sabato 29 giugno 2013

Le insegne Imperiali nascoste per volere di Massenzzio sul colle del Palatino

giovedì 27 giugno 2013

Oberto Airaudi, l'ultimo sacerdote del Dio Horus è morto

Addio “Falco”, fondatore di Damanhur attesi in migliaia per l’ultimo saluto
Oberto Airaudi aveva 63 anni Dal 1975 è stato leader indiscusso della comunità che nel Canavese si ispira al dio Horus: era malato da tempo Articolo di GIAMPIERO MAGGIO BALDISSERO CANAVESE E’ morto Oberto Airaudi, 63 anni, il fondatore di Damanhur, la Comunità esoterica di Baldissero Canavese ma con migliaia di adepti in tutto il mondo. Era malato da diversi mesi, ma non aveva mai smesso di lavorare e di dedicarsi alle sue passioni. Negli ultimi giorni le sue condizioni si sono aggravate fino a portarlo alla morte, questa notte. Aiuardi, detto Falco, originario di Balangero, aveva fondato la Comunità che si ispira al dio Horus nel 1975. «E’ nata per realizzare un sogno, il sogno di una società basata sull’ottimismo e sul fatto che l’essere umano possa essere padrone del proprio destino senza dover dipendere da altre forze esterne a sé». Questa era la visione di Oberto Airaudi quando, con un gruppo d’amici-ricercatori, diede il via all’esperienza spirituale, umana e sociale di Damanhur. Nato a Balangero, Oberto era filosofo, guaritore, scrittore e pittore, molto attivo nell’ambito della ricerca terapeutica, artistica e di nuove scienze. Fu, però, anche al centro di numerose polemiche: una su tutte la realizzazione, a Baldissero, del tempio dell’uomo, finito al centro di un’inchiesta negli anni Novanta aperta dall’allora procuratore capo della Repubblica di Ivrea, Bruno Tinti. Recentemente Falco era stato al centro di un’altra questione: un’evasione fiscale da oltre 1 milione di euro, poi sanata dallo stesso Airaudi. Ora si apre la questione della sua successione: Falco, oltre che il fondatore, era anche la guida e il leader indiscusso della Comunità damanhuriana. Ariaudi è morto nella sua casa di Cuceglio e verrà molto probabilmente allestita una camera ardente. Dopodiché ci sarà, come da sua richiesta, la cremazione. Domenica prossima è prevista a Baldissero una commemorazione in suo onore: a Damanhur sono attese migliaia di persone. Articolo apparso sulla "Stampa" di Torino 24/06/2013

Culti arcaici e simboli eterni nel luogo magico del Pozzo Sacro di Santa Cristina

Santuario nuragico di Santa Cristina situato nel comune di Paulilatino, in Sardegna. Contiene il simbolo della femmina nel recinto esterno e con il simbolo del maschio nel recinto interno, al centro del triangolo scendono le scale verso l'acqua.

mercoledì 26 giugno 2013

Don Milani e il Cardinale Bagnasco in pensione con il grado di Generale di Corpo d'Armata

Oggi ricorre l'anniversario della morte di Don Milani avvenuta nel 1967. La persecuzione più accanita verso questo prete fu attuata proprio dai suoi colleghi ed in specifico dai cappellani militari della Toscana. A seguito del suo scritto "L'obbedienza non è più una virtù"- che metteva in luce la responsabilità individuale e la legittimità del rifiuto di eseguire ordini che procurassero gravi sofferenze e addirittura la morte (di civili come ad Iroscima e Nacasachi), venne denunciato ed in seguito processato negli anni ’60. Con don Milani venne processato anche padre Balducci,( condannato a 8 mesi di carcere), mentre don Milani morì prima della sentenza. Tutto ciò per aver difeso l’obiezione di coscienza e criticato i cappellani militari. - See more at: http://www.brucialanotizia.it/2012/08/19/quei-cappellani-militari-che-guadagnano-come-i-generali/#sthash.ivFpqGMx.dpuf
I cappellani militari e l'obiezione di coscienza Nell'anniversario della Conciliazione tra la Chiesa e lo Stato italiano, si sono riuniti ieri, presso l'Istituto della Sacra Famiglia in via Lorenzo il Magnifico, i cappellani militari in congedo della Toscana. Al termine dei lavori, su proposta del presidente della sezione don Alberto Cambi, è stato votato il seguente ordine del giorno: "I cappellani militari in congedo della regione toscana, nello spirito del recente congresso nazionale dell'associazione, svoltosi a Napoli, tributano il loro riverente e fraterno omaggio a tutti i caduti d'Italia, auspicando che abbia termine, finalmente, in nome di Dio, ogni discriminazione e ogni divisione di parte di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte le divise, che morendo si sono sacrificati per il sacro ideale della Patria. Considerano un insulto alla Patria e ai suoi caduti la cosiddetta "obiezione di coscienza" che, estranea al comandamento cristiano dell'amore, è espressione di viltà". L'assemblea ha avuto termine con una preghiera di suffragio per tutti i caduti. Comunicato pubblicato sulla Nazione di Firenze del 12 febbraio 1965.
La cattiveria dei cappellani militari aprirà verso Don Milani un processo che si fermerà solo dopo la sua prematura morte emarginato dalla chiesa e dalla curia di Firenze. Bisogna domandare al cardinale Bagnasco che posizione avesse verso le cattiverie e la persecuzione del povero prete. Bagnasco oggi cardinale di Genova è un cappellano militare in congedo con il grado di Generale di Corpo d'Armata con una pensione erogata dallo stato Italiano. I cappellani militari costano allo stato oltre 15 milioni di euro l'anno. E tra loro abbondano i vescovi babypensionati con emolumenti d'oro.

La popolare -o bella ciao- è stata tratta da una ballata yiddish 'Koilen'

L'ing. Fausto Giovannardi ha scoperto che la melodia del più popolare canto della Resistenza italiana al nazifascismo è stata ispirata dalla ballata yiddish 'Koilen' arrangiata, ai primi del '900, dal fisarmonicista gitano Mishka Ziganoff. Ziganoff, originario di Odessa, emigrò negli Stati Uniti dove lavorò come musicista klezmer. Il Klezmer è un genere musicale di tradizione ebraica che accompagna feste di matrimonio, funerali o semplici episodi di vita quotidiana (da Wikipedia). Ulteriori dettagli sulla scoperta dell'ing Giovannardi si trovano nell'articolo che Jenner Meletti, del quotidiano La Repubblica, ha dedicato all'intera vicenda (La Repubblica 12/4/2008). Il video mette a confronto i due brani. La versione del brano di Ziganoff, che, a sua volta, sembra essere stata ricavata da un più antico canto tradizionale ebraico, è quella incisa nel 1919 a New York. Di questa incisione viene proposta solo la parte iniziale di circa un minuto (l'intero brano dura più di tre minuti). La versione di Bella ciao è stata tratta da http://www.marxists.org. Le immagini del video sono state ricavate da vari siti Internet. P. S. Da quando è stato pubblicato l'articolo di Jenner Meletti su 'la Repubblica', da più parti è stata messa in dubbio la parentela tra 'Bella Ciao' e la canzone yiddish 'Koilen'. Segnalo al riguardo, per chi volesse approfondire l'argomento, la seguente documentazione tratta da vari siti Internet: http://it.wikipedia.org/wiki/Bella_ciao (informazioni generali su 'Bella ciao') http://it.wikipedia.org/wiki/Mishka_T... (notizie su Mishka Ziganoff) http://www.carmillaonline.com/archive... (articolo di Carlo Loiodice che contesta la derivazione di 'Bella ciao' da 'Koilen') http://www.antiwarsongs.org/canzone.p... (qui vengono riproposti gli articoli de 'la Repubblica' e di Carlo Loiodice, a cui segue la risposta dell'ing. Fausto Giovannardi) Categoria Musica

martedì 25 giugno 2013

Quando non si vuole studiare onestamente i fatti e la storia

La storia come è "rielaborata" e posta in pasto sopratutto ai giovani e alle nuove generazioni è una presa in giro. Riporto questi due brevissimi scritti, per capire quanto è complessa la questione dell'Impresa Fiumana, cartina al tornasole di un Italia dove la destra e la sinistra erano ampiamente superate. L'onestà intellettuale e gli uomini coraggiosi sono sempre le vittime dell'infame potere, oggi come ieri.
Antonio Gramsci difese dalle colonne de L'Ordine Nuovo tanto D'Annunzio quanto la Legione di Fiume, mentre i dirigenti dei Fasci Italiani di Combattimento elaborarono una mozione di condanna per l'attacco a Fiume da parte dell'esercito regio, firmata all'unanimità con l'unica astensione di Benito Mussolini. All'impresa Fiumana aderirono personaggi come Errico Malatesta, Il principale teorico del movimento anarchico italiano, e anche Alceste de Ambris sindacalista rivoluzionario italiano che elaborò, con d'Annunzio, la innovativa e modernissima carta costituzionale detta Carta del Carnaro.
Filippo Turati cosi scrisse ad un suo amico di questi giorni tumultuosi: « Il povero Nitti è furibondo per le indegne cose di Fiume […]. Non solo proclamano la repubblica di Fiume, ma preparano lo sbarco in Ancona, due raid aviatori armati sopra l'Italia e altre delizie del genere. Fiume è diventato un postribolo, ricetto di malavita e di prostitute più o meno high-life. Nitti mi parlò di una marchesa Incisa, che vi sta vestita da ardita con tanto di pugnale. Purtroppo non può dire alla Camera tutte queste cose, per l'onore d'Italia. »

Adriano Olivetti nella sua Biblioteca aveva un libro di Umberto Grancelli

Adriano Olivetti ha lasciato una biblioteca personale di circa 3.000 volumi. Vi si trovano una trentina di libri di Rudolf Steiner, un libro di Massimo Scaligero, vari libri di Julius Evola, di René Guenon, Angelus Silesius, Jacob Böhme, Simone Weil, Giuseppe Tucci, vari libri di H.P Blavatsky, giusto per citarne alcuni. Direi alquanto significativo. Aveva anche un libro di Umberto Grancelli, "Gli ominidi alla conquista del mondo"!

Mistero al Museo Egizio di Manchester

La statua egizia si gira da sola, mistero al museo di Manchester
E' una statuetta del 1800 avanti Cristo, una telecamera immortala il movimento. "Sono vibrazioni" "No è una maledizione egizia" di Federico Ballardin MANCHESTER. L’hanno chiamata "La maledizione della statua rotante" e sta imperversando sulla rete da qualche giorno. La statua in questione è quella di Neb-Senu esposta al museo di Manchester dal 1933. E’ alta pochi centimetri e risale al 1800 avanti Cristo, fu trovata nella tomba assieme alla mummia del suo possessore; si tratta di un dono al dio della morte e dell’oltretomba Osiride: per capirci quello che solitamente viene rappresentato nelle pareti delle tombe egizie con la pelle blu (come quella dei morti appunto). Il fatto è che da qualche tempo questa piccola opera sta facendo impazzire gli inservienti del museo inglese che, ogni mattina, la trovano sistemata nella sua bacheca mentre mostra irrispettosamente le spalle ai visitatori. Chissà, forse ritiene la sua posizione poco consona al suo rango, magari pretende un posto al sole nel ben più celebre British museum di Londra, fatto sta che la sua rotazione di 180° precisi (si sa, gli antichi egizi in geometria avevano 10 e lode...) ha sollevato un mistero ancora irrisolto. Ovviamente, trattandosi di antichi egizi, non si poteva non tirare in ballo la solita maledizione, come quella ormai celebre (e altrettanto smentita) del faraone Tutankhamon. I regnanti del paese della "terra nera", infatti, erano soliti inscrivere nelle tombe anatemi di ogni sorta per scoraggiare i ladri di tesori. Evidentemente Neb-Senu non possedeva poteri degni di un faraone e si è limitato ad una maledizione "sbertucciatrice" da snob dignitario qual era. Nel tentativo di risolvere l’arcano o per immortalare gli antichi spiriti, è stata chiamata in causa la tecnologia: una telecamera fissa ha immortalato la rotazione apparentemente autonoma della statua che, effettivamente, compie il suo giretto mostrando infine le spalle al pubblico, reo evidentemente di non comprendere la grandezza di tale opera. Non è ancora stata data una spiegazione al fenomeno, qualcuno ha ipotizzato che possa essere una rotazione dovuta a leggere vibrazioni prodotte dai visitatori. I curatori del museo parlano invece di una sorta di maledizione. I più cinici parlano più pragmaticamente di trovata pubblicitaria per promuovere il museo. La notizia è stata ripresa dal Daily nmail e dall’Indipendent e chissà che dopo questa campagna mediatica Neb-Senu non ottenga una promozione in una sala dedicata al British museum. Il Giornale di Vicenza.it - Temi Continuativi - ARTE E CULTURA - News

lunedì 24 giugno 2013

Il mistero della Valle della Morte con le sue pietre mobili

La Nasa svela il fenomeno delle 'pietre mobili'
ROMA - La Valle della Morte è uno dei posti più affascinanti del pianeta. Nella vasta area desertica che si estende per 225 chiometri, esiste un luogo che sfida la comprensione umana chiamato Racetrack Playa, un lago asciutto conosciuto in tutto il mondo per il cosiddetto fenomeno delle "pietre mobili". Nessuno che abbia messo gli occhi su di loro è stato in grado di decifrare il mistero di come queste rocce lentamente e invisibilmente si muovano attraverso il deserto, lasciando lunghe scie nella sabbia. Almeno per adesso. Ralph Lorenz della Johns Hopkins University, uno scienziato planetario, ha lavorato nel 2006 ad un progetto della Nasa per la creazione di stazioni meteo nella Valle della Morte, dove le condizioni meteorologiche sono abbastanza simili a quelle di Marte. Come quelli che erano stati lì prima di lui, Lorenz ha sentito il richiamo delle misteriose pietre mobili e ha deciso di provare a scoprire l'enigma dei loro movimenti. Ma neanche i sensori meteo sviluppati dalla Nasa sono stati in grado di risolvere da soli il mistero delle rocce. La vera svolta è arrivata quando Lorenz ha tovato il sito di quella che sembrava una collisione tra due delle misteriose pietre. Invece di sbattere l'una contro l'altra, le rocce non si erano toccate. Era come se una di esse avesse schierato qualche strano campo di forza che avesse deviato l'altra. Ma la spiegazione dei campi di forza non convinse Lorenz. Invece, la scoperta gli ricordò di un fenomeno di cui aveva letto che avviene nella regione artica. I massi nell'Artico sono a volte talmente imprigionati nel ghiaccio da guadagnare abbastanza spinta per galleggiare sul mare. Racetrack Playa durante l'inverno è intermittente coperto da lastre di ghiaccio e spolverate di neve, e secondo i dati meteo raccolti dallo scienziato, la zona poteva essere abbastanza fredda da favorire lo stesso fenomeno. Per confermare la sua tesi, Lorenz ha riprodotto un deserto ghiacciato sul bancone della sua cucina. Ha congelato una pietra su un pezzo di tupperware in una quantità sufficiente di acqua in modo che una parte della roccia sporgesse dal ghiaccio per poi posizionare la lastra ottenuta a "testa in giù" su un vassoio di acqua con la sabbia sul fondo. Il ghiaccio ha permesso alla pietra di galleggiare senza che essa toccasse la sabbia spostandosi solo con un delicatissimo soffio. In precedenza, gli scienziati avevano teorizzato che lastre enormi di ghiaccio bloccassero diverse rocce insieme e che venissero spinte dal vento attraverso il deserto. Tuttavia, i nuovi modelli matematici hanno calcolato che i venti dovrebbero essere a centinaia di miglia all'ora per spingere le pietre in questo modo. La teoria del dottor Lorenz indica che le rocce possono muoversi con solo una leggera brezza, sotto le giuste condizioni, perché il ghiaccio le fa galleggiare, riducendo drasticamente il loro attrito. Nonostante questa nuova spiegazione per il fenomeno delle "pietre mobili", molti visitatori continuano ad attribuire proprietà mistiche alle rocce di Playa Racetrack, secondo i quali magnetismo, alieni o campi energetici misteriosi le muovono. Alcuni dei più superstiziosi credono che le pietre abbiano proprietà magiche. Diregiovani.it

Boldrini, medaglia d'oro della resistenza, uno dei responsabili della strage di Codevigo e di Schio

Quando i partigiani di Boldrini arrivano a Pescantina, hanno modo di incontrarsi col partigiano Gino Bassi — un esponente del locale CLN — che si mette subito a disposizione per avvertire i fascisti accasati qua e là che sono arrivati dei corregionali che avrebbero piacere di vederli. I militi aderiscono con piacere all'invito ma, recatisi in caserma con la speranza di rivedere qualche faccia amica, vengono immediatamente fermati e costretti a salire su dei camion in attesa. In un solo giorno quelli di “Bulow”(questo era il nome di battaglia del macellaio Boldrini) prelevano 26 fascisti a Pescantina e 53 a Bussolengo. Altri 20 militi vengono prelevati dalle baracche vicino all'Adige dai partigiani Zocca e Calligaris del CLN di Bussolengo, caricati su di un camion e consegnati direttamente ai partigiani di Ravenna. Di questi ultimi non si saprà mai più la fine. Questo personaggio lavorò come impiegato a Cesena fino al suo primo richiamo alle armi nel 1939, ove egli si arruolò volontario per circa un mese nella MVSN (la Milizia fascista per far parte della quale era obbligatoria l'iscrizione al Partito Nazionale Fascista), con il grado di "capomanipolo" (corrispondente a Tenente nell'Esercito Regio). Il dopoguerra [modifica] Arrigo Boldrini venne eletto alla Camera dei deputati nella I, II, III, IV, V, VI legislatura, nella XII Circoscrizione (Bo-Fe-Fo-Ra) anche come capolista P.C.I., nonché Senatore nella VII, VIII, IX, X, XI legislatura, in Emilia-Romagna nel Collegio di Ravenna. Al Parlamento fu primo firmatario di diverse proposte di legge e fu Vice Presidente della Camera dal 1968 al 1976 Boldrini, a partire dall'immediato dopoguerra sino agli anni novanta, fu accusato di essere stato mandante come comandante di Brigata di episodi criminosi avvenuti nelle settimane immediatamente successive alla resa di Caserta, quali l'eccidio di Codevigo[12] e di Schio[13], ma nei processi che ne seguirono venne sempre scagionato. La questione della sua responsabilità negli eccidi è tornata, tuttavia, nuovamente alla ribalta a seguito della pubblicazione di una serie di libri scritti da Giampaolo Pansa dedicati alle stragi partigiane durante e dopo l'ultima fase della II Guerra Mondiale.

Le verità scomode dei partigiani non si possono divulgare!

L'eccidio di Codevigo: "Il mio film censurato" La mafia sinistrata colpisce ancora . I comunisti di fatto hanno bloccato la realizzazione di una pellicola verità .... sarà forse perchè in essa doveva comparire il personaggio di un certo comunista Boldrini ?
ravenna L'eccidio di Codevigo: "Il mio film censurato" Il regista Antonio Belluco: "Avevo trovato attori, sponsor, colonna sonora, sceneggiatura e produttore ma dopo il primo ciak sono spariti" 13/novembre/2012 - h. 16.17 RAVENNA - Il regista Antonio Belluco è un padovano di 56 anni che ha lavorato in Rai dal 1983 come programmista e regista per Radio 2 e Rai 3, prima a Venezia e poi a Roma. E oggi ha un progetto cinematografico che, qualcuno - a suo dire - tenta di osteggiare: “Ho pronto un film - ‘Il Segreto’ - sull’eccidio di Codevigo, la più sanguinosa strage mai commessa nel dopoguerra dai partigiani. Un lavoro rigoroso, assemblato dopo un’accuratissima ricerca storiografica, ma dopo i primi ciak, all’improvviso tutti - dagli sponsor al produttore - si sono tirati indietro. Un dietrofront inatteso e sospetto, che mi fa pensare ad un ‘complotto’, come se qualcuno cercasse di sabotare un’opera che, forse, racconta verità storiche troppo scomode”. Le verità abrasive di una delle pagine più nere della storia italiana, una pagina ancora avvolta da tanti misteri. Nessuno, ad esempio, ancora oggi è in grado di dire, con esattezza, quante persone morirono realmente in quella mattanza: c’è chi parla di 136 vittime, chi di 168 e chi di 365, come i giorni di quell’atroce 1945. Un documento dell’arcidiocesi di Ravenna-Cervia ipotizza addirittura 900 morti. Don Umberto Zavattiero, a quel tempo prevosto di Codevigo, annota nel chronicon parrocchiale: “30 aprile. Previo giudizio sommario fu uccisa la maestra Corinna Doardo. Nella prima quindicina di maggio vi fu nelle ore notturne una strage di fascisti importati da fuori, particolarmente da Ravenna. Vi furono circa 130 morti”. Ebbene, de “Il Segreto”, Belluco gira un quarto d’ora dei 105 minuti previsti dal copione, poi il progetto s’incaglia in una sequela di sventure che - a suo dire - sarebbero figlie di un unico disegno: il produttore rinuncia, i contributi ministeriali e regionali vanno in fumo, le banche ritirano i finanziamenti, i collezionisti che avevano messo a disposizione materiale bellico e costumi d’epoca si defilano, la cantante Antonella Ruggiero, dopo aver dato in un primo momento la sua disponibilità, si rifiuta d’interpretare il tema musicale, gli avvocati inviano diffide. Le ragioni? “Ci sono state forti pressioni dall’Anpi e dai partiti di sinistra - è la sua idea - molto semplicemente, non vogliono che esca questo film”. Eppure Belluco - a suo dire - non voleva ricavarne “un’opera ideologica” o un “film processuale”, anche se così ripercorre, sulle colonne de Il Giornale, alcuni episodi salienti di quegli anni: “La 28ª Brigata Garibaldi ‘Mario Gordini’ arrivò a Codevigo il 29 aprile 1945 agli ordini di Arrigo Boldrini, detto Bulow, inquadrata nell’VIII Armata angloamericana del generale Richard McCreery. Vestiva divise inglesi, col basco fregiato di coccarda tricolore. All’epoca Bulow aveva 30 anni. L’ex parlamentare Serena nel libro ‘I giorni di Caino’ scrive che Boldrini era un comunista con alle spalle un passato di capomanipolo nell’81º Battaglione ‘Camicie nere’ di Ravenna, sua città natale. Finita la guerra, sarà deputato del Pci per sei legislature, vicepresidente della Camera e presidente dell’Anpi, l’Associazione nazionale partigiani d’Italia. Decorato dagli inglesi con medaglia d’oro al valor militare. Ma nel mio film di Bulow non parlo. Il comandante brigatista ha un nome di battaglia diverso: ‘Ramon’. Boldrini-Bulow s’è sempre difeso sostenendo che in quei giorni si muoveva fra Padova, Bologna, Milano, Venezia e Adria e mai ordinò le brutali uccisioni. Fatto sta - sostiene Belucco - che i partigiani venuti da Ravenna rastrellarono un po’ in tutto il Veneto appartenenti alle disciolte formazioni della Repubblica sociale italiana e li portarono a Codevigo. Il bilancio dei processi sommari non si discosta molto da quello dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Solo che qui non ci sono un Herbert Kappler e un Erich Priebke...”. In ogni caso, con le luci del set già accese, il film improvvisamente si blocca e Belluco grida al complotto. Colpa - è sempre la sua idea - delle tematiche politicamente scabrose: “Le stesse - svela - che hanno indotto l’avvocato Emilio Ricci, patrocinante in Cassazione con studio a Roma, a inviarmi una raccomandata con ricevuta di ritorno in cui mi notifica che il suo assistito, Carlo Boldrini, figlio ed erede di Arrigo Boldrini, venuto a conoscenza della mia intenzione di ‘girare un film sulle tragiche vicende relative alle stragi accadute a Codevigo nella primavera del 1945, ha evidente interesse a conoscere i contenuti della trama e dell’opera, in considerazione della complessità degli accadimenti di quel periodo e delle diverse interpretazioni-storico politiche che si sono susseguite’. Motivo per cui pretendeva - prosegue il regista - una copia della sceneggiatura. L’invito perentorio mi è stato rinnovato dopo cinque mesi con una seconda raccomandata, identica alla prima. Ovviamente non gli ho spedito nulla. Del resto, non comprendo proprio da quale timore sia mosso il figlio di Boldrini, visto che nel mio film la figura del comandante Bulow, suo padre, non compare proprio”. Belluco non si definisce un “fascista” e neppure “uno di destra”... “Sono solo un cattolico - dice - che crede nella dottrina sociale della Chiesa, nella difesa degli ultimi”. L'eccidio di Codevigo: "Il mio film censurato" - RomagnaNOI

Da una recensione di Michela Saggioro

La rifondazione di Verona Svelata l’origine esoterica e arcana del primo nucleo abitato di Michela Saggioro Verona è una città di misteri e vive di archetipi eterni che si perpetuano incessantemente. E’ quanto rivelano Luigi Pellini e Davide Polinari nel loro “Nascita di una città tra fisica, architettura, mistica e metafisica”, edito a gennaio da Vita Nova. Il libro è dedicato alla storia della rifondazione di Verona: i romani costruirono la città dentro l’ansa dell’Adige, intervenendo sul Colle di San Pietro per creare una macchina scenica che ripropone le forme dell’acropoli di Atene. Una cittadella d’immensa bellezza che colpiva per la maestosità e la luce riflessa dal candore del marmo levigato. Sfruttando l’orografia naturale, la collina fu tagliata e sagomata dai nostri predecessori e ai suoi piedi trovò posto il teatro romano, quasi a dominare e proteggere l’intera Verona. “Nascita di una città” narra delle origini di tutti noi veronesi, abitanti del tempo, da sempre legati al movimento degli astri: come hanno scoperto e decifrato i due studiosi, Verona ha un’origine esoterica. Il luogo di fondazione è certamente Castel San Pietro, sede di riti propiziatori pagani e di insediamenti preistorici, oltre al tempio dedicato a Giano, il dio bifronte a cui pare sia stata dedicata il primo nucleo insediativo. Altri segni mistici della cultura romana e pagana sono presenti nei numerosi ritrovamenti, nei toponimi, nelle tradizioni, nonché nell’iconografia. Pure le caverne e i labirinti di cui è disseminato San Pietro aggiungono fascinosi indizi a una probabile genesi occulta di Verona: l’ipotesi nasce dai due studiosi Pellini e Polinari che ne cercano conferma attraverso una ricerca minuziosa e attenta, senza cedere ai fanatismi ma con rigore scientifico. Questa idea non è nuova per i veronesi più attenti: nel suo saggio “I misteri di Verona romana” del 1956, lo storico Umberto Grancelli conferma il riscontro di archetipi storico-archeologici di questo tipo. Secondo Grancelli, Verona romana non è orientata secondo i punti cardinali, ma è allineata in base al solstizio d'estate. Come spiegano ampiamente da Pellini e Polinari nella loro teoria, la linea immaginaria di fondazione parte dal “piloton” a nord di Montorio, cioè il megalite deturpato poco tempo fa - pare dai cacciatori per liberare l'orizzonte di tiro -, e prosegue in direzione sud-ovest, passando dalla Chiesa di San Giovanni in Valle. Da notare che la festa dedicata al Santo cade proprio il giorno del solstizio, il 24 giugno. Proseguendo nella traiettoria disegnata dalla mente degli antichi si attraversa poi il foro di Piazza Erbe, si imbocca Corso Portoni Borsari e si oltrepassa il punto in cui sorgeva il convento di Santa Lucia Extra, in zona tribunale. Su questo asse si sviluppa il reticolo romano di Verona, con decumani e cardi: un percorso che oltre a rappresentare il percorso astronomico del sole, racchiude in sé le fasi della vita umana dalla nascita alla crescita verso la morte e la stessa storia di ascensione e discesa di tutti gli eroi. La rilettura della fondazione di Verona che i due studiosi di offrono nel loro “Nascita di una città” si basa su miti e leggende, che creano un alone di mistero attorno alla nostra storia. Uno studio che forse potrebbe dar vita ad un turismo culturale e meno commerciale, alla scoperta delle nostre origini e soprattutto delle molteplici e universali forme di mistero che da sempre l’uomo ai posteri.

domenica 23 giugno 2013

Le parole precise di Grancelli sull'orientamento della città di Verona

Il Piloton- Così scrive Grancelli nel suo -PIANO DI FONDAZIONE DI VERONA ROMANA- e precisamente nel secondo paragrafo della “città segreta” -Per la fondazione di Verona, che è orientata non a nord, come si è ritenuto fin’ora, ma sul solstizio, come avvenne di famosi monumenti dell’età del bronzo (ad esempio il grande e sacro cromlech di Stonehenge nelle isole britanniche), e precisamente sul solstizio d’estate, girno in cui il sole tocca la sua più alta declinazione celeste..- In questo giorno particolare il sole, al suo sorgere tocca un monolite nominato Piloton lambendo anche il centro di Piazza Erbe segnando il cardo a fondamento della città.

venerdì 21 giugno 2013

Il sole lambisce la sacra pietra

Questa mattina!

Una canzone leggera ma intonata per il solstizio

Il cristianesimo Romano adora ancora il Sole

Questo è il segno tangibile che il cristianesimo fonda il suo culto su Cristo-Sole, retaggio del lo zoroastrismo e del mitraismo. Il cristianesimo si è innestato sul paganesimo che non è mai morto.

Aspettando l'alba al Piloton

Questa mattina ci siamo trovati ad aspettare l'alba di una notte di mezza estate leggendo una poesia al sole. Una giornata particolare!

mercoledì 19 giugno 2013

Prorprio con il solstizio d’estate, D’Annunzio torna a Fiume

D’Annunzio torna a Fiume
Da Rinascita Dopodomani 21 giugno, nel giorno del solstizio d’estate, Fiume, teatro un secolo fa della gloriosa Reggenza del Carnaro, celebra per la prima volta, dal dopoguerra ad oggi, Gabriele D’Annunzio nel 150° anniversario della sua nascita. Incredibile a dirsi, il Vate, famoso in tutto il mondo, è quasi misconosciuto nella sua città di adozione. Nell’ex Jugoslavia comunista tutto ciò che poteva costituire un richiamo all’italianità, nelle regioni denazionalizzate, doveva essere cancellato, non solo dalla toponomastica ma anche dai libri di scuola, basti pensare che ancora fino a pochi anni fa, ben dopo la caduta del comunismo e la dissoluzione della Jugoslavia, agli italiani, e solo agli italiani, si vietava di comprare case in Croazia nel timore di un contro esodo. Ora si avverte un’aria nuova. Questo venerdì, alle 19, Fiume può finalmente ricordare il suo Comandante, il suo Poeta, sulle rive della piazza centrale, in Calle dei canapini. Le relazioni saranno tenute da Lorenzo Salimbeni, dell’Università di Trieste: “La Lega dei Popoli Oppressi e la politica internazionale della Reggenza del Carnaro” e dal prof. Giovanni Luigi Manco: “Le stelle senza tramonto dell’Orsa Maggiore, emblema dell’inarrestabile carro della redenzione umana.” L’evento patrocinato da Udruga Slobodna Drzava Rijeka (Ass. Stato Libero di Fiume) sarà seguito in diretta dalla stampa e dai canali televisivi croati. - See more at: http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=21572#sthash.2X70qTpM.dpuf "Contro di noi io vedo solo grandi e piccoli mercanti, grandi e piccoli usurai... la stessa oscena cricca di banchieri." (Gabriele D'Annunzio, 4 maggio 1919).

martedì 18 giugno 2013

il sovietico Cicerin in visita a D'Annunzio

Risultati immagini per Il bolscevico Cicerin e d'annunzio
1922: il sovietico Cicerin in visita a D'Annunzio
"Disgustato dall'evidente fretta dei rivoluzionari russi di venire a patti con le Oscure Statue di Cera dell'occidente, egli [D'Annunzio] riservò il suo più macabro scherzo a una vittima bolscevica. Quando, durante la conferenza di Genova del 1922, Grigori Cicerin, l'immensamente erudito e ipocondriaco commissario agli Affari Esteri, visitò il Vittoriale, egli lo invitò a cena in un refettorio francescano. Due legionari portarono una scimitarra meravigliosamente damascata, la deposero sul tavolo e si ritirarono, chiudendo a chiave la porta dietro di loro. D'Annunzio, fissando l'ospite e provando il filo della lama, improvvisamente annunciò: 'Mio caro amico, per certe mie ragioni ho deciso di tagliarle la testa'. Dopo un intervallo di tempo, durante il quale il volto di Cicerin normalmente pallido divenne livido per lo spavento, D'Annunzio sospirò stancamente, lasciò cadere la scimitarra e disse: 'Che peccato! Non sono in forma questa sera. Ho paura che dovremo rimandare la cosa a un altro giorno'. " (da David Mitchell, "L'annata rossa dell'Europa", 1972) - Nella foto,  D'annunzio e Cicerin. al Vittoriale

Riposto il video.....

Riposto il video titolato:-IL MISTERO DI VERONA ROMANA- per chiarire l'importanza del manofatto litico chiamato localmente PILOTON

Per chi non vuole alzarsi di notte

La nascita del sole nel giorno del solstizio .Per rivivere il sogno ini una notte di mezza estate (o il primo giorno d'estate)

lunedì 17 giugno 2013

Finiti i lavori al Piloton

Da qualche giorno sono terminati i lavori di abbellimento e salvaguardia del monumento che sancisce l'orientamento del cardo e così del sistema ortogonale adottato dai romani nel fondare la "nuova" città d Verona dentro l'ansa del fiume alla sinistra dell'Adige. Un grazie di cuore al comitato FOSSI di Montorio Veronese che è riuscito a togliere dall'oblio e dall'incuria il "menhir di Verona"

LA MAGIA DI STONEHENGE È NELLA SUA MUSICA SEGRETA

Cinzia Di Cianni LA MAGIA DI STONEHENGE È NELLA SUA MUSICA SEGRETA
Alla scoperta della dimensione sonora. Nella preistoria e nell’antichità prevaleva su quella visiva, ma oggi l’abbiamo perduta. Ogni parola sussurrata nel centro dell’arena produce nove echi distinti. Alcune frequenze favoriscono la trance tipica dei riti arcaici.
In un'alba nebbiosa del maggio 2009 due uomini si aggiravano tra i megaliti di Stonehenge, facendo scoppiare dei palloncini e registrando i suoni con un microfono al centro del cerchio. Non erano seguaci di culti pagani, ma ingegneri acustici: Bruno Fazenda dell'Università di Salford e Rupert Till dell'Università di Huddersfield. Lo scopo era misurare la «risposta all'impulso», una sorta di impronta acustica del sito. L'accurata levigatura e curvatura delle superfici interne dei blocchi suggerisce che, probabilmente, gli antichi costruttori sapevano come ottenere effetti molto suggestivi. Poiché in quattromila anni Stonehenge ha subito varie manomissioni e molti megaliti sono stati rimossi o giacciono a terra, i ricercatori inglesi sono andati anche a Maryhill, nello Stato di Washington, dove un cimitero militare ospita una versione in cemento di quella che doveva essere la struttura originaria dei sito inglese. I dati sembrano confermare che nel «magico» cerchio ogni parola poteva essere udita distintamente da ogni punto periferico. «Ovviamente a Maryhill è in gioco una maggiore energia acustica, perché lo spazio è chiuso da più superfici e quindi ne “scappa” fuori una minore quantità - commenta Renato Spagnolo dell'Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica di Torino -. Per la stessa ragione il tempo di riverberazione medio risulta più lungo, circa 1,1 secondi, vale a dire quello che caratterizza una sala conferenze ben progettata, mentre sarebbe troppo breve per una buona resa musicale». La ricerca, presentata da Trevor Cox, che insegna ingegneria acustica a Salford, ha dato visibilità all'archeoacustica, una disciplina che sta conquistando autorevolezza un po’ alla volta. Studiosi «di frontiera», come Paul Devereux, David Lubman o il musicologo italiano Walter Maioli, si occupano da tempo della dimensione sonora del mondo antico. E le scoperte si susseguono, partendo da una considerazione che non è affatto ovvia: solo da pochi secoli la visione ha preso il sopravvento sugli altri sensi, mentre in passato l'udito era fondamentale, in un mondo più silenzioso e pericoloso di quello attuale. Ogni rumore poteva celare una minaccia. Ma gli stessi suoni della natura, oltre che la parola, il canto e la musica avevano anche significati sacri o magici, perché si riteneva che permettessero una comunicazione con la sfera divina e con i regni dei morti. I ricercatori dell’archeoacustica sostengono quindi che grotte affrescate, ipogei, edifici e luoghi sacri venissero realizzati ponendo grande attenzione agli effetti sonori o «aurali». Al momento gli studi più approfonditi sono quelli condotti sugli anfiteatri greci e romani: gli ingegneri conoscevano bene i principi fisici e nel tempo riuscirono a migliorare il rendimento acustico, utilizzando materiali compatti, aumentando l'altezza del palcoscenico, modificando l'angolazione e la disposizione delle gradinate e distribuendo tra queste vasi di bronzo con funzione di risonatori. Ma le analisi più impressionanti, forse, restano quelle del gruppo «Princeton Engineering Anomalies Research», diretto dal fisico Robert Jahn: negli Anni 90 ha condotto vari test in siti megalitici risalenti a 5 mila anni fa, come Wayland's Smithy e Cairn Euny nel Regno Unito o Newgrange e Cairns in Irlanda: gli ambienti, sebbene di struttura diversa, mostrano una buona risonanza a una frequenza media di 110-112 Hz, frequenza che è presente nella gamma vocale umana, soprattutto nei toni gravi dei baritoni. Basandosi su queste e altre ricerche, lo psichiatra Ian A. Cook dell' Università di California a Los Angeles ha condotto uno studio su 30 volontari e ha dimostrato che i suoni di frequenza 110 Hz modificano l'attività cerebrale, «silenziando» la regione temporale sinistra e causando «asimmetrie operative» nella corteccia prefrontale, dovute a una predominanza dell'emisfero destro. Il risultato è che i centri del linguaggio vengono depotenziati, mentre sono favoriti i processi emozionali. E' probabile, quindi, che in molte strutture cerimoniali la salmodia o il canto risuonassero con un'eco profonda, che induceva lo stato di trance e favoriva il passaggio a dimensioni «altre». L'Articolo completo: Arianna Editrice Fonte originaria: http://www3.lastampa.it/fileadmin/me...enze/PDF/5.pdf - 26/01/2011

domenica 16 giugno 2013

D'Annunzio anticipò un certo 68

Così D’Annunzio a Fiume anticipò il ’68 Domani a “La Storia siamo noi” il docu-film di Giampaolo Penco prodotto da Videoest
TRIESTE. Quindici mesi protagonista di un’avventura per l’epoca rivoluzionaria: D’Annunzio con la sua impresa a Fiume tra il 1919 e il 1920 è stato oggetto di molte interpretazioni ma non sono in pochi oggi a considerare quel momento storico un’anticipazione dello spirito di protesta sociale e culturale e di creatività esploso decenni dopo nel ’68. Un’epopea politica ed esistenziale a cui Giampaolo Penco e Videoest dedicano un film documentario, “D’Annunzio a Fiume – L’estetica del disobbedisco”, che viene trasmesso domani alle 21 da RaiStoria nel programma “Dixit Guerre” all’interno del contenitore “La Storia siamo noi”. Si tratta dell’ultima produzione della trasmissione curata da Giovanni Minoli il cui futuro è ora incerto: terminato il contratto con Minoli che va in pensione, non è chiaro se la Rai voglia mantenere vivo il format o sostituirlo con altro. La puntata di domani è divisa in due parti intitolate “Baci dalla Francia” e “D’Annunzio a Fiume” e collegate tra loro da un’intervista a Sergio Romano sulla fine della Grande Guerra, la Conferenza di pace di Parigi e il nuovo disordine causato da quegli accordi. Il documentario di Videoest ricostruisce la vicenda che ha visto il “poeta vate” mattatore di una pagina originale e controversa della storia del ’900 occupandosi anche del manipolo di disertori – militari, letterati, artisti – che con entusiasmo e impegno tentarono di creare a Fiume una “città di vita”. Per la maggior parte giovanissimi, molti di loro erano scappati di casa o avevano abbandonato l’esercito per realizzare un sogno collettivo trasgressivo che trasforma Fiume in una controsocietà sperimentale dove sono concessi il ribellismo di massa, il nudismo, l’uso di droghe, l’amore libero e l’omosessualità. La città diventa così il luogo in cui D’Annunzio e i suoi seguaci visionari possono tradurre in pratica molti dei loro ideali estetizzanti e sperimentare una forma di Stato inedita e alternativa al sistema morale e sociale dell’epoca. Nel documentario diretto da Penco si alternano le voci di studiosi e intellettuali tra cui quelle dello scrittore Nico Naldini e di Giordano Bruno Guerri, presidente del Vittoriale, quelle degli storici Giuseppe Parlato e Lucio Fabi e del ricercatore di Storia contemporanea Patrick Karlsen, oltre agli interventi di numerosi collezionisti e degli studiosi Paolo Cavassini e Mimmo Franzinelli. Il film si avvale della fotografia di Paolo Babici e del montaggio di Fulvio Burolo e propone anche immagini provenienti dall’Istituto Luce, dalla Cineteca di Gemona e da archivi privati. Verrà trasmesso anche da RaiTre la mattina del 21 giugno. Corrado Premuda 16 giugno 201

L'allineamento di Verona e Vicenza sul solstizio d'estate

Verona e Vicenza due città allineate e sorte verso il solstizio d'estate, entrambe così legate al dio delle porte solstiziali Giano. Fino a ieri non lo sapevamo, ma passeggiando per via delle Arche Scaligere a Verona o in corso Palladio a Vicenza è come trovarsi fra i misteri delle pietre di Stonehenge o dentro i segreti delle gallerie delle piramidi d´Egitto. Tutti monumenti orientati in base ad allineamenti astronomici. Lo stesso facevano gli antichi romani quando costruivano le città, come ipotizza una ricerca di Giulio Magli, fisico e docente di meccanica razionale al Politecnico di Milano e studioso di archeoastronomia. Che dopo aver misurato e analizzato 38 città italiane fondate dai romani, ha stabilito che l´orientamento ha forti aspetti simbolici legati all'astronomia. E fra queste solo due città sono state concepite duemila anni fa e per motivi ancora misteriosi per essere in linea con il sorgere del sole nel solstizio d´estate: Verona e Vicenza. La ricerca di Magli, che fa parte di uno studio pubblicato nel suo libro "I segreti della antiche città megalitiche", presente tra l´altro sul sito internet del dipartimento di fisica della Cornell University di Ithaca (New York): www.arxiv.org. E il motivo di tanto interesse c'è: un legame preciso fra le città romane e i simboli astronomici non era mai stato approfondito, se non addiruttra negato.Sottolineamo che Verona e Vicenza, tutte e due nate intorno al I secolo dopo Cristo, uniche per allineamento, fra le 38 città prese in esame dallo studio di Giulio Magli, sono allineate con il solstizio d´estate.Così afferma Magli: «Le due città tra l´altro sono anche vicine fra loro, anche se sul motivo di questo tipo di orientamento, come per le tre città dell´Adriatico allineate verso nord, bisognerà indagare ancora». Insomma l´orientamento delle città romane non sarebbe casuale, ma pianificato e voluto. Per motivi ancora ignoti. Così, quando il 21 giugno, giorno del solstizio d´estate, ci troveremo in via Arche Scaligere a Verona o in corso Palladio a Vicenza, ricordiamocelo: magari leccando un cono panna e cioccolato, ma stiamo camminando in mezzo a un antico mistero.

Solstizi ovvero le porte del cielo controllate da Giano

Intorno al 21 giugno il sole celebra il suo trionfo, in quello che è il giorno più lungo dell'anno, ma che allo stesso tempo, rappresenta l'inizio del suo declino. Infatti, dopo il Solstizio d'Estate, le giornate iniziano lentamente ma inesorabilmente ad accorciarsi fino al solstizio d'inverno, in quella che è la fase "calante" dell'anno. Solstizio deriva dal latino sol stat, "il sole si ferma", e, infatti, pare quasi che il sole indugi un pò in questa posizione prima di riprendere il suo cammino discendente. Il sole raggiunge la sua massima declinazione positiva rispetto all'equatore celeste, per poi riprendere il cammino inverso: inizia l'estate astronomica. In Scozia, come del resto in tutti i paesi anglosassoni, il solstizio d'estate viene chiamato Midsummer, che significa "mezza estate" ed è stata resa celebre dell'opera di William Shakespeare, sogno d'una notte di Mezza Estate. Pur se cristianizzata come la festa di San Giovanni (24 giugno) la notte di mezza estate ha conservato tutte le sue valenze magiche. In tutta Europa si traevano presagi ad opera delle ragazze nubili per sapere se si sposeranno ed eventualmente acquisire indizi sull'identità del futuro sposo. La scelta di cristianizzare questa data viene considerata uno dei tanti tentativi della chiesa per rimuovere le credenze pagane, sovrapponendole con le credenze della nuova religione. Infatti il periodo solstiziale era troppo importante all'interno della ritualità precristiana e, a differenza di altri culti, non fu facilemente sradicabile. Il vischio è una pianta solstiziale molto importante nella tradizione celtica: secondo lo scrittore romano Plinio pare che gli antichi druidi raccogliessero questa pianta con una falcetta d'oro, strumento che univa la forma lunare al metallo solare. I rami di vischio al Solstizio d'Estate assumono un aspetto dorato, il famoso Ramo d'Oro dei miti. Il fuoco, acceso in questa notte, viene simboleggiato dai falò accesi un pò ovunque in Europa nella notte solstiziale o di San Giovanni, fuochi che sono strettamente collegati a quelli del Solstizio d'Inverno o ai fuochi di primavera.
GIANO E LE PORTE SOLSTIZIALI Attraverso il solstizio “porta” d’estate si entrava nella genesi e nella manifestazione individuale; attraverso il solstizio “porta” d’inverno, invece, si accedeva agli stati sopraindividuali. Questo simbolismo non era solo greco, ma si trova anche nei testi vedici, anteriori al pitagorismo. Nella tradizione romana il custode delle porte era il dio bifronte Ianus (Giano), signore dell’eternità, come cantano i versi Ianuli del Carmen Saliare: “Tu sei il buon creatore, di gran lunga il migliore degli altri re divini. Cantate in onore di lui, del padre degli dei, sacrificate al dio degli inizi”. Il Carmen Saliare, in latino arcaico, veniva recitato nei rituali praticati dai sacerdoti salii, il cui ordine si fa risalire ai tempi del mitico Re Numa Pompilio Giano che ha uno scettro nella mano destra, emblema del potere regale, ed ha una chiave nella mano sinistra, emblema del potere sacerdotale: insieme simboleggiano la funzione di Re e sacerdote del Dio, al quale Ovidio fa dire nei Fasti: “Io solo custodisco il vostro universo ed il diritto di volgerlo sui cardini è tutto in mio potere”. Ianus, che deriva dalla stessa radice di ianua, cioè porta, è colui che conduce da uno stato all’altro e, dunque, è un iniziatore, nel senso che ha la funzione catartica di eliminare ogni impurità in chi passa attraverso di lui. Celebrare il solstizio ha una funzione purificatrice per poter accedere al mondo spirituale (solstizio d’inverno) e, quindi, poter rinascere a vita nuova (solstizio d’estate), seguendo il ciclo del sole. Le due facce di Giano sono i due (o Jani o Zanni) San Giovanni, Battista ed Evangelista. Nel rosario uno degli epiteti dati alla Maria è quello di Janua Coeli ovvero porte del cielo

Il testo di d'Annunzio ripreso nella "Canzone del Carnaro"

LA CANZONE DEL CARNARO Siamo trenta su tre gusci, su tre tavole di ponte: Secco fegato, cuor duro, cuoia dure, dura fronte, Mani macchine armi pronte, e la morte a paro paro. Eia, carne del Carnaro! Eia Eia Alalà! Con un'ostia tricolore ognun s'è comunicato. Come piaga incrudelita coce il rosso nel costato, Ed il verde disperato rinforzisce il fiele amaro Eia, sale del Carnaro! Eia Eia Alalà! Ecco l'isole di sasso che l'ulivo fa d'argento. Ecco l'irte groppe, gli ossi delle schiene, sottovento. Dolce è ogni albero stento, ogni sasso arido è caro. Eia, patria del Carnaro! Eia Eia Alalà! Il lentisco il lauro il mirto fanno incenso alla Levrera. Monta su per i valloni la fumea di primavera, Copre tutta la costiera, senza luna e senza faro. Eia, patria del Carnaro! Eia Eia Alalà! rit.: Siamo trenta d'una sorte, E trentuno con la morte. Eia, l'ultima Alalà! Eia Eia Alalà! Eia Eia Alalà! Eia Eia Alalà! Il profumo dell'Italia è tra Unie e Promontore, Da Lussin, da Val d'Augusto vien l'odor di Roma al cuore. Improvviso nasce un fiore su dal bronzo e dall'acciaro. Eia, patria del Carnaro! Eia Eia Alalà! Fiume fa le luminarie nunziali. In tutto l'arco Della notte fuochi e stelle. Sul suo scoglio erto è San Marco, E da ostro segna il varco alla prua che vede chiaro Eia, sbarre del Carnaro! Eia Eia Alalà! Da Lussin alla Merlera, da Calluda ad Abazia, Per il largo e per il lungo torneremo in signoria D'Istria, Fiume, di Dalmazia, di Ragusa, Zara e Pola Carne e sangue dell'Italia! Eia Eia Alalà! Dove son gli impiccatori degli Eroi che non scordiamo? Dove son gli infoibatori della nostra gente sola? Ruggirà per noi il leone, di là raglio di somaro. Eia, carne del Carnaro! Eia Eia Alalà!
Siamo trenta su tre gusci, su tre tavole di ponte - tra il 10 e l'11 febbraio 1918 trenta uomini agli ordini di Luigi Rizzo, su tre motoscafi armati noti come MAS, entrarono nella baia di Buccari ed affondarono la corazzata austriaca Santo Stefano. D'annunzio era a bordo del motoscafo di prua, comandato proprio da Rizzo, e dopo l'azione gettò in mare delle bottiglie tricolori con dentro un messaggio di scherno destinato agli Austriaci. I primi versi danno un'immagine sacrale di Rizzo e dei suoi: crociati moderni, votati alla bandiera e alla morte, pronti ad affrontare tutti i rigori che l'azione richiede. Per il resto, è una descrizione poetrica e retorica dei territori che si reclamavano italiani lungo la costa dalmata.

La canzone del Carnaro

Sempre a seguito di d'Annunzio pagano posto questa canzone con le parole del poeta che richiama "l'impresa fiumana". Il fascismo volle mettere radici proprio attraverso quel grido di battaglia coniato dal "poeta", però ricordiamoci che l'unico stato che riconobbe la Repubblica del Carnaro fu l'Unione Sovietica
Correnti storiografiche più recenti e più approfondite (tra i quali Francescangeli e Salaris) ricordano il contenuto Libertario e Democratico della Libera Repubblica di Fiume, la cui Costituzione fu redatta da Alceste De Ambris, sindacalista rivoluzionario, e sarebbe più avanzata in senso democratico e progressista della stessa Costituzione Italiana. Lo stesso Lenin sostenne la Reggenza dannunziana, e come riferì Nicola Bombacci, contestando l'inattività dei socialisti italiani, definì polemicamente D'Annunzio come l'unica persona in grado di portare avanti la rivoluzione in Italia. L'appoggio leninista venne ricambiato: la Reggenza del Carnaro fu infatti il primo regime al mondo a riconoscere l'Unione Sovietica. Bisogna anche ricordare che il mercantile Persia con 1300 tonnellate di armamenti da portare ai controrivoluzionari russi fu abbordato dal capitano Giulietti e dagli uscocchi di d'Annunzio e fu dirottato a Fiume, accolto dal d'Annunzio stesso con tutti gli onori. Una canzone accattivante per la poetica e la musica che ben si lega al testo.

sabato 15 giugno 2013

D'Annunzio pagano

La pazza del Bargello. Il D’Annunzio pagano di Luca Leonello Rimbotti - 04/02/2009 Fonte: mirorenzaglia [scheda fonte]
Come sappiamo, nella cultura europea a cavallo tra Otto e Novecento - corrosa dal degrado positivista - D’Annunzio ha significato la rivolta romantica e dionisiaca del gesto audace, dell’istinto vittorioso, dell’immersione nella sensualità selvatica. Era la rivendicazione di un patrimonio di atavismi che il razionalismo moderno stava spegnendo con la sua violenta irruzione nei mondi della tradizione: di qui l’amore per la bellezza dorica - che l’Immaginifico assaporò nella sua crociera greca del 1895 -, per il lusso dell’estetica, per la volontà di potenza che crea il Superuomo. In D’Annunzio c’è la sintesi del volontarismo di Nietzsche, dello slancio vitale di Bergson e della filosofia dell’azione di Blondel: in lui dunque si riassumono al meglio - nella poesia, nella narrativa, nella vita vissuta e poi nell’interventismo eroico del “poeta-soldato” - tutti i patrimoni culturali e ideologici che la vecchia Europa rilancerà in chiave tradizionale e anti-modernista. E con D’Annunzio, infatti, avremo il tipico rappresentante di quella figura di esteta armato che dominerà gli eventi a partire dalla guerra del 1914: da Jünger a Marinetti, da Soffici a Péguy ai vorticisti inglesi. I messaggi di egualitarismo democratico e di individualismo borghese con cui il progressismo stava già allora sfibrando le radici europee, vennero rovesciati con una rivolta neo-pagana, nuova e antica, intesa a impugnare l’identità arcaica come un’arma estetica, letteraria e, infine, anche politica. Nel tardo Ottocento, D’Annunzio è già una guida per queste energie antagoniste, che saranno l’avanguardia europea delle future rivoluzioni nazionali del XX secolo. Incastonato tra La Vergine delle rocce del 1895 e Il Fuoco del 1900, cioè i due bastioni del sovrumanismo nietzscheano rielaborato da D’Annunzio, c’è un piccolo capolavoro di solito trascurato dagli esegeti - forse perché al frivolo pubblico parigino dell’epoca non piacque il suo andamento sofoclèo e a quelli di oggi giunge estranea ogni forma di pensiero mitico -, ma che ben si inserisce nel filone neo-pagano, che è il fulcro di tutta l’opera dell’Inimitabile. Alludiamo al Sogno di un mattino di primavera, dramma “rinascimentale” buttato giù alla svelta nel 1897, nello spazio di pochi giorni, per placare il dispetto di Eleonora Duse [nel ritratto sotto a sinistra], cui pochi mesi prima era stata preferita Sarah Bernhardt nel ruolo di protagonista della Città morta. In questo apice di vis tragica che è il Sogno, D’Annunzio dà fondo alla sua inesauribile vena visionaria. Del personaggio principale, Donna Isabella, la Demente, impazzita per essersi vista uccidere dal marito l’amante stretto tra le braccia, egli fa un’icona dell’uscita dalla normalità attraverso il più atroce dolore. E dell’ingresso in quell’arcano spazio aperto che è la follia, la grande follia. D’Annunzio scrisse il Sogno di un mattino di primavera in piena febbre nietzscheana: aveva da poco scoperto la grandezza recondita del Solitario, fu anzi tra i primi in Europa a capirne e divulgarne il genio rivoluzionario, ne rimase impregnato e ne impregnò molta parte della sua opera: pensiamo al Trionfo della morte, del 1894, in cui il “superuomo” Giorgio Aurispa esalta il «sentimento della potenza, l’istinto di lotta e di predominio, l’eccesso delle forze generatrici e fecondanti, tutte le virtù dell’uomo dionisiaco». E proprio nel Sogno noi ritroviamo, schermati dietro il tragico destino individuale della pazza Isabella, questi stessi valori. Ciò che D’Annunzio definiva essenzialmente come la «giustizia dell’ineguaglianza». La Demente - creatura per definizione ineguale, inassimilabile alla normalità che appiattisce e livella - diventa il lato femminile e notturno del suprematismo virile e attivo proclamato da D’Annunzio. Chiusa in un micromondo claustrale, circondata dalle attenzioni cliniche dei “normali”, la pazza d’amore è lo specchio teatrale della follia vera in cui si rinchiuse Nietzsche. Ricordiamo che quando D’Annunzio scriveva questa sua prosa tragica, Nietzsche era ancora vivo, ma già da anni tutto avvolto da una pazzia inespressiva, che aveva ormai già dato tutto, e che era il prezzo che dovette pagare per aver troppo a lungo fissato le voragini della mente. Come l’Isabella di D’Annunzio, Nietzsche visse i suoi ultimi anni sorvegliato a vista dai “vivi”, per lo più ignari di quale profonda sapienza ci possa essere in simili fughe dalla “normalità”. Bisogna tornare più spesso al D’Annunzio “minore”, a quello del Libro ascetico della Giovane Italia, dei Taccuini, della Vita di Cola di Rienzo… e a quello del Sogno di un mattino di primavera. Quando ripenso al D’Annunzio folgorale e insieme notturnale, alla sua capacità medianica di trasferire nei posteri i suoi mondi di apparizioni e di presenze arcane attraverso sedute di veri e propri transfert scenici, mi torna alla mente una rappresentazione del Sogno a cui ebbi modo di assistere anni fa, nel cortile del Palazzo del Bargello di Firenze. Qui prese corpo, dapprima lentamente, poi in maniera trascinante, la rarissima sintesi tra l’eloquenza traboccante della parola dannunziana e l’eloquenza muta dell’antica pietra squadrata: il Bargello, austero palazzo medievale. Questo prezioso vestigio della Firenze gotica e ghibellina, spazio di severità duecentesca un tempo sacrario del potere popolare, sede del Podestà e della Guardia del Capitano del Popolo, eretto da un Lapo Tedesco che fu forse il padre di Arnolfo di Cambio, è il luogo che meglio si prestava alla congiura dannunziana tra raffinatezza dei sensi e rigore della volontà politica. Qui D’Annunzio soleva venire e tornare, fermandosi davanti alle opere del Verrocchio, di Benedetto da Maiano, del Laurana…dai suoi Taccuini sappiamo che fu più volte al Bargello negli anni della sua residenza alla Capponcina di Firenze: aggirandosi tra quei capolavori, gli venne l’idea di fare una delle sue coltissime citazioni. E nel Sogno fa dire a Isabella di un busto di Desiderio da Settignano che lei teneva amorevolmente sulle ginocchia, consumandolo di pianto e di carezze. Il Sogno di un mattino di primavera è un cammeo di prodigi. Qui D’Annunzio l’occulto, l’uomo d’arme che conosceva le tecniche dell’estasi, che invocava gli attimi visionari, che era sciamano, taumaturgo e profeta, ci mette a contatto con una creatura esiliata dalla vita, ma aperta a valori di eccezionale trascendenza. La Pazza si è fatta fare una veste verde, vuole diventare natura, vuole essere selva: «Ora potrò distendermi sotto gli alberi…non s’accorgeranno di me…sarò come l’erba umile ai loro piedi…vedo verde, come se le mie palpebre fossero due foglie trasparenti…io potrò dunque con gli alberi, con i cespugli, con l’erba essere una cosa sola…». E si fa guanti di rami, stringe ghirlande, si fascia di fili d’erba, aspetta di farsi bosco per rivivere in natura la natura selvaggia del suo amore. Impossibile non riandare, davanti a tali celebrazioni, a quella passione per la dimensione dionisiaca e panteista che, ad esempio, traspare in certe inquadrature del Trionfo della morte: l’epopea del «dominatore coronato da quella corona di rose ridenti di cui parla Zarathustra…». Qualcosa che ricorre di nuovo quando Giorgio Aurispa il solitario, nell’osservare il tramonto, sente pulsare gli annunci di Zarathustra nel trionfo di una natura esuberante, irta di colori che eccitano l’animo e fondono l’uomo con le più enigmatiche energie del creato. Perfetta creazione silvestre, simbolo compiuto di pagana immersione nella natura pànica, l’Isabella del Sogno reca anche archetipi di morte, di sangue e di scatenata sensualità. Essa ci rimanda con naturale similitudine alla Wildfrau nordica, la “vergine selvatica” che percuote le notti durante la caccia selvaggia di Wotan, così come compare nel mito indoeuropeo della ridda, che accomuna mistero, magia e ancestrali terrori, giacenti nella sfera della natura barbarica e nel subconscio atavico dell’uomo: purissimo scrigno da cui sale - quando la si sa udire - la voce del sangue primordiale. Come spesso accade alla tregenda pagana, la morte e il dolore non sono tuttavia disgiunti da una sensualità istintuale. E, infatti, profondamente sensuale è il contatto di Isabella col corpo dell’amato morente, da cui sgorga sangue come da una fonte inesauribile. Il suo trauma si muta allora in una sorta di allucinazione orgasmica: «…La sua bocca mi versava tutto il sangue del suo cuore, che mi soffocava; e i miei capelli n’erano intrisi; e il mio petto inondato; e tutta quanta io ero immersa in quel flutto…com’erano piene le sue vene e di che ardore! Tutto l’ho ricevuto sopra di me, fino all’ultima stilla; e gli urli selvaggi che mi salivano alla bocca io li ho rotti coi miei denti che stridevano, perché nessuno li udisse…». In brani di rapimento erotico come questo - in cui, tra l’altro, non si è lontani neppure dagli estatici abbandoni alla voluttà del sangue presenti, ad esempio, nelle lettere di Santa Caterina da Siena: «Annegatevi nel sangue del Cristo crocifisso, bagnatevi nel sangue, saziatevi di sangue…» -, noi riconosciamo una miriade di rimandi alla sacralità pagana e neo-pagana del sangue, ai suoi occulti poteri fecondanti, alle sue qualità misteriche di infondere vita ulteriore, e proprio quando fuoriesce in fiotti, come seme di vita, da un corpo in travaglio di morte. Basterà ricordare la libido di sangue ossessivamente presente nella tragedia greca, capace di celebrare l’amore di rango come una lotta spasmodica che non fa più differenza tra la vita e la morte, che riconosce nella carne viva, nel segno sensuale, un universo infinito, confine tra saggezza e follia scatenante: Pentesilea, ad esempio, di cui Kleist fece un superbo affresco del dramma romantico…ferro di lame e di scudi, ma anche di cuori. Tutto questo ebbe riverberi nella nostra poesia nazionalista dei poeti-soldati volontari nella Grande Guerra: amore e lotta celebrati in nozze mistiche di sangue. Ad esempio, in Vittorio Locchi o in Giosuè Borsi, il sangue dell’eroe caduto e riverso al suolo, con la bocca a toccare il terreno come in un bacio, diviene seme generatore, potenza che feconda la terra redenta, paragonata a una sposa che si lasci inondare il grembo dal flusso ancora caldo dello sposo morente. Nel poemetto di Locchi, un tempo famoso, intitolato La sagra di Santa Gorizia, la città da liberare attende il suo eroe come un’amante fremente: «Amore, amore dolce, mi vedi? Amore dolce, mi senti? - chiede l’amata - Quanti tormenti ancora, quanti tormenti prima degli sponsali?». È un misticismo di visionaria trance erotico-guerriera, che certo rinnova esplicitamente gli arcaici connubi di Eros e Thànatos. Ed è in un trionfo di celebrazioni al benigno destino, alla vita che vince la morte, alle armi che liberano lo spirito, che avviene alla fine l’apoteosi trasfiguratrice dell’unione tra la città-femmina, finalmente liberata, e il vittorioso eroe liberatore. L’amore - ma non solo quello letterario, proprio quello vero…ma certo non quello “comune”…- è sempre a un passo dalla pazzia: c’è un frammento del Sogno, in cui Isabella viene assalita da gelido terrore nel vedere una coccinella posatasi sul suo candido braccio e da lei creduta una goccia di sangue: esatta trasposizione della demenza che impietrisce Parsifal nell’osservare la rossa goccia di sangue di un passero sulla neve immacolata… Detto per inciso, sottesa al Sogno leggiamo una - certo non casuale - combinazione di fine simbolismo cromatico: il bianco dei lunghi capelli e dello spettrale volto di Isabella, il verde della sua mimesis selvatica e il rosso del sangue dell’amato: ed ecco qua i tre colori per i quali l’Orbo Veggente andrà a rischiare la vita, ormai anziano, sui fronti della Grande Guerra…È in situazioni come queste che noi, più che altrove, apprezziamo la fantastica capacità dannunziana di intrecciare una raffinata sensibilità con il primario istinto di vita. Se c’è un luogo in cui la follia diventa mistica percezione dell’Altrove, magia di poteri visionari, potenza che fonde in un unico rogo il dolore e la gioia, questo è l’amore pazzo e disperato: quello profondamente filosofico di Nietzsche, come quello semplicemente umano di Isabella. D’Annunzio, alla sua maniera di grande sensitivo, li visse e li rappresentò entrambi. E li rappresentò anche nella vita vera vissuta, magari alla maniera di un sacerdote pagano che solennizzasse i riti della terra e del sangue. Tra i suoi amori folli, c’era infatti, e non minore, anche quello per l’Italia. Un suo legionario ricordò un giorno di come, già vecchio e cadente, al Vittoriale ogni tanto il Comandante amasse celebrare occulte comunioni insieme ai suoi fedelissimi: «sovente, la notte, adunato un piccolo numero di fedeli, alla rossastra luce fantastica di torce resinose, parla della nostra terra e della nostra stirpe, della nostra guerra e dei nostri Morti, dei nostri mari e delle nostre glorie; qui i compagni lo ritrovano, lo rivedono e lo risentono, come in trincea e come a Fiume». Una liturgia nibelungica per eredi della razza di Roma: esisteranno ancora da qualche parte, dispersi, solitari, silenziosi, uomini simili?

venerdì 14 giugno 2013

La cappella di Cocteau: il suo sepolcro

Piero Pisarra Una chiesetta senza fascino particolare, all’esterno. Se non fosse per il giardino dei semplici che la circonda. E che in questa stagione offre una grande varietà di colori. Ma all’interno la cappella di Saint-Blaise-des-simples, costruita nel XII secolo al centro di un lebbrosario (i semplici servivano alla cura dei malati), è arricchita da affreschi e arredi paragonabili per bellezza alla cappella di Vence decorata da Matisse.
Ecco un gatto che sembra giocare a nascondino tra gli arbusti. Ed ecco le piante medicinali dai lunghi steli che sembrano uscite da un antico manuale di erboristeria.
Al di sopra dell’altare, il Cristo coronato di spine. E più sù una resurrezione dalle grandi figure stilizzate. Un programma iconografico essenziale che Jean Cocteau realizzò nel 1959. Intellettuale al quale l’aggettivo poliedrico sta stretto, tanto varie sono state le sue attività (dalla poesia al teatro, al cinema), Cocteau si era stabilito a Milly-la-Forêt, ai margini della foresta di Fontainebleau, nel 1950. A poche centinaia di metri dalla sua casa (ora aperta al pubblico), la Chapelle Saint-Blaise era sull’itinerario delle sue passeggiate, spesso in compagnia di Jean Marais. E quando il sindaco di Milly gli chiese di affrescarla, accettò di buon grado, scegliendo di raffigurare su una parete
la morte e la resurrezione di Cristo e sulle altre, vetrate comprese, le piante medicinali che danno il nome alla cappella.
Cocteau è ora sepolto tra queste mura. Sulla sua tomba, una scritta: ----Je reste avec vous----.

Il tempio al Dio Sole al Palatino

Varius Avitus Bassianus, gran sacerdote di Emesa, venne proclamato Imperatore di Roma nel 219 sotto il nome di Eliogabalo. Adepto del Betilo, pietra nera di forma conica, Eliogabalo fece sistemare la sua pietra sacra in un tempio costruito sulla parte orientale del Palatino. Questo tempio, nel centro dell’immagine, era di abbastanza grande dimensioni con un giardino consacrato al dio siriano Adonis. L'imperatore ci fece anche trasferire altre divinità romane e reliquie sacre come i scudi della Regia precedentemente conservati sul Foro. Il suo successore, Alessandro Severo, cugino di Eliogabalo, riconsacrò il tempio a Giove Vendicatore.

All'alba del solstizio d'estate

venerdì 21 giugno alle ore 4.30 del mattino ci sarà un gruppo di soci del "Comitato Fossi" che salirà sulla dorsale per ammirare, contemplare e fotografare quando il primo raggio di sole lambirà il Piloton dandoci così l'orientamento di Verona indicandoci il cardo del sistema ortogonale, provando le stesse visioni ed emozioni come 2000 anni fa . L’iniziativa è aperta a tutti ed è gratuita. Il Piloton si trova dietro il forte di montorio, se avete delle perplessità contattate attraverso il commento Organizzato dal Comitato Fossi

Aspettando il sole nascente al Piloton

Nel territorio veronese erano presenti molti menhir come sul monte Biron a San Giovanni Ilarione dove esistevano ben 3 menhir l tolti dal proprietario del fondo nel 1975. Anche in un laghetto nelle prossimità del monte Baldo esisteva un grande betilo che emergeva dall'acqua, venne tolto di mezzo sbriciolato e cotto per produrre calce. Addirittura nel vicentino e precisamente a Sovizzo (Alte Ceccato) esisteva un sito megalitico. Pietre conficcate nel terreno che per gli antichi Veneti rappresentavano gli dei e li loro forze legate all'irraggiamento solare. Antoine Meillet, linguista e grecista francese dimostra che il sanscrito devah, il lituano devas, l'antico prussiano deiwis, il latino deus, l'irlandese dia, il gallico devon sono parole che deriano dalla radice indo-europea, de/o, che significa luce. Così presso gli Indo-Europei, l'essere divino è concepito come un essere luminoso, da assimilare alla stessa luce del sole nascente che sorge dal buio. Ecco che la pietra sopra Montorio è legata alla prima luce che appare nel giorno di massimo irraggiamento solare (il solstizio), per gli antichi : manifestazione tangibile del Dio. Festugière nel suo:-La religion grecque- scrive,-Andando alle origini del pensiero greco e sulla scia di Pausania, egli constata la presenza, nella Grecia antica, di numerose pietre sacre: hieroi-lithoi. Queste pietre son depositarie di una forza straordinaria. Chiamate Ergatoi, -Efficaci-, più tardi le si assimilerà a divinità benefiche che conficcate nella terra sono un tramite fra le energie del cielo e degli inferi - chiamate cosmoterruriche. Nell'età dell'oro... l'uomo adorava in ogni astro, in ogni fiore, in ogni fratello, a ogni aurora, un Dio propizio di cui il Sole parve il simbolo più perfetto. Frans Hemsterhuis, lettera sull'uomo Il sole non è più, anche per Roma un idolo locale, ma un grande Dio, e le statue di Helio e di Ba'al, il primo era il nome dato in Occidente e il secondo al dio Sole di Oriente. Eliogabalo costruì sul Palatino un grande tempio del Sole per dare riparo alla pieta nera portata dalla Siria nel 219. Tempio che rappresenta il sol santissimus Questo Betilo rappresenta il Dio e così questa pietra sacra era unta nell'antichità come si ungeva la pietra di Delfi (Pausania, x,24, 6) tutti i giorni. In epoca classica la ganosis, era l'unzione delle statue con un miscuglio di cera ed olio. Si ricoprono le statue perché la forza che è presente in esse non si allontani.----------------------------------------------------- Al sole-------------------------------------- Adoriamo questo sol, chiaro, immortale, Dai veloci destieri!-Allor che il sole Arde nel suo fulgor, quando di sua luce Ei splende, tutti, a cento, a mille, sorgono Gli spiriti Uranii ….... Zarathustra, dall’Avesta, traduzione di I. Pizzi

giovedì 13 giugno 2013

Riti pagani e cristiani vengono riscoperti

Questo articolo è di un anno fa e già l'andamento meteorologico di allora era in profondo mutamento. Come al solito quando finiscono le sicurezze si riprendono le antiche ritualità pagane. Anche la Chiesa di Roma non perde l'occasione per "sfruttare" e cavalcare il momento.
Caldo record e piogge in calo del 50% il Nord riscopre gli antichi riti anti-siccità Preghiere, processioni e croci nei campi: "Non resta che affidarsi a Dio". Dalla Toscana al Veneto, fiumi a secco e raccolti a rischio: "Ormai è emergenza". A Firenze il cardinale Betori scrive una lettera ai parroci: organizzate veglie di Jenner Meletti Trebaseleghe (Padova) - Forse sarà meglio procurarci dei rami di ontano. "Con un coltellino si toglieva la corteccia e appariva il legno bianco. E con questi rami si preparavano le croci, da mettere all'inizio di ogni campo. Servivano a tenere lontano la siccità, la grandine e ogni altro disastro". Quando era bambino, Lorenzo Zanon - sindaco di Trebaseleghe e insegnante di religione - andava con i suoi genitori alle "rogazioni". "Per tre giorni, alla mattina presto, si facevano le processioni. Si partiva da un pilastrino dedicato alla Madonna, si passava da un campo all'altro mettendo queste croci bianche, si arrivava a un altro capitello. Il prete in testa, con tutti i paramenti, le candele, i chierichetti... Si recitavano le litanie speciali. "A fulgure et tempestate libera nos Domine". Signore, liberaci dai fulmini e dalla tempesta. E se le campagne erano secche, il vescovo invitava i preti ed i fedeli a una processione o a un pellegrinaggio "ad petendam pluviam", per invocare al pioggia". Ci sarà davvero bisogno, dei rametti di ontano. Secondo il climatologo Giampiero Maracchi nell'inverno e in questo inizio di primavera è arrivato solo il 30% della pioggia che cade di solito. La Coldiretti stima in particolare un calo superiore al 50% al Nord e compreso fra il 25 e il 50% al Centro e in Sardegna. L'appello dei cardinale di Firenze, Giuseppe Betori, a "pregare per il dono della pioggia", non giunge a caso. L'invaso del Bilancino che disseta mezza Toscana è appena a un terzo della capienza, il fiume Arno porta solo un decimo dell'acqua mediamente presente in questa stagione. "La siccità - ricorda il sindaco insegnante - è fra le dieci piaghe d'Egitto. Le preghiere per la pioggia sono sempre esistite. L'idea che Dio mandi l'acqua in risposta ai comportamenti umani è già nella Bibbia. "Se seguirai i miei comandamenti, ti manderò la pioggia". Nell'antica Roma durante la cerimonia chiamata "aquilicium" matrone scalze e con i capelli sciolti salivano sul Campidoglio e facevano ruzzolare pietre, invocando Giove Pluvio e simulando il rumore del tuono. Gli Atzechi invocavano l'acqua sacrificando a Xipe Totec, "nostro Signore lo Scuoiato", nemici e schiavi. "Nella religione cristiana - dice Lorenzo Zanon - il sacrificio è stato sostituito dalla preghiera. Già nel IV secolo il papa Liberio trasforma la cerimonia pagana in "invocazione delle precipitazioni". Ad petendam pluviam inizia in quei tempi". "L'invocazione del sacro di fronte alle calamità - dice Roberto Roda, che guida il centro etnografico del Comune di Ferrara - è ancora presente. Si fanno processioni sugli argini e le statue dei Santi vengono messe con i piedi nell'acqua. Come dire: siete in prima linea, dovete proteggerci. Alla sacca di Goro Sant'Antonio da Padova, a giugno, viene messo su un palo in mezzo alla valle. Anche da noi contro grandine o siccità si mettevano le croci nei campi: ma erano fatte di canne e intrecciate con l'ulivo". A Farra d'Alpago il parroco don Lorenzo Sperti sta già organizzando una processione perché il cielo mandi la pioggia. "Forse non ci sarebbe bisogno - dice padre Renato Gaglianone, consigliere ecclesiastico della Coldiretti - di una preghiera specifica. Già nel "Padre Nostro" c'è l'invocazione giusta: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano". Senza la pioggia il grano non nasce e non cresce, senza il grano non si fa il pane". Ma nel Messale c'è una "Colletta" - una preghiera che il sacerdote recita a nome di tutta la comunità di fedeli - che così invoca la grazia dal Cielo. "O Dio dal quale tutte le creature / ricevono energia, esistenza e vita / dona alla terra assetata / il refrigerio della pioggia / poiché l'umanità sicura del suo pane / possa ricercare con fiducia il bene dello Spirito". A Bolzano i meli sono già fioriti, con un mese di anticipo. Questo marzo è il più caldo degli ultimi 15 anni. In Veneto sono in pericolo mais, grano e radicchi. In Toscana il frumento non riesce a crescere e forse sarà perduta metà della produzione, due milioni di quintali che valgono 60 milioni di euro. "Con il caldo arrivato così presto - racconta Amedeo Gerolimetti, coltivatore diretto di Castelfranco Veneto - quasi tutti hanno anticipato di un mese la semina del mais. Il terreno era perfetto, sull'asciutto si lavora bene. Ma il troppo calore adesso ha ridotto le zolle in polvere, e allora c'è bisogno di acqua per fare crescere le piantine di granoturco e per attivare gli anticrittogamici messi contro gli infestanti. Chi ha l'impianto a pioggia, se la può cavare, anche se io non avevo mai visto annaffiare a marzo. Ma chi usa l'irrigazione a scorrimento, non sa come fare. L'acqua viene infatti mandata nei campi attraverso i solchi ma questi si scavano, una fila sì e una no, quando il mais è già alto trenta o quaranta centimetri. E invece sta appena spuntando. Chi non ha seminato, è ancora più disperato. Il sole ha cotto le zolle come fossero mattoni, e se vedi nelle campagne un gran polverone, vuol dire che un contadino sta cercando di spaccare la crosta con l'erpice, per poter seminare". La siccità può diventare un incubo, e anche i Santi a volte non sanno fare il loro dovere. In Sicilia, nel 1893 - come ha raccontato l'antropologo Marino Niola - non piovve per sei mesi. Per protesta San Giuseppe fu gettato in un giardino bruciato dal caldo. A Caltanissetta furono strappate le ali d'oro a San Michele Arcangelo e sostituite con ali di cartone. Lo stesso angelo, a Licata, fu denudato e minacciato d'impiccagione. "O la pioggia o la corda", gridavano i fedeli. Almeno per ora, meglio preparare soltanto le croci bianche di ontano. (31 marzo 2012) © Riproduzione riservata

mercoledì 12 giugno 2013

Così stanno preparando il Piloton di Montorio per il solstizio d'estate, quando il primo raggio di sole lambirà la sacra pietra del Betilo

Un ringraziamento a queste persone che per settimane hanno lavorato per inserire sulla Preafittà le varie direzioni e i vari allineamenti attraverso losanghe di bronzo inserite a raggiera attorno alla Sacra Pietra. Una maniera di salvaguardare l'importante manofatto arcaico dal degrado e dall'oblio!