il padre del più noto Albert 

Einstein ideatore della teoria sulla relatività generale; 
Albert soggiornò per un periodo a Isola della scala, ne 
è la prova una lettera che lo stesso Einstein scrisse al 
Prof. Salvatore Antonucci del dipartimento di fisica di
Pavia nel 1951. La lettera riporta:"[...] una volta ho 
accompagnato lì a Isola della Scala il mio caro padre".1

Sacre leggende della tradizione nordica

Il seiðr, in Dag Strömbäck

Recensione del libro Sejd. Textstudier 
i nordisk religionshistoria, di Dag 
Strömbäck (Stockholm 1935). Di Luca Taglianetti.


Nel primo capitolo, che copre metà del libro, Dag 
Strömbäck riporta tutte le saghe, le strofe eddiche, 
i racconti brevi in cui appare il termine seiðr 
(e affini) nella letteratura norrena. A un 
lettore moderno potrebbe sembrare un 
semplice lavoro di «trova» e «copia e incolla»,
ma voglio ricordare che questo saggio è
stato pubblicato nel 1935, quando non esistevano
i supporti tecnologici che abbiamo oggi: l'autore
ha compiuto è in realtà un lungo e importante
lavoro di ricerca attraverso le edizioni e i
manoscritti delle varie fonti, e discute inoltre la
datazione e la possibile origine del materiale. 

Il secondo capitolo affronta i termini specifici
che riguardano il seiðr. Il primo interessante
dettaglio è che, stando a diverse fonti, il
seiðr veniva condotto su unseiðhjallr.
Alcuni studiosi hanno inteso che la vǫlva,
o veggente, sedeva su una sedia o su un
trono rialzato; in realtà, come si evince
anche dall'uso dialettale in norvegese e svedese
del termine hjall, si tratta di un luogo più grande
e ampio, una specie di scranno e non una mera
seduta comune. Qual era la funzione di questo
luogo elevato? Axel Olrik ha cercato di intendere
che la vǫlva doveva trovarsi in un luogo
sopraelevato per staccarsi dalla realtà terrena
ed entrare più facilmente in contatto col mondo
degli spiriti; Jacob Grimm invece accomuna lo
hjallr al treppiedi dell’oracolo delfico. Strömbäck
rigetta queste due tesi rifacendosi ad alcune
descrizioni delle pratiche sciamaniche nel nord
della Russia e nella Siberia nord-occidentale riportati
in scritti del sedicesimo secolo, in cui si evince che lo
hjallr serviva semplicemente a evitare che lavǫlva,
durante l’estasi, fosse interrotta o ostacolata da
persone esterne (lo sciamano non poteva essere
svegliato all'improvviso, pena la morte di quest’ultimo),
e che quindi questo palco fornisse un luogo sicuro per
la pratica magica. 
Un altro termine che ricorre spesso è varðlok(k)ur
(una specie di canto magico). Qual è il suo reale
significato? Il termine varð si ritrova in alcuni
dialetti svedesi e norvegesi col significato di
«guardiano», inteso come spirito protettore della
casa; in passato però il termine connotava
semplicemente uno spirito libero dal fardello
corporeo. Invece il termine lokkur è stato
erroneamente interpretato da Olsen come
sostantivo del verbolúka 
«chiudere», cosicché interpretava varðlok(k)ur
come «[colui che] chiude/serra le anime»,
intendendo l'idea di un canto che incatenava
gli spiriti nel nostro mondo, permettendo
alla vǫlva di interrogarli. In realtà lokkur deriva
dal verbo lokka «allettare, far avvicinare,
richiamare», e sembrerebbe sottolineare il
carattere evocativo ed esorcizzante del canto.
La lettura del termine che però dà Strömbäck
è un’altra. Seguendo sempre esempi e descrizioni
dello sciamanesimo lappone, attestati nella zona
intorno Archangel'sk, nel nord della Russia, l’autore
sottolinea come lo sciamano, una volta entrato
in estasi, potesse essere risvegliato solo da una
giovane fanciulla (tema che ritorna anche nelle
saghe nordiche) attraverso una serie di canti
di carattere magico/sacrale. La conclusione
a cui giunge l’autore è che il varðlokkur serviva a
 richiamare l’anima dello sciamano, nel corso del
suo viaggio estatico, al proprio corpo!

Nel terzo capitolo Strömbäck distingue un seiðr 
«bianco», in cui la vǫlva prediceva il futuro
alle persone e veniva anche ricompensata per
questo, e un seiðr  «nero» che serviva a colpire e
persino uccidere i nemici. Nel quarto
capitolo si affronta la tematica degli hamhleypur,
le persone che riuscivano a cambiare forma
corporea. Secondo l’autore questa pratica era appunto
possibile attraverso il seiðr, e proprio questa
caratteristica spiegherebbe i molti luoghi oscuri della
strofa 155 dell'Hávámal (a cui l’autore dedica il resto
del paragrafo):
Questo conosco per decimo,
se io vedo «cavalcatrici dei recinti»
giocare nell'aria,
io posso fare in modo
che esse smarriscano il ritorno
ai loro corpi a casa,
ai loro spiriti a casa
.

Hávámal [155]

Il capitolo conclusivo tira un po' le somme dello
studio, riportando le fonti norrene dove
vengono citati i «finni» (comunemente
creduti come stregoni che praticavano il seiðr), 
e Strömbäck dà una sua possibile interpretazione 
del perché. Nelle fonti norrene, chi 
praticava il seiðr veniva bollato come ergi 
«invertito, omosessuale». Secondo Strömbäck 
si deve all'influenza delle pratiche sciamane 
asiatiche: infatti, nei documenti che ci sono 
pervenuti, spesso si dice che lo stregone si 
vestiva da donna, o indossava monili femminili, 
e molti canti erano di carattere licenzioso e volgare.

Dag Strömbäck (1900-1978) è stato storico delle 
religioni e studioso di cultura popolare 
scandinava presso l'Università di Uppsala. 
Il suo studio dei testi del medioevo nordico 
utilizza una combinazione tra analisi filologica e folklorica.
Luca Taglianetti

domenica 13 luglio 2014

Il vecchio testamento condanna l'astrologia come culto idolatra


Bussola Stellare

Anche se le stanze del Vaticano e molte chiese sono sono colme di riferimente astrologici

Non è mai esistita un'astrologia giudaica (alcuni, pochi, ottimi astrologi ebrei sì, viceversa - su tutti il grandissimo Ibn-Ezra). 

La ragione è facile da comprendere. Il monoteismo mosaico presupponeva-comportava l'eradicazione di tutti gli dei che risplendono negli enti di Madre Terra e dell'universo (di qualunque credenza in essi), A COMINCIARE dagli astri beati e scintillanti. 

Doveva troneggiare sinistro, su una natura resa cosa inanimata e infinitamente manipolabile, solo quel Monos, l'arconte senza volto e senza nome, inattingibile, alieno, il Super-Ego tirannico delle tribù israelitiche che aveva fin da subito posto, nella loro mitologia - nel loro delirio -, il mondo e i suoi viventi in pugno alle mani "elette", stringendo con esse un "Patto" indissolubile. Com'è noto gli akhûm, i non-ebrei, gli stranieri, i gentili, per il Talmud, che porta alle estreme conseguenze le premesse contenute nella Torah, non sono semplicemente sottouomini, ma bestie(1) - il loro seme e coito è bestiale(2), sicché nel Midrash Kohêleth può leggersi: "Il santo e benedetto Iddio ha detto: io non ho inviato alcun profeta agli idolatri, i quali sono chiamati bestiame, come (Giona 4,11) viene detto: inoltre anche molti animali, come io [ne] ho mandati agli Israeliti, i quali sono chiamati uomini, come (Ezechiele 34,31) è detto: voi [siete] uomini"(3)

E la parola "akhûm" è costituita dalle iniziali delle espressioni "abhôdhath kôkhâbhîûmazzâlôth", "abhdehê kôkhâbhîûmazzâlôth", ovvero culto o adoratori delle stelle e delle costellazioni (= idoatria, idolatri)(4). Nessuna corrispondenza, nessun rapporto tra l'"alto" e il "basso", il cielo e la terra, se non per il tramite di qualche invasato mitomane o di operazioni (cabala et similia) volte, in ogni caso, alla manipolazione, al possesso radicale e al dominio dell'immanente, della morta gora mammonica. 

Joe Fallisi


NOTE


(1) Baba meçia,114b.

(2) Kethuboth, 3b, Tôsâphôt; Synhedrin, 74b, Tôsâphôt.

(3) Cfr. Andreas Eisenmenger, Entdektes Judentum. Zeitgemäss überarbeitet und herausgegeben von Dr. Franz Xaver Schieferl, Dresden 1893, p. 298.

(4) Cfr. D. Hoffman, Der Schulchan Aruch un die Rabbinen über das Verhältniss der Juden zu Andersgläubigen, Berlin 1885, pagg. 106 sgg.