sabato 19 maggio 2012

Il mistero di Verona XIII

Nelle adiacenze del Colle di San Pietro esiste una semplice fontana suggestiva e molto antica, da poco restaurata per opera di volontari. Il nome tramandato dai Veronesi è Fontana del Fero. Umberto Grancelli con grande intuizione fa risalire il nome alla dea Feronia, dato che si è potuto appurare che l'acqua che sgorga contiene bassissime quantità di ferro. Umberto intuì primo fra "l'intellighezia" veronese che questa dea ctonia era legata al Sacro Colle dove innoverevoli culti si erano susseguiti e per millenni avevano convissuto all'insaputa degli storici della città. La dea Feronia, divinità pagana, era la protettrice degli schiavi liberati e di tutto ciò che sottoterra esce alla luce del sole. Erano quindi sotto la sua protezione le acque sorgive e ogni tipo di fertilità: la fertilità del suolo, quella umana etc. ed aveva inoltre proprietà guaritrici. Le donne veronesi fino ai primi del novecento venivano a bagnare il viso ed in particolare gli occhi dei loro figlioli convinte, per tradizione, che quell'acqua proteggesse la testa ed in particolare gli occhi dei bimbi.
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Cisterna di Latina: fontana con Feronia rappresentata Feronia, chiamata da alcuni Anthophoros (= portatrice di fiori) o Philostephanos (= amante di corone di fiori) è stata affiancata a Flora, Libera e Venere, ma veniva anche considerata tutelare degli schiavi. Feronia è quindi dea della fecondità ma anche degli schiavi. Il centro di culto più importante era situato in territorio capenate, ai confini con quello sabino, a Lucus Feroniae,dove sono stati rinvenuti i resti archeologici di un bosco sacro ed un santuario. Strabone testimonia: “Ai piedi del monte Soratte c’è una città chiamata Feronia, come una divinità locale tenuta in grande venerazione dai popoli circostanti, il cui santuario è situato in quel luogo e vi si celebra una singolare cerimonia: quelli che sono posseduti dal demone, infatti, a piedi nudi camminano su una grande superficie di carboni e cenere ardenti senza sentire alcun dolore e una moltitudine di uomini si raccoglie qui insieme per la panegyris (adunanza del popolo per celebrare feste e giochi) che si celebra ogni anno.” Presso il santuario si teneva la festa più importante di tutti i territori circostanti, dove artigiani, agricoltori e mercanti si incontravano per scambi e transazioni. A Trebula Mutuesca il tempio sorgeva in prossimità della attuale chiesa di S. Vittoria. La sua iconografia ci perviene dalle monete di P. Petronius Turpilianus, triumvir monetalis di età augustea, appartenente probabilmente ad una famiglia sabina dove la dea compare con l’immagine di una testa uguale a quella ritrovata nel tempio C di largo Argentina (Roma).

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