mercoledì 25 luglio 2012

Lo gnosticismo in Paolo di Tarso

di Musashi - 24/07/2012 Fonte: Centro Studi La Runa Generalmente si pensa a San Paolo come il “vero inventore” del cristianesimo quale noi lo conosciamo (Nietzsche) o più in generale come dello strenuo difensore, “apostolo”, del cristianesimo e della sua dottrina, suo convinto apologeta. Tuttavia, gli studi pionieristici di Marcello Crateri, nonché le più recenti ricerche di Elaine Pagels, hanno messo in luce il carattere tipicamente gnostico di alcune importanti lettere di Paolo di Tarso. Queste osservazioni però non sono mai state tenute in gran conto perchè la biblistica di estrazione cattolica ha sempre visto nell’insegnamento di Paolo di Tarso l’insegnamento anti-gnostico per eccellenza. Inoltre, un altro elemento favorente il “mutamento di paradigma”, sia in sede propriamente filologica sia nel contesto più ampio della storia delle religioni, può essere il ritrovamento del Codice Manicheo di Colonia (Codex Manichaicus Coloniensis), che evidenzia l’influsso paolino sullo sviluppo dell’illuminazione del profeta Mani, il Vivente, fondatore della corrente manichea. Riassumendo lo “stato dell’arte”: vi sono tracce gnostiche rilevanti e significative in alcune lettere di Paolo. Nella prima ai Colossesi (1,19) si parla di Dio come del Pleroma, usando un termine tecnico degli gnostici. Dunque, Paolo enuncia un tema tipico della teologia gnostica. Purtroppo l’infelice traduzione attuale proposta dalla Chiesa fa perdere completamente il sapore originario, e appare piuttosto edulcorata: vi si legge che in Gesù Cristo dimora la “pienezza” (non si capisce di cosa…). Si suole forse sottintendere la “pienezza divina”. Ma questo ha poco senso. Non si capisce perché parlare di pienezza, termine fra l’altro assente dalla teologia cattolica. Se invece assumiamo l’espressione per quello che è, cioè Pleroma (come termine tecnico teologico, in effetti ancora in uso nel cristianesimo ortodosso), tutto trova pieno significato e chiarezza. Secondo la gnosi valentiniana Gesù è chiamato il “fiore del Pleroma” in quanto ultimo Eone ad essere emanato dopo la caduta. Esso sarebbe stato emanato dalla totalità degli altri eoni, da tutto il Pleroma nella sua interezza. Ecco perché in lui risiede il Pleroma. Ovviamente la traduzione “addomesticata” proposta oggi cela la malizia interpretativa per non far emergere questi significati e questi richiami. Tuttavia è di una evidenza lampante la ricchezza di significato che assume ogni singola espressione se sottoposta alla giusta esegesi. Ancora: Paolo accetta la tripartizione degli uomini tipica degli gnostici. In Corinzi 2, 11-15 “Esponiamo sì la sapienza ai perfetti (i perfetti sono, secondo la Gnosi, gli pneumatici quelli che hanno ricevuto l’iniziazione segreta cioè il Battesimo di Fuoco, N.d.R.)…ma non una sapienza di questo mondo… esponiamo una sapienza velata di mistero. [….]. L’uomo psichico (psychòs) non accoglie le cose dello Spirito: per lui sono follia e non le può intendere… L’uomo pneumatico giudica ogni cosa ma da nessuno egli è giudicato”. Più gnostico di così… Ancora: San Paolo nel parlare della natura del Corpo di resurrezione, lo chiama Corpo Glorioso, facendo intendere che non sarà un corpo fisico, perché “la carne e il sangue non possono ereditare il Regno di Dio” (II corinzi 3,7; I corinzi 15, 50). Precisa anche che esiste una distinzione fra un il “corpo animale” e il “Corpo Spirituale” (I cor.15,44), proprio come nelle cosmologie gnostiche! Il “corpo glorioso” paolino è un tema che non ricorre in nessun altro testo canonico: esso invece è ben presente agli autori gnostici e se ne dà ampia descrizione nella Pistis Sophia e nell’Inno alla perla. Infine quando Paolo parla del Corpo Spirituale lo chiama “seminarium” perché esso è un seme da far germogliare dentro di noi, come insegnano l’ermetismo (che parla di Hermes come genio interiore, in-genium= generato dentro) e quasi tutta la tradizione esoterica in genere. Inoltre sembra che Paolo usasse una ben nota terminologia tipica degli gnostici per caratterizzare le potenze ostacolatici. Mentre usa raramente il termine ebraico “Satana” sembra più volte parlare di “arconti” come uno gnostico. “Nessuno degli Arconti di questo mondo ha potuto conoscere la nostra Sapienza: se l’avessero conosciuta non avrebbero crocifisso il Signore della gloria” (I Corinzi 2: 8), nonché: “La nostra lotta non è contro la carne ed il sangue, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori (Arconti) di questo mondo di tenebre, contro gli spiriti del male sparsi nell’aria”. (Efesini 6. 12 ). Da notare che i nemici qui non sono esseri del mondo infero o sotterraneo ma aerei, cioè potenze del mondo intermedio, celesti. A conferma di ciò egli li chiama Potestà e Principati cioè con i nomi che più avanti la Chiesa userà invece per definire gli ordini angelici. Non è peregrino notare dunque che le gerarchie angeliche usualmente designate come “celesti” potessero essere intese da Paolo quali angelici diabolici servitori del Demiurgo, quello che gli Gnostici sapevano essere il falso dio dell’Antico Testamento. Se consideriamo l’insofferenza di Paolo per la Legge ebraica veterotestamentaria, ecco che il cerchio si chiude! Il tema del Demiurgo, si badi, ricorre con una certa coerenza, anche negli scritti apocrifi attribuiti all’Apostolo: nell’Apocalisse di Paolo si fa menzione all’incontro con un vegliardo che presiede al Settimo Cielo ed incapace di guardare in alto. Secondo la buona interpretazione del Moraldi si tratterebbe del demiurgo Sebaoth, qui reso con le caratteristiche iconografiche del Dio ebraico (cfr. Apocalissi gnostiche, Adelphi.) Ricorderei anche che uno dei primi a segnalare l’incompatibilità tra il Dio veterotestamentario e quello di cui si fa testimone il Cristo, fu il vescovo Marcione. E’ controverso ancora se Marcione debba essere considerato propriamente uno gnostico. E’ certo però che egli denuncia tutti gli aspetti del Dio ebraico che gli gnostici dichiaravano “arcontici”. Ora, Marcione, seppur ritenuto in seguito “eretico”, fu il primo a cercare di definire quali scritti cristiani fossero canonci. Nel canone egli inserì proprio le lettere di Paolo; inoltre, secondo la tradizione della Chiesa marcionita (in pratica estintasi nel VI secolo) Marcione sarebbe stato discepolo diretto di Paolo. A ben intendere Paolo doveva essere uno gnostico che la sapeva lunga, oppure uno che condivideva buona parte di ciò che era patrimonio delle comunità cristiano-gnostiche del suo tempo. Di sicuro però fece delle scelte che lo portarono in una certa direzione che vedremo, soprattutto alla luce del materiale documentario di recente ritrovamento. In effetti, la lotta di Paolo contro la comunità essena di Giacomo e la fazione di apostoli che lo seguiva – Filippo, Tommaso ecc… – si esprimeva nelle lettere paoline in un atteggiamento di chiusura verso certe comunità del nascente mondo cristiano, che riconoscevano l’autorità di Giacomo e che non a torto sono state identificate con le prime comunità gnostiche scontro peraltro che si concretizzò anche nel primo “concilio” di Gerusalemme (Atti, 15). Il “gruppo di Giacomo” seguiva la corrente propriamente “essena”, mentre lo stesso Gesù, impropriamente detto “nazzareno”, era un Nazira, cioè seguace di una linea nazorea, piuttosto autonoma all’interno del mondo esseno rispetto all’ortodossia ebraica, mentre gli esseni tout court, pur essendo un ordine esoterico, erano fortemente ancorati agli aspetti dell’ortodossia formale dell’ebraismo. Così il gruppo esseno di Giacomo voleva ad esempio mantenere la circoncisione ed altre usanze religiose e formali del popolo ebraico, che poco avevano a che vedere sia con la Gnosi in senso eminente sia con le aspirazioni di una religione universalistica. L’esoterismo nazoreo, diversamente da quello esseno, era assai più autonomo rispetto all’ortodossia formale. La lotta latente tra Paolo e le prime comunità esseno-gnostiche, che emerge un po’ in tutte le lettere paoline, specie nella Lettera ai Galati, non era dovuta però soprattutto a motivi di ordine squisitamente teologico, tanto più che i contenuti gnostici in Paolo sono così evidenti che nessuna traduzione edulcorata può nasconderli. Qual’era dunque la linea di faglia fra le due posizioni? Vi sono documenti come il già detto Codex Manichaicus Coloniensis, e l’Apocalisse gnostica di attribuzione paolina (sopra citata) che provano senza dubbio che sia Paolo sia i suoi avversari gnostici o esseni gnosticizzanti, basavano il proprio insegnamento su dottrine di tipo gnostico, forse già presenti in parte nella mistica giudaica del tempo, assai più che sui testi convenzionali dell’Antico Testamento. Vi è poi, ad ulteriore sviluppo e conferma, la “pista manichea”, finora appena accennata. Si tratta cioè di riconoscere l’importanza del pensiero paolino sullo sviluppo della gnosi manichea, a cui si accennava prima. A ben guardare, questa filiazione dottrinale la segnala proprio uno studioso cattolico, teologo e storico delle religioni, l’arcivescovo Mons. Julien Ries, che segnala propriamente i debiti del manicheismo verso la predicazione e le lettere di S. Paolo, nonché la venerazione e l’emulazione di Mani nei confronti dell’Apostolo, che si riflette in tutta una serie di dati, dall’inclusione di alcune lettere di Paolo nel Canone Manicheo, sino al tema della “visio Pauli”, esperienza mistica ripetuta dallo stesso fondatore del Manicheismo. Se si legge nel Codex Manichaicus Coloniensis ciò che afferma il vescovo manicheo Baraia, non si hanno dubbi al riguardo. Fra l’altro segnaliamo l’importanza di questo riferimento testuale perché Mani ha mutuato dalla setta cristiana degli Elcasaiti una antica tradizione che faceva risalire l’origine di certi insegnamenti segreti proprio a Paolo di Tarso. Mentre non è da escludere che gli Elcasaiti fossero una delle prime comunità cristiane a seguire Paolo, è quasi certo che Mani, in gioventù aderì alla setta elcasaita. Questa linea di collegamento è peraltro segnalato nella stessa opera di Ries. Nello specifico, nel Codex Manichaicus Coloniensis, il manicheo Baraia riporta alcuni passi paolini contestualizzandoli nell’insegnamento esoterico dei principali testi dell’apocalittica e della mistica del tempo, che i manichei accoglievano nel loro Canone. Riportiamo qualcuno dei passi di Paolo citati da Baraia. Paolo nella II Lettera ai Corinzi scrive: “Verrò di nuovo alle visioni e rivelazioni del Signore. Conosco un uomo in Cristo […] che fu portato in paradiso e udì parole segrete che non è lecito agli uomini proferire” (II Cor. 12 – 2,4). Baraia riporta anche come anche Paolo affermi di avere ricevuto egli stesso certe rivelazioni di ordine spirituale in un momento di rapimento estatico e di contatto diretto con Dio: “Allo stesso modo in cui sappiamo che l’apostolo Paolo fu portato nel terzo cielo, come egli stesso racconta nella Lettera ai Galati”. In effetti è più probabile che il riferimento esatto fosse a Corinzi2 13, 2-4 [nota mia]. Risulta da questi passi, specie dal primo, che l’insegnamento di Gesù è un insegnamento segreto, ottenuto in stati di elevazione coscienziale se non di estasi. Tale comunque era il senso di queste parole, nell’interpretazione del Canone manicheo. E in effetti vi troviamo un tema ricorrente nella gnosi dei primi secoli, per cui l’insegnamento esoterico non è un insegnamento che può essere compreso da tutti. Solo gli “pneumatici”, dotati di una particolare qualificazione legata all’anamnesi effettiva della loro origine divina, possono giungere alla comprensione dei misteri celesti della Gnosi, qui definite dal termine paolino di parole segrete (il riferimento a parole segrete di Gesù è presente in tutte le fonti gnostiche). Questi insegnamenti segreti sarebbero dunque stati in possesso di Paolo, come degli gnostici, e in parte attraverso Paolo, in parte per rivelazione diretta ricevuta da Mani, sul modello della “visio Pauli”, sarebbero passati nella religione esoterica dei Manichei. Del resto il nome dei seguaci dell’eresia, o meglio della religione manichea, di epoca medievale, fu quella di “pauliciani”: appunto da Paolo, essendosi conservata memoria all’interno del movimento manicheo, di questa filiazione paolina, alla luce delle conoscenze attuali assai più chiara e giustificabile che non in passato. Se assumiamo la presenza di una vena gnostica nella primitiva predicazione paolina, dobbiamo però spiegare in cosa essa si differenzi da quella di altre correnti gnostiche e soprattutto perche essa sia stata poi facilmente assorbita dalla nascente ortodossia di quella che gli gnostici chiamavano Grande Chiesa. Le differenze appartengono all’ordine della teologico-politico e, de relato, al ruolo che una struttura organizzata (settaria o ecclesiale) avesse nei confronti dell’escatolgia. Paolo di Tarso volle dare alla nascente Chiesa Cristiana una struttura unitaria e gerarchica, cosa che né il gruppo esseno di Giacomo né le comunità gnostiche (più o meno “imparentate con esso) erano disposte ad accettare. Questo è il motivo per cui l’insegnamento esoterico di Paolo è stato accettato in seno a movimenti gnostici come la Chiesa di Mani, che coniugavano il principio della Reintegrazione o restaurazione dell’ Unità primordiale con lo sforzo di creare una struttura ecclesiale organizzata, che preservasse la purezza dell’insegnamento esoterico di tutti i grandi iniziati che hanno svelato all’essere umano la via della Gnosi (fra i quali Mani inseriva Zoroastro, Buddha, Gesù e Paolo); questo approccio veniva per lo più rifiutato da numerose altre comunità gnostiche come quella che ha espresso l’Apocalisse di Pietro, ostili alla creazione della Grande Chiesa burocratica e centralizzata, statalizzata, nella consapevolezza che questo avrebbe impedito ai per i membri della comunità cristiano-gnostica di giungere in maniera autonoma alla reintegrazione pneumatica. Mani optò per l’approccio ecclesiale “strutturato” sulla scia della teologia politica paolina, prendendo a modello il sacerdozio zoroastriano, e soprattutto il sangha buddhista, che in quei secoli andava assumendo una fisionomia marcatamente monastica. La Chiesa cristiana nascente si appoggiò invece al modello burocratico imperiale romano. Posta così la differenziazione fra Paolo di Tarso, e dopo di lui Mani, rispetto agli altri gnostici fu prevalentemente sul fronte politico organizzativo, o più nobilmente sul versante teologico-politico di una dottrina soteriologica. Dal II-III secolo in poi, i membri della nascente “ortodossia” (prevalentemente legati alla comunità cristiana di Roma), lasciando da parte il carattere esoterico dell’insegnamento paolino, ne ha sviluppato ed esaltato unicamente gli aspetti politici, che ben si adattavano alla svolta che si stava producendo allora e alla nascita e giustificazione di una burocrazia clericale. L’esito di questa impostazione è stato il rafforzamento degli aspetti exoterici, del resto facilmente assimilabili in una struttura “ampia” a scapito della componente esoterica, pur ben presente sul piano dottrinale alla mente di Paolo e in grado, come abbiamo visto all’inizio, di fornire “sponde” dottrinali alla stessa scuola valentiniana, e a quella marcionita. Per converso la chiesa manichea rimase orientata come chiesa gnostica ed esoterica, anche se come struttura essa assomigliava già ad una Chiesa gerarchizzata e burocratizzata (si estendeva dalla Cina alla Spagna) più che ad una semplice “comunità”. Tuttavia rimase sempre ancorata a livelli iniziatici e con gradi di rivelazione segreta. La cristianità ormai stabilizzatasi nella sua “ortodossia” ha invece unicamente sviluppato gli aspetti ecclesiologici della teologia paolina, dimenticando (o forse misconoscendo) gli elementi tecnicamente gnostico-esoterici. Si noti che, secondo le osservazioni di Elaine Pagels, sarebbero proprio quelle lettere di Paolo di più certa provenienza (le sette lettere di quasi certa attribuzione paolina) a contenere i lineamenti gnostici suddetti. Mentre sarebbero le altre, più incerte per stile e contenuto, nonché quelle chiaramente pseudoepigrafiche- le cosiddette “pastorali- ad essere più in linea con la versione cattolica. In particolare le due a Timoteo e la Lettera a Tito furono degli apocrifi a lui attribuiti dai Padri della Chiesa in modo da far credere che Paolo appoggiasse la loro interpretazione piuttosto che quelle gnostiche. Bibliografia: The Gnostic Paul: Gnostic Exegesis of the Pauline Letters, Elaine Pagels, Fortress Press, 1975 L’eresia. Dagli gnostici a Lefebvre, il lato oscuro del cristianesimo, Marcello Craveri, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1996 Le Apocalissi Gnostiche, Luigi Moraldi, Adelphi, Milano 1987. Gnosi e manicheismo, Julien Ries , Milano, Jaca Book,2010, voll. 1-2 The Cologne Mani Codex (P. Colon. inv. nr. 4780) “Concerning the Origin of His Body” Edited and translated by Arthur J. Dewey & Ron Cameron. Society of Biblical Literature Texts and Translations Series 15. Missoula MT, Scholars Press, 1979. Der Kölner Mani – Kodex. Über das Werden sciabiche Leibes, L. Koenen Römer , Kritische Edition (Abhandlung Reinisch – Akademie der Wissenschaften der Westfälischen: Coloniensia Papyrologica 14), Opladen, Germania 1988. Elchasai e gli Elchasaiti. Un contributo alla storia delle comunità giudeo-cristiane, L. Cirillo, Cosenza, Marra Editore 1984.

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