giovedì 9 agosto 2012

L'ItaGLIa della vergogna

CHI E’ VERAMENTE NICOLA MANCINO
- Lucio Galluzzi - La Procura della Repubblica di Palermo ha rinviato a giudizio 12 persone tra ex ministri, politici, mafiosi e uomini in divisa. Sono le risultanze dell’istruttoria sull’inchiesta di quella che è la più grave delle accuse dal dopoguerra ad oggi: la trattativa Stato/Mafia. Pezzi dello Stato che si sarebbero accordati con i boss di Cosa Nostra fornendo e ricevendone favori. Nicola Mancino, prima degli avvisi di garanzia e della formulazione delle accuse, telefonava continuamente al Quirinale per far sì che Napolitano intervenisse a suo favore e lo aiutasse per non essere coinvolto penalmente nel processo che si sta preparando. Ha parlato più volte con il giurista del Colle, D’Ambrosio, coinvolgendolo mortalmente nelle sue perorazioni personali. Le intercettazioni di quelle vergognose telefonate sono state tutte pubblicate.
Mancino ha anche parlato un paio volte con Napolitano. Queste conversazioni tra i due sono depositate alla Procura di Palermo, il Capo dello Stato ne chiede la distruzione perché il Presidente della Repubblica non è intercettabile per norma costituzionale. Ma non era Napolitano l’intercettato, bensì Nicola Mancino e non è colpa dei PM siciliani se il politico inciucione ha coinvolto il Colle in questioni nelle quali la Presidenza della Repubblica non doveva intervenire, ma neppure ascoltare. Di fatto Napolitano lo ha ascoltato. Non è dato sapere cosa si siano detti. Come in tutti i misteri neri di questa Repubblica Bananara, documenti e prove, se non diventano “segreto di Stato” prendono la via della distruzione o della sparizione misteriosa, quando non manipolate come è successo per Ustica. Intanto Nicola Mancino sarà processato per falsa testimonianza resa ai PM proprio per le sue dichiarazioni sulla trattativa Stato/Mafia durante l’interrogatorio in Tribunale. Nicola Mancino è stato Presidente del Senato, Ministro degli Interni dal 92 al 94 e vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura in Commissione Disciplinare. Racconta De Magistris: “Ricordo Nicola Mancino nitidamente, ricordo il suo sguardo abbassato, quando da Presidente della Commissione Disciplinare del CSM, lesse il dispositivo di quella sentenza, che reputo vergognosa, che mi strappo’ la toga di Pubblico Ministero; perché in alcune indagini molto delicate, WhyNot, Poseidone, Toghe Lucane, avevo individuato responsabilità a livelli molto alti della politica e delle istituzioni di collusione col crimine organizzato…” Tolte illegalmente le inchieste a De Magistris, le indagini Poseidone e WhyNot, delle quale il PM si occupava, vengono “affidate” all’allora Maggiore dei Carabinieri Grazioli, oggi arrestato per tentata corruzione aggravata per fatti di mafia, in concorso con la famiglia Reina, una delle più potenti della ’ndrangheta calabrese [e De Magistris operava a Catanzaro]. Quindi: pezzi dello Stato, istituzioni, lo stesso Nicola Mancino, parte del CSM, preferirono togliere a De Magistris inchieste scottanti, lo sostituirono “avocandolo”, lo cacciarono da Catanzaro e fecero “lavorare” al suo posto persone come Grazioli legato alla ndrangheta. Nello stesso periodo, uguale sorte subì Clementina Forleo, le sue inchieste avevano toccavano politici importanti, per questo fu “processata” dalla Commissione Discliplinare del CSM e i dispositivi che la allontanavano dai suoi compiti e censuravano perché “parlava troppo” da Santoro, letti sempre da Nicola Mancino. A distanza di anni, anche l’attuale CSM continua a processare “postumo” De Magistris, seppure ormai da tempo lo stesso si è dimesso dall’Ordine. Il CSM impiega il suo tempo, profumatamente pagato da noi contribuenti, per azzeccare garbugli e non per interrogarsi su cosa successe all’interno della propria Istituzione con i casi De Magistris e Forleo, chiarendo una volta per tutte quella pagina nera e vergognosa scritta ai danni di magistrati non asserviti al pascolo. Nicola Mancino, allora molto attento e preciso, per nulla sprovveduto, oggi perde la memoria, e sulla trattativa Stato/Mafia non ricorda bene, gli sembra che, potrebbe essere… forse; e si becca la falsa testimonianza. Eppure Borsellino gli aveva consigliato di mettere in moto quella memoria, che però oggi, guarda caso, fa acqua da tutte le parti. Mancino non ricorda neppure di avere incontrato Paolo Borsellino il 1° luglio del 1992, nel suo ufficio al Viminale, dice addirittura: “io non lo conoscevo”, smentito anche da Ayala, al quale lo stesso ex Ministro degli Interni aveva affermato il contrario di quanto dice oggi. Nicola Mancino racconta che a fine marzo 1992, Mannino gli disse: “Adesso tocca a me [d’essere ammazzato dalla mafia, Ndr]“, ma lo stesso Mannino oggi, nel 2012 lo smentisce: “Ero più preoccupato per i magistrati”; il 4 aprile 1992, il maresciallo Guazzelli, che aveva raccolto le confidenze di Mannino, viene massacrato a colpi di mitra: un assassinio ancora oggi “misterioso”. Il 28 giugno 1992 si insedia il Governo Amato, Mancino è nominato Ministro degli Interni al posto di Scotti, dirà: “pregai Scotti di rimanere al suo posto agli Interni, Scotti: “Non mi disse nulla del genere”. Il 1° luglio 1992, Borsellino è a Roma per interrogare il pentito Gaspare Mutolo, viene raggiunto da una telefonata che lo convoca al Viminale, dal ministro Mancino; il giudice incontra il neo ministro, ma Mancino per 20 anni consecutivi negherà la circostanza. In quel colloquio successe di certo qualcosa di preoccupante: Mutolo, raggiunto da Borsellino, dice: “era nervosissimo, fumava due sigarette alla volta”. Nell’anticamera del ministro Mancino, quel 1° luglio, Borsellino incontra il mafioso Contrada, numero tre del Sisde, che gli fa una battuta sul pentimento di Mutolo, che di fatto era segreto. La sera, Borsellino, dice alla moglie: “oggi ho respirato aria di morte”. Difatti lo fanno saltare in aria. Il 10 gennaio 1993 in una conferenza stampa Mancino dichiara: “prenderemo Totò Riina”. Cinque giorni dopo, il 15 gennaio, Riina è arrestato dal Capitano Ultimo poco lontano dal suo covo, che però non verrà perquisito, sarà lasciato inviolato dai Carabinieri e i sopralluoghi avverranno solo quando i locali saranno completamente vuoti. Dopo anni, Mancino dichiara al Presidente della Corte d’Appello di Firenze: “dell’arresto di Riina l’ho saputo dal Capo dello Stato che si congratulava con me; anche il Presidente del Consiglio non ne sapeva niente”. Persino lo stesso Riina manifesta poi ai giudici un dubbio: “Ma chi ce lo disse a Mancino cinque giorni prima che mi arrestavano?”. Altro che telefonare al Colle per chiedere l’intervento del Capo dello Stato: sia Mancino che Napolitano dovrebbero cominciare a rispondere a questa prima domanda, evitando ridicole quanto preoccupanti rivendicazioni sul “segreto di Stato”. Ma quale Stato? E chi è Stato? Tratto da: CHI E’ VERAMENTE NICOLA MANCINO | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/08/01/chi-e-veramente-nicola-mancino/#ixzz235B2WZWq - Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!

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