lunedì 26 maggio 2014

Pensieri e riflessioni su Bataille sul sacrificio e il sacro.....



In Georg es Bataille (1897-1962) il sacrificio non è un tema: è il tema per eccellenza, quello in cui si raggrumano tutte le altre questioni (il problema della guerra, della religione, della festa).

E Bataille, pur senza affermarlo esplicitamente, sta quasi suggerendo che la catena mezzo/fine è più antica rispetto a quella causa/effetto. Con la creazione di utensili e col lavoro, si costruisce il mondo delle cose e la conoscenza esterna: se l’animale non ha una realtà oggettiva, la trascendenza umana è onniavvolgente, nel senso che l’uomo, per essere tale, deve riportare dinanzi a sé ogni altra cosa. Quello animale è, per dirla con Edmund Husserl, un mondo di evidenze originarie e contraddistinto dall’istantaneità eterna, nel senso che l’animale vive nell’istante (non pensa alla propria nascita né alla propria morte); al contrario, quello della trascendenza è il mondo segnato dalla temporalità, che nasce come durata. Quest’ultima è un flusso continuo (si avverte l’eco di Bergson), è negazione dell’eternità dell’animale: nella temporalità della trascendenza, gli oggetti hanno una loro precisa durata, anche se poi finisce per prevalere una sorta di “estasi del futuro”. Ciò induce Bataille a spostare l’attenzione sulla società industriale, che è l’apice della trascendenza. Ma dell’immanenza, a rigor di logica, non possiamo dire nulla, perché parlarne vuol dire oggettivarla e, dunque, entrare già nella trascendenza. La conseguenza è che nell’immanenza non posso conoscermi, giacchè la conoscenza implica sempre, per così dire, uno sdoppiamento tra l’Io e il non-Io: ciò non di meno, ciascuno di noi reca in sé il ricordo sfuocato del proprio stato fetale, in una sorta di reminescenza platonica; la nostra stessa esistenza è costellata da eventi che lavorano per distruggere la trascendenza; dei quali, forse il più importante è il sacrificio. Per come siamo abituati a pensarlo noi, esso mette in contatto l’uomo con la trascendenza divina: ma per Bataille esso non fa che distruggere la trascendenza; è una delle grandi cifre dell’esistere umano, perché ne mette in questione l’essere nella misura in cui lotta contro la trascendenza. Ma Bataille non propone un nostalgico ritorno all’immanenza: egli sceglie piuttosto il paradosso, che lo induce a tenere insieme i due opposti (il ritorno all’immanenza e il non poter prescindere dalla trascendenza), facendoli essere coessenziali. Roger Callois distingue tra “sacro bianco” e “sacro nero”: il primo permette di incatenare l’ordine delle cose, aprendo la via al traffico tra uomini e dèi; ma il secondo scatena, ha un aspetto terrifico e violento. Questi due sacri hanno però un punto di contatto, nella misura in cui l’incatenamento può avvenire solo tramite lo scatenamento; è soltanto il varcare il confine che mi permette di vederlo e prenderne coscienza. Ora, nel sacrificio di cui scrive Bataille sono presenti i due sacri, giacché esso “distrugge ciò che consacra”, in un “consumo definitivo” e irreversibile. Il principio del sacrificio è allora la distruzione: sacrificando, si desidera distruggere la cosalità della cosa, restituendo la vittima al regno da cui proviene (l’immanenza), sottraendola all’ambito dell’utilità (non a caso si sacrificano sempre cose utili). Bataille dedica alcune pagine allo studio antropologico del “potlach”, di quella pratica, diffusa presso certe tribù indiane, con cui il capo-tribù, quando riceve il capo di un’altra tribù, fa un sacrificio con cui spreca e distrugge risorse per dimostrargli la propria sovranità e per legare la controparte, che si vede così costretta a compiere a sua volta un sacrificio ancora più ricco. Il sacrificio è per Bataille caratterizzato dalla morte, la quale – quasi heideggerianamente – non è mai la mia morte, è sempre quella altrui. E con la morte torno ad essere una goccia nell’acqua, ritornando all’immanenza e riconfluendo così nell’insieme magmatico in cui tutto è tutto. Sicchè il sacrificio è la porta che reintroduce nella violenza, nella morte, nell’immanenza: ma è qualcosa che è impossibile e, insieme, necessario. L’erotismo stesso è il momento in cui l’essere discontinuo muore per far vivere un altro essere discontinuo: non è un caso che in francese “orgasmo” si dica “petite morte”, cioè “piccola morte”. Nell’atto erotico si smarrisce il principio di individuazione: tanto l’erotismo quanto il sacrificio implicano la morte. Sartre disse che quella di Bataille era una “buona piccola estasi panteistica”: e alle critiche sartreiane, Bataille risponde in maniera un po’ scontata e banale, limitandosi a riportare e commentare i passi in cui viene accusato. In definitiva, il sacrificio è un rifluire nell’Uno-Tutto: ma nella consapevolezza che si tratta di un riflusso impossibile e al tempo stesso necessario, in un’ottica del paradosso. 

Il corpo e la carne. La comunità secondo Georges Bataille e Simone Weil

di Maria Esposito - 12/01/2006

Fonte: gianfrancobertagni.it

 

L'accostamento di questi due nomi risponde ad una esigenza precisa: l'analisi del
dialogo serrato che impegna i due autori all'interno di un rapporto divaricato da
differenze irriducibili. L'incontro avviene nella Parigi degli anni `30, stagliandosi su
un piano di ampie divergenze: malgrado l'impegno politico comune nell'ambito
della sinistra rivoluzionaria francese, e nonostante la fascinazione che Bataille subì
per la figura di Simone Weil, un elemento di reciproca estraneità sembra marcare
l'impossibilità di condivisione politica e filosofica. La concezione stessa dell'azione
rivoluzionaria, che per Weil è azione metodica, per Bataille scatenamento
passionale, va disponendosi come uno degli elementi di frattura più significativi
1
.
Ma è precisamente qui che si colloca l'interesse del confronto: perché la frattura
nelle posizioni teoriche e nei metodi di azione politica, non è che parte integrante
della natura del rapporto filosofico che li lega, in cui connessioni tematiche e
convergenze teoriche non assumono mai un andamento lineare, simmetrico,
unificabile. Non è un caso che il punto a partire dal quale si intreccia il dialogo tra i
due autori coincida con l'affermazione di un rifiuto: l'affermazione della
impossibilità del Bene. L'impossibilità del Bene viene da entrambi affermata nella
tensione di un desiderio di bene per sua natura irriducibile ai principi di morale per
cui è realizzabile una buona azione, è possibile una buona volontà. Il Bene, per
Bataille e Weil, manca sempre. È impossibile, irrappresentabile, senza opera: è il
posto vuoto, il luogo dell'assenza. Se i prodotti dell'agire umano non soddisfano mai
il nostro desiderio di bene, se niente è bene, allora non rimane altro che desiderare
niente
2
, dissipando l'energia volontaria indirizzata a costruire positivamente un buon
agire. Qui si incastra la questione della comunità: nella perdita del soggetto di
potere, al di là del legame sociale, fuori del vincolo contrattuale. Si tratta di una
sottrazione affermativa: la perdita dell'io come tramite che dischiuda all'altro. Il
movimento di desoggettivazione condiviso dal pensiero dei due autori trova però
non soltanto un approdo asimmetrico (dépense nell'uno e décréation nell'altra), ma,
a conferma della peculiare trama del rapporto che li unisce e insieme divide,

1
Cfr. S. Pétrement, La vie de Simone Wei, Editions Fayard, vol. I, Paris 1973 (trad. it. La vita di Simone Weil, Adelphi,
Milano 1994 p. 280). Si legge da una minuta di lettera di Weil indirizzata al Cercle communiste démocratique:
« Bataille mi ha scritto che desiderava che io aderissi al Cercle, perché molti compagni hanno su di esso - dice - delle
riserve gravi quanto le mie e forse proprio le stesse (...) Ma la rivoluzione è per lui il trionfo del razionale, per me del
razionale; per lui una catastrofe, per me un'azione metodica di cui ci si deve sforzare per contenere i danni (...) Cosa
c'è in comune?".
2
S. Weil, La pesanteur et la grâce, Plon, Paris 1948, p. 99 (trad. it L'ombra e la grazia, Edizioni di Comunità, Milano
1951 p. 136).
incontra un esito comunitario radicalmente divergente: la problematica confluenza
nell'intimità dell'essere in Bataille, la distanza da qualunque comunione e
l'assunzione di una irriducibile esteriorità in Simone Weil.
Il movimento weiliano di decreazione dell'io assume l'impossibilità del Bene come
criterio di orientamento del desiderio. Se il Bene, l'a?a??? platonico al di là
dell'essenza e dell'esistenza, è il criterio del reale
3
, è cioè quella cosa il cui solo
nome basta a dare certezza che le cose di questo mondo non sono beni
4
, occorre che
il desiderio sia svuotato della pretesa acquisitiva indirizzata agli oggetti e orientato a
vuoto come uno sguardo che volge all'irraggiungibile
5
. L'individuo si ritrae nella
immobilità di un'attesa che non conosce intenti distruttivi. La sopportazione del
vuoto è quello stato immobile attraverso il quale lasciare emergere l'impersonalità di
un movimento che crea una battuta d'arresto tra intenzione appropriante del soggetto
e valore di scambio dell'oggetto. La cosa non viene distrutta ma svuotata della
carica immaginaria che l'energia supplementare vi proietta, e consegnata alla
essenzialità del suo valore d'uso. La decreazione, dunque, non recide l'utilità
dell'oggetto, non sacrifica la cosa, ma spezza il legame idolatrico per cui si
congiungono i piani del bene e del necessario
6
, e si fa della cosa un bene. I
meccanismi di acquisizione dell'io, indotti dal prestigio sociale che la forza
promuove, vengono azzerati nella passività di un movimento che, se da un lato esige
lo svuotamento del desiderio, dall'altro chiede l'adesione incondizionata all'ordine
del mondo. Obbedire incondizionatamente alla materialità delle condizioni umane è
il gesto ineludibile della decreazione. Questo significa assumere la necessità, che
nomina la totale assenza di Bene in quanto rete di limiti che ci imprigiona, come il
solo bene di questo mondo. L'amore di ciò che non esiste
7
, il Bene platonico, e
l'amore di ciò che esiste in quanto radicale assenza di Bene, la necessità, connotano
l'esigenza comunitaria del pensiero weiliano. È la materia sensibile - materia inerte e
carne, scrive Weil
8
- il vaglio del reale nel pensiero: è la carne che lavora la materia,
e vi aderisce fino a diventare essa stessa materia docile, il filtro del desiderio in
quanto amore soprannaturale. Il desiderio di infinito non ha presa che nella
finitudine della carne, nella durata del tempo e nella estensione dello spazio: è
dunque il mondo - il luogo in cui il desiderio dell'impossibile si orienta, situandosi
di volta in volta in una condizione singolare e materiale. Il movimento simultaneo di
queste forze opposte - il desiderio di incondizionato incastrato nella necessità
condizionale di tempo e spazio - produce un attrito che ferisce, strappa, e taglia
letteralmente in due l'essere umano. Il corpo in cui si incarna il desiderio sperimenta

3
Cfr. Platone, La Repubblica, Libro VI ­ 509a, Edizioni Laterza, Bari 1997, p. 443.
4
M. Blanchot, L'entretien infini, Gallimard, Paris 1969 (trad. it. L'infinito intrattenimento, Einaudi, Torino 1977, pp.
146).
5
S. Weil, La connaissance surnaturelle, Gallimard, Paris 1950 (trad. it. Quaderni, vol. IV, Adelphi, Milano 1993, p.
253).
6
Cfr. Platone, La Repubblica, 493c, op. cit., p. 405.
7
S. Weil, Quaderni, IV, op. cit., p. 224.
8
S. Weil, Quaderni, vol. IV, op cit., p. 398: "Per l'uomo che vive in questo mondo, quaggiù, la materia sensibile -
materia inerte e carne - è il filtro, il vaglio, il criterio universale del reale nel pensiero, nell'intero ambito del pensiero,
senza che niente ne sia eccettuato".
la perpetua divisione da sé, l'incessante alterazione della propria autosufficienza:
carne obbediente come materia passiva. Il soffio si incarna nel corpo producendovi
un'alterazione permanente, così come il Verbo è Anima del Mondo: spirito
crocifisso alla vastità, "disperso in frammenti attraverso lo spazio e la materia
9
". È
quanto Simone Weil prende dai pitagorici
10
, dal cristianesimo, da alcuni frammenti
della dottrina manichea
11
, cogliendovi un filo rosso di singolare continuità: il ?????
unione dei contrari. Vuol dire che Dio è uno nello smembramento della carne del
Figlio. Non l'Uno indiviso e poi frammentato, ma l'Uno nella relazione simultanea
di divisione, nella relazione trinitaria di Dio a sé, nella separazione simultanea tra
Dio e Dio. Per questo, è avanzabile un'idea weiliana di comunità, il cui termine -
communauté - non si affaccia mai direttamente nella sua scrittura, attraverso il
concetto di incarnazione. L'incarnazione, che non si esaurisce nell'organismo
individuale, fa intravedere l'increato. Ma l'increato - il grano di senape dei Vangeli -
non è che il comune punto di vuoto
12
: il comune inappropriabile. È l'esteriorità
incarnata nel corpo ma irriducibile alla presa umana. Gli scritti weiliani, storico-
politici e religiosi, nominano questa esteriorità dell'inappropriabile che non farà mai
da fondamento per un rigenerato corpo mistico, in grado di unificare tutti in un Uno.
L'unità fa parte per l'autrice dello sfondo totalitario ed idolatrico dei sistemi sociali
e delle speranze di salvezza. La comunità si incarna solo per via di tramiti, di
mediazioni, di µeta??: l'ambiente umano, l'amicizia, l'amore soprannaturale. È alla
luce della questione dell'incarnazione che, nonostante le feconde incursioni testuali
negli ambiti dell'antica gnosi - la dottrina manichea, il catarismo occitano
13
- il
pensiero weiliano non si risolve mai nella dualità dello gnosticismo, dal momento
che il mondo è l'unico possibile, l'unico in cui sperimentare - incarnando - un
desiderio di incondizionato.
Se con il movimento della decreazione la Weil lascia che il vuoto di questo desiderio
s'incarni come una inappropriabile esteriorità, in Bataille, il desiderio di bene che ha
nulla per oggetto
14
, volge in un movimento di eccesso ­ una dépense ­ tale da
investire soggetto ed oggetto nella spirale di un vortice in cui l'oggetto è annientato,
e il soggetto reso estatico nella breccia del movimento. Il rifiuto della morale
tradizionale che identifica il bene con l'utile, spinge l'autore ad affermare che il
bene non è afferrabile se non nel luogo convenzionalmente attribuito al male, perché
consistente in un movimento di apertura all'altro ­ la comunicazione ­ che, violando
i limiti di conservazione degli esseri, arreca un danno sostanziale, se non la perdita

9
Cfr. S. Weil, Cahiers, Plon, Paris 1956 (trad. it. Quaderni, vol. III, Adelphi, Milano 1988, p. 36).

10
Passo di Proclo su Ferecide, Cfr. G. Colli, La sapienza greca, vol II, Adelhpi, Milano 1978, p. 103: "...Ferecide
diceva che Zeus, quando stava per creare, si era trasformato in Eros, appunto perché, foggiando il mo ndo dai contrari,
lo condusse alla concordia e all'amicizia, e in tutte le cose seminò identità e unione pervadente l'universo":
11
Cfr. Frammento di Turfa'n T II D 178 in E. Benveniste, Yggdrasill, p. 9, Paris Aôut 1937, cfr. H.C. Puech, Alla
ricerca della gnosi, Adelphi, Milano 2000, p. 274.
12
S. Weil, Cahiers, vol. Quaderni, vol. III, op. cit p. 177: "L'Incarnazione, presenza di ciò che non pesa, nel mondo
della gravità, sotto forma di un punto pesante".

13
Cfr. D. Roché, Cahiers d'études cathares, Paris 1954 - 1955. Cfr. S. Weil, Lettre à Déodat Roché, in Penseés sans
ordre concernant l'amour de Dieu Gallimard, Paris 1963 (trad. it L'amore di Dio, Borla, Torino 1968, pp. 135- 139).
14
G. Bataille, Memorandum, in OEuvres complètes, t. VI, Gallimard, p. 317: "Nella comunicazione, nell'amore, il
desiderio ha nulla per oggetto. È così in ogni sacrificio".
dell'identità soggettiva. Il desiderio del `bene', dunque, non muove ad un
compimento, ma ad una radicale contestazione del proprio
15
: sfugge al vincolo
identificante dell'oggetto separato per delinearsi come desiderio del non-ente,
desiderio di un dono rischioso perché comunicativo. Nella pratica del sacrificio ­ e
qui si insinua la pericolosa ambivalenza del pensiero batailleano - Bataille individua
la specifica modalità relazionale capace di schiudere la sostanza dei soggetti al nulla
della comunicazione. La cosa - l'uomo stesso è la cosa
16
- non comunica se non è
violata: la cosa custodisce un'intimità
17
- néant - attingibile solo nella violenza di un
atto capace di infrangere l'oggettivazione prodotta dall'ordine discorsivo delle cose.
Nella dinamica del sacrificio, il soggetto fuoriesce per il riverberarsi in un atto che
egli stesso ha compiuto. Ciò che resta è l'atto: l'intima relazione tra gli esseri spogli
di identità. L'effrazione del limite nel corpo sacrificale consente all'autore di
pensare la comunità come rottura dell'accomunamento sociale, fuoriuscita dal
regime di significazione discorsiva, taglio della unificazione omologante che opera
da criterio di individuazione. Nei punti di rottura inferti all'integrità dei corpi si
dischiude una zona di spossessamento, di penetrabilità e di contagio delle reciproche
alterazioni.
Fin qui, una prima scansione del concetto di comunità in Bataille. La questione
dell'intimità sacrificale appare tuttavia un punto denso di risvolti problematici:
perché è ciò che da un lato segna l'acquisizione più importante del suo pensiero,
come lo squarcio di un'intuizione che egli più di altri colse ­ ma dall'altro, è anche
il nodo teorico in cui si insinua un'ambivalenza che tende a riaffermare ciò che
l'autore prova a demolire. Come Nancy rileva
18
, l'intimità di Bataille nomina il
fuori-di-sé, il rovesciamento dei soggetti ad una esteriorità fondamentale
19
,
l'esposizione ad un fuori inappropriabile e non immanentizzabile. Esperienza
insostenibile se non nella sospensione sovrana di un istante, l'esteriorizzazione
batailleana dei corpi rischia tuttavia lo scivolamento in una zona di opacità e di
indistinzione che annulla la distanza, la spaziatura tra gli esseri comunicanti. Il
pericolo del dono sacrificale sta dunque nel fatto che la comune espropriazione delle
identità pervenga ad una effusione, ad un comune identico bordo. Ad un rovesciato
accorpamento. Così come la questione del risveglio all'intimità tradisce in Bataille
una rielaborazione del dualismo tra spirito e materia in una forma di gnosi
paradossale
20
, in cui l'interiorità è l'immanenza, e il polo materiale, il tramite dello
svelamento all'interiorità.

15
R. Esposito, Communitas - Origine e destino della comunità, Einaudi, Torino 1998.
16
G. Bataille, OEuvres complètes, t. VII, p. 312, Gallimard, Paris 1976.
17
G. Bataille, Théorie de la religion, in OEuvres complètes, vol.
VII, op. cit. pp. 281-351 (trad. it Teoria della
religione, SE, Milano 1995, pp. 43-55).
18
J. L. Nancy, La communauté désoeuvrée, Christian Bourgois Éditeur, Paris 1986 (trad. it La comunità inoperosa,
Cronopio, Napoli 1992, p. 69).
19
M. Blanchot, La communauté inavouable, Les Éditions de Minuit, Paris 1983, (trad. it.
La comunità inconfessabile,
Feltrinelli , Milano 1984, p. 16).
20
Cfr. M. Ciampa, La gnosi paradossale in Georges Bataille, in A.A.V.V, Georges Bataille - Il politico e il sacro, pp.
22-28, Liguori, Napoli 1988; F. Di Stefano, Appunti su Bataille e il negativo, pp. 162- 163, in A.A.V.V. Sulla fine
della storia, Liguori, Napoli 1985.
Questa, in estrema sintesi, la difficoltà concettuale che costringe la teoria batailleana
del sacrificio in una direzione capace di ribaltarla nel rovescio della sua intenzione
originaria. Nessun atto sacrificale, per quanto teso al gesto del dono, può recuperare
una comunità tra esseri finiti che non sia opera di morte. L'opera di morte si iscrive
nel sacrificio come la sua destinazione. Nonostante gli sforzi di Bataille tesi a
rinunciare ad una qualsiasi operatività transpropriativa
21
, e nonostante egli pensi al
sacrificio come fine della dialettizzazione del sacrificio, senza transpropriazione o
identificazione mimetica, il suo pensiero della comunità ancorato alla pratica
sacrificale rimane interno al movimento dialettico di un soggetto, un oggetto, e una
fusione. La presa di distanza dalla logica fascista di incorporazione nell'Uno, per cui
la fine della vittima è remunerata dalla trasfigurazione nel vincolo immanente di una
potenza fuori-legge, va tuttavia evidenziata nel fallimento della più significativa
esperienza comunitario-sacrificale di cui Bataille fu promotore: Acéphale
22
. Il corpo
di Acéphale non soltanto nomina il sacrificio del capo, contro il meccanismo di
identificazione in un corpo unitario, ma il sacrificio del sacrificante stesso, la
decapitazione del soggetto. È qui che il modello sacrificale rivela lo scacco. Perché
l'impossibilità stessa di rinunciare a quanto il sacrificio esigeva - il suicidio del
sacrificatore che si fa vittima - mostrò a Bataille l'inservibilità di un modello che
non può aversi se non attraverso una dialettica di soggezione e assoggettamento e
non può compiersi se non nell'opera della morte.
Esiste uno scarto impenetrabile, dunque, e il sacrificio non è che una commedia
23
.
Lo scarto è dato dalla mia presenza alla morte d'altri, come rileva Blanchot ne La
comunità inconfessabile
24
. È dato dalla persistenza dello sguardo dell'altro che si
assenta morendo. Questo pone l'individuo fuori-di-sé, ma senza alcuna possibilità di
mimesi. È uno scarto inassimilabile, sconosciuto alle convulsioni dell'immanenza
animale. La seconda scansione del concetto di comunità in Bataille si registra qui.
La teoria della comunicazione batailleana dice di un da ultimo incomunicabile
25
. Un
bordo inviolabile, irriducibile, impenetrabile al contagio. La comunità non è che
questo: la comunicazione di una impenetrabilità. Un limite invalicabile è il varco
che si dischiude tra me e l'altro.








21
Cfr. J. L. Nancy, Une pensée finie, Éditions Galilée, Paris 1990 (trad. it L'insacrificabile, in Un pensiero finito,
Marcos y Marcos, Milano 1992, pp. 213 - 263).
22
G. Bataille, Acéphale, in OEuvres complètes, vol I, Gallimard, Paris 1970 (trad. it.
La congiura sacra, Bollati
Borlinghieri, Torino 1997).
23
Cfr. G. Bataille, Hegel, la mort et le sacrifice, in OEuvres completès, t. XII, Gallimard, Paris 1988 (trad. it. Hegel, la
morte e il sacrificio, in A.A.VV, Sulla fine della storia, op. cit, p. 83).
24
M. Blanchot, La comunità inconfessabile, op. cit, pp. 19- 20.
25
Cfr. G. Bataille, La littérature et le mal, in OEuvres complètes, t. IX, Gallimard, Paris 1979, (trad. it La letteratura e
il male, SE, Milano 1987, pp. 182, 183).

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Il sesso di Bataille è radicato nella dimensione del Sacro, una volta svuotata dell'idea di Dio, che com'è noto un certo giorno "è morto". A proposito di questa morte alquanto complicata, bisogna ricordare che per Bataille ebbe un riscontro biografico: dopo il diploma di "archivista paleografo" nel 1922, lui che proveniva da una famiglia intensamente atea ebbe una crisi mistica e passò un lungo periodo presso i benedettini dell'isola di Wight, alla fine del quale tuttavia scoprì l'opera di Nietzsche, che gli diede l'impressione "di non aver altro da dire".

Ecco un'oscillazione tipica di Bataille. Ed ecco il Sacro come una sorta di epilessia profonda. Ed ecco, subito, la Morte, che è la parola più frequente in tutta la sua opera.(...) La vicenda biografica, letteraria, editoriale, filosofica di Bataille (...) è stata smodata, dispersiva quanto concentrata su alcune ossessioni vissute e scritte fino in fondo, o meglio "oltre il fondo". Per capire bene la situazione in cui ebbe luogo, bisognerebbe citare però almeno l'aggressione che Sartre (...) gli preparò nel 1943, quando lo accusò di essere "un nuovo mistico" e di mistificare parole come "notte", "nulla", "non-sapere", "denudamento", nonchè i concetti di "riso", di "impossibile", di "oltraggio". E' una delle tante scemenze pensate e scritte da quell'intelligentissimo uomo che era Sartre, nel momento in cui si stava avvicinando a quel marxismo che l'occhio (l'oeil) non cieco (come quello paterno) di Bataille aveva già letto fino in fondo. (...)
 

 

 

 

 

 

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