lunedì 9 aprile 2012

Un libro interessante



Le erme bifronti di Aricia
Ippolito-Virbio e i riti arcaici di iniziazione
Silvestri Alberto

160 pagine
lingua italiano
71 Illustrazioni
ISBN 88-7621-484-4

€ 12.00
Aprile, 2005

Un’attenta analisi delle erme bifronti rinvenute nell’antica Aricia, territorio che oggi comprende Ariccia, Genzano e Nemi.
Ad Aricia sono stati rinvenuti 13 esemplari di erme bifronti appartenenti all’età giulio-claudia (I secolo d.C.). Otto di queste rappresentano la stessa divinità in due fasce d’età: imberbe e giovanile una, matura e barbata l’altra. Una simile concentrazione di erme non si riscontra, eccetto Roma, in nessun'altra città dell’impero.
Attraverso un’attenta analisi delle fonti letterarie, delle testimonianze archeologiche e con l’ausilio del metodo storico comparativo, Alberto Silvestri tenta di spiegare le motivazioni di una simile concentrazione, ricollegandosi al mito ovidiano di Ippolito-Virbio (vir bis = uomo doppio) e ai riti iniziatici di passaggio dei giovani all’età adulta, a lungo praticati nell’area nemorense.




Virbio, come Giano - e come le divinità rappresentate su doppia erma - rappresenta il "passaggio". La sua "morte iniziatica", necessario presupposto per la "nuova nascita", sembra trovare la sua specifica ragione non in una sorta di assimilazione-annullamento con la divinità, anelata dai mistici, ma proprio nel passaggio da una condizione (umanamente intesa) ad un'altra. L'uomo doppio (= vir-bis)
Le "formazioni gemellari" — entrambi barbate o entrambe imberbi e tradizionalmente legate a Giano (o a suo figlio Fontus, o a Mercurio) - ben esprimono la doppiezza di questo "passaggio".

L'iconografìa argiforme, magno-greca (Ruvo) ed etrusca (Bomarzo) - che appare nelle pitture vascolari tra V e IV secolo a. C. - è quella che, comunque, pone decisamente l'accento su questo aspetto. Argo, il "custode" di Io, viene infatti raffigurato con un volto barbato ed uno imberbe. Questo "eroe del margine" — che, con l'effige barbata da un lato, combatte contro un avversario "più veloce" di lui, e, dall'altro, imberbe, ancora guarda al suo passato di "ragazza" - appare come il modello di arcaici riti di passaggio all'età adulta, fondati - come sembrano del resto testimoniare i tratti femmineo-efebici del volto imberbe del plasticismo bifronte - sull'inversione dei sessi.

Quando Ippolito racconta la sua storia ad Egeria, dice alla ninfa: «Diana mi aggiunse l'età». Ora, il tipo iconografico argiforme, prevalente tra le doppie erme neoattiche aricine, sembra proprio restituire questa immagine, così come sembra evocare, anche, la successione del rex nemorensi?. non viene forse Argo ucciso da un avversario più forte e "più veloce" di lui (argheiphontes = più veloce di Argo)?

Emulo di Servio inseguito e ucciso lungo il clivus Orbius, o di Ettore, inseguito e ucciso dal "più forte e più veloce" Achille lungo le mura di Troia, il rex nemorensis, appare sin troppo facilmente riconducibile a Ippolito-Virbio. Come il clivus Urbius al clivus Uirbii, l'Urbs ali' Orbis.
La corsa rituale intorno alle mura di Troia, e verosimilmente intorno a quelle di Arricia cia, così come quella dei Fauni-Lares intorno al Palatino — e
Un passo dell''origo gentis romanae (21,5 ss.), e Valerio Massimo (I, 2, 9), stabiliscono tra la fondazione della città e la corsa dei Luperci un preciso rapporto: «il nome di Ro-molo deriva dalla grandezza della forza e del valore: in greco si esprime con la parola (= rome). Invece suo fratello fu detto Remo dalla lentezza [...] Celebrato il sacrifìcio nel luogo che ora è chiamato Lupercale, Remolo e Remo corsero festosamente [...] esultanti di gioia, perché il nonno Numitore aveva loro concesso di fondare una città sul Palatino [...] e stabilirono che questo solenne sacrifìcio restasse in vigore per se stessi e per i posteri». Ma, sappiamo che uno soltanto sarebbe divenuto rex. Remo, durante la fondazione della città, sarà infatti ucciso da un avversario più "forte" (romulus) e più "veloce"
C'è, tuttavia, di più. In una delle versioni della morte di Romolo — dopo la quale sarebbe divenuto Quirino — si dice (Dion. Hai. II, 56, 1, ss.) che il primo re di Roma era stato ucciso dai senatori stanchi della sua tirannide, e che il suo corpo era stato fatto a pezzi. Come quello di Ippolito, poi divenuto Virbius.
Il racconto dei due gemelli — o, se vogliamo, dell' uomo doppio — contiene tutti i motivi sinora analizzati. Lo sbranamento, in particolare - ma anche Voccultamento (Romolo scompare) - rimandano immediatamente al modello mediterraneo che più incarna l'andamento circolare del tempo: Osirìde e Horo (= Dioniso e Apollo = Ippolito-Virbio).
Legato al corso degli astri e al fluire delle acque, simbolo dell'avvicendarsi del giorno e della notte, del vecchio e del nuovo re, del grano seminato e del grano maturo, questo modello sembra preludere a qualsiasi altra vicenda "iniziatica". Ma soprattutto sembra indicare la "strada" per raggiungere l'immortalità: se l'uomo invecchia e muore, il perpe-tuarsi delle nuove generazioni fa sì che l'umanità, il mondo, siano sempre "giovani e forti". Nel momento di "margine" - nel pur drammatico passaggio alla condizione di vir, che esige la morte della fanciullezza - la "vita dell'uomo" raggiunge il suo apice: il padre e il figlio (= Liber-Pater) coincidono, e incarnano, sulla terra, il bios del dio eternamen¬te giovane.
Agli albori del plasticismo bifronte, l'esecuzione dei riti di passaggio all'età adulta era affidato alla sola "rappresentanza sacerdotale" e l'antica componente collettiva era ormai confluita nei collegia iuvenum, quelle associazioni di giovani cavalieri (= Hippolytos !) che già al tempo di Cesare si esibivano, durante la loro festa, in spettacoli equestri in cui quadrìgas, bigasque et equos desultorios agitaverunt (Svet., Ces., 39).
Augusto le trasformò ben presto in veri e propri organismi politico-militari, con un proprio culto, amministrato da un apposito flamen o sacerdos, e presieduti, come i colle-già compitalicìa, da un magister. Le loro esibizioni rimasero incentrate sul lusus Troiae.
(Virg., En., V, 602) o lusus serpentìs, l'antichissima "prova agonistica" (VII sec. a. C., Oi-nochoe di Tragliatella, Cerveteri) che imitava il movimento del serpente (= Python !) e al quale prendevano parte, almeno dai tempi di Siila (Plut., Cat. Min., Ili, 1 2), ragazzi tra gli undici e i diciassete anni di età (supra p. 141)

Nel 59 d.C., Nerone indisse i ludi chiamati luvenalia (Dion. Cass., LXI, 19), m cui venivano rappresentati i simulacro, di Diana, la dea che presiede a quella "età vigorosa che rende più sopportabile la strada" (Paul. Fest., loc. cit.), il cammino dell'uomo.

Era il giorno del suo ventiduesimo compleanno: "si fece tagliare per la prima volta la barba e la depose in una scatola d'oro adorna di pietre preziosissime che consacrò al Campidoglio" (Svet., Ner 12) annunciando così il suo passaggio alla virilità.
A questi ludi — che si svolsero "apud nemus, quod navali stagno circumpo suit Augustus" (Tac., Ann., XIV, 15), presso uno stagno circondato da un nemus del tutto simile, dunque, allo speculum Dianae sede delle navi-santuario di Cahgola, che non a caso aveva dato nuovo vigore al rituale del rex nemorensis e notevole impulso al fiorire delle erme bifronti di Ancia - intervennero giovani e vecchi, uomini e donne. Tutti parteciparono, in quel giorno, all'atemporale bios divino. E gli imperatori successivi, sino a Costantino (312-317 d.C.), continuarono a celebrarli il 1° gennaio di ogni anno (Dion. Cass., LXVII, 14), come una vera e propria "festa di Capodanno".

I tempi erano maturi perché l'idea di un essere sovraumano onnisciente - nel quale confluissero, come in Indiges (solare ed acquatico, ma anch'esso legato alla terra), le figure dell'antenato e del "giovane morto nel fiore degli anni", del padre e del figlio — trovasse il massimo dell'espressione.
Tuttavia, di fronte al dilagare dei nuovi misteri, "la rappresentazione figurata di Ip-polito-Virbio" - dio degli Initia in tutto simile al "primo re del Lazio" (= Giano)

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