sabato 7 aprile 2012

Furono trattati alla stregua di animali



Il grande olocausto dei nativi americani – terza parte


La seconda fase (1689-1763) è ricordata come la fase dei grandi scontri tra le potenze europee, durante i quali i nativi vennero chiamati a sopperire alla scarsità di effettivi degli eserciti regolari.
Le potenze colonizzatrici in questa fase sfruttarono in modo vergognoso l’antagonismo che opponeva le varie tribù indiane per i propri scopi, spingendo spesso i nativi a vere e proprie guerre intestine che costarono migliaia e migliaia di morti. Fu in questo modo che molte nazioni indiane scomparvero: i primi furono gli Abenaki, che combattevano al fianco dei francesi, stroncati da decenni di guerriglia, poi fu la volta dei Choktaw e dei Chickasaw, sfruttati rispettivamente da francesi ed inglesi. Per avere un’idea dell’entità di questo coinvolgimento, sono emblematiche le parole del generale inglese James Wolfe che dichiarò: “Gli Irochesi hanno conquistato un impero alla corona britannica”, in seguito alla sconfitta francese di Quebec nel 1759. Così come emblematica resterà la disfatta del generale inglese Edward Braddock nel 1755 sul fiume Monongahela, in cui il contributo degli Indiani che combattevano da parte francese fu determinante. La fine di questa fase coincide praticamente con l’abbandono della scena americana da parte della Francia, ormai definitivamente sconfitta. Passando in rassegna gli eventi che caratterizzarono la conquista del territorio americano in questa fase durante cui la sovranità degli Indiani venne ancora una volta calpestata, troviamo la guerra dei Cherokee. Questa nazione indiana del territorio nord-americano sud-orientale era molto potente e gli inglesi dapprima cercarono un’alleanza con loro sottoscrivendo un trattato nel 1645. Tuttavia in seguito, un fatto accaduto nel 1751 segnò la fine del precario accordo. Alcuni Cherokee avevano rubato cavalli per rimpiazzare quelli perduti nel corso di alcuni scontri con gli Shawnee. In reazione i miliziani della Virginia assalirono un gruppo di Cherokee pacifici, uccidendoli e scotennandoli. Una rappresaglia Cherokee costata la vita a 19 coloni segnò lo scoppio delle ostilità. Dopo alterni attacchi , il comandante inglese Amherst inviò un’armata di 1700 uomini a sterminare per sempre i Cherokee. Durante l’avanzata iniziale gli inglesi distrussero quattro villaggi Indiani, uccidendo tutti gli abitanti. Di fronte al rifiuto degli Indiani di arrendersi, le forze britanniche proseguirono l’avanzata ma vennero fermati nei pressi del villaggio indiano di Etchoe, nel quale riuscirono a penetrare solamente dopo aver subito pesanti perdite e poco dopo si ritirarono. La nuova avanzata inglese del 1761 fu però decisiva per le sorti del conflitto. Amherst, che ora disponeva di molti uomini in seguito alla resa della Francia, respinse ogni proposta di pace del capo Attakullakulla e formò un’armata di 2800 uomini che penetrò come un coltello nel paese dei Cherokee, malgrado l’accanita difesa di questi ultimi, che furono costretti a ritirarsi sulle montagne più alte. Gli inglesi devastarono ogni cosa radendo al suolo ogni costruzione e distruggendo ogni forma di coltivazione. I Cherokee, colpiti da una durissima carestia, morirono in massa e i pochissimi sopravvissuti dovettero chiedere una pace che costò loro altri milioni di kilometri quadrati di territorio.
La terza fase (1763-1840), dopo la scomparsa della presenza francese, vede dunque l’espansione delle colonie britanniche, ormai incontrastate. Per evitare ulteriori contrasti con queste ultime, il re britannico dichiarò la catena degli Allegheny e il corso dell’Ohio confine perpetuo tra coloni e nativi, ma la trasgressione di qualsiasi forma di accordo o trattato del genere diventò col tempo una costante della storia nordamericana. Da questo momento in poi tale consuetudine si ripete tragicamente seguendo questo ciclo: i coloni si spingono sempre più ad Ovest alla conquista di nuove terre e nuovi profitti costruendo forti e imponendosi con la forza sui nativi. Questi ultimi reagiscono attaccando i coloni che si ritirano lasciando il campo a forze armate regolari. Dopo uno scontro, sempre impari, gli Indiani vengono cacciati, uccisi, privati di ogni forma di sostentamento e costretti alla firma di un trattato in cui sono costretti a cedere vasti territori. Dopodiché, i coloni avanzano di nuovo ripetendo tutto da capo.
L’episodio che aprì questa fase fu la famosa rivolta di Pontiac, capo degli Ottawa. Di fronte alla prepotenza dei colonialisti britannici, molto più avidi di terre dei loro predecessori francesi, questo capo mise in campo il progetto di un’unione di tutte le tribù del Nord-Ovest contro gli inglesi. Egli riuscì di fatto ad unire 12 nazioni indiane (Chippewa, Ottawa, Delaware, Shawnee, Fox, Kickapoo, Miami, Potawatomi, Menomini, Irochesi, Seneca,Mingo e Huroni) per un totale di 10.000 guerrieri, con lo scopo di cacciare i coloni ad est della catena degli Allegheny. Nei mesi di maggio e giugno del 1763,vere e proprie armate di guerrieri Indiani assaltarono tutte le principali fortificazioni della zona. In questi combattimenti trovarono la morte 2000 coloni e altri 20.000 si ritirarono ad Est. La contr-offensiva inglese iniziò nel luglio del 1763. Al comando dell’armata britannica c’era ancora il generale Jeffrey Amherst, sempre più crudele e privo di remore. Fu dato ordine di diffondere il vaiolo tra i nativi, definiti, sempre per bocca di Amherst: “Non un nemico, ma la razza più vile che abbia mai contaminato la Terra, la cui eliminazione va considerata come un atto di liberazione a vantaggio dell’umanità”.
L’armata inglese rioccupò prima Detroit e poi cercò di fare lo stesso con Fort Pitt. Dopo una violentissima battaglia nei pressi della località in cui morirono 110 inglesi e 60 Indiani, questi ultimi furono costretti a ritirarsi e Fort Pitt tornò in mano agli Inglesi. Dopo altre violente battaglie, nel settembre del 1763, gli Inglesi prepararono una enorme spedizione per reprimere una volta per tutte la rivolta. Del resto anche i seguaci di Pontiac erano sempre più logorati e sfiduciati. Molti dei suoi seguaci lo abbandonarono firmando paci separate con gli inglesi. Rimasto con pochi fedeli, anche Pontiac capitolò nel 1766.
Nonostante la sconfitta tuttavia, Pontiac aveva fatto capire alle nazioni Indiane quanto l’unità contro il comune nemico fosse importante per una resistenza meglio organizzata agli invasori. Nel 1773 scoppiava la guerra d’Indipendenza americana, che coinvolse in modo evidente gli Indiani. Infatti il governo britannico era propenso alla conservazione della pace in America, imponendo di rispettare i diritti dei nativi sul proprio territorio, limitando di fatto la spinta espansionistica delle colonie. Visto che sia l’esercito continentale di George Washington, sia le forze degli inglesi lealisti erano esigue, entrambe le parti cercarono ipocritamente ed in ogni modo di ingraziarsi gli Indiani spingendoli ciascuno a scegliere la propria parte. Timorosi di ritrovarsi da soli contro l’avidità dei colonizzatori, la maggior parte scelse, suo malgrado, di parteggiare per i lealisti. Coloro che misero in campo la più grande forza a questo scopo furono gli Irochesi, che erano ancora la nazione indiana più potente. Sotto la guida del loro capo Joseph Brant (così chiamato per via del padre adottivo di origine inglese, ma il cui vero nome era Thayendanegea) avrebbero portato avanti una lotta sanguinolenta contro i coloni di Washington. Per alcuni anni lo scontro si mantenne alla pari tra le due fazioni, ma la sconfitta del generale inglese Burgoyne a Saratoga il 17 Ottobre del 1777 segnò per gli Irochesi l’inizio della fine della loro potenza. Nel 1779 Washington mandò contro di loro un’armata di 4600 uomini al comando del generale Sullivan con l’ordine preciso di invadere il territorio irochese, bruciare tutti i villaggi e catturare tutti gli Indiani che avrebbe incontrato, senza distinzioni di sorta, abbattendo chiunque accennasse ad un tentativo di resistenza. Contro di loro Brant opponeva 1000 guerrieri Indiani aiutato da 500 inglesi. Di fronte ad uno squilibrio di forze così grande, l’esito era scontato. Malgrado un’eroica resistenza, gran parte della terra degli Irochesi venne invasa: 50 villaggi furono totalmente rasi al suolo e tutte le derrate alimentari, le coltivazioni e il bestiame distrutti. Durante questa spedizione Sullivan uccise o catturò ben pochi Indiani, poiché questi si erano ritirati dopo l’esito disastroso dei primi scontri, ma a decimarli furono freddo, fame ed epidemie di varia natura. Nonostante questo colpo durissimo, gli Irochesi non si piegarono e reagirono nella primavera successiva, dopo avere riunito 1500 guerrieri che attaccarono la vallata dello Schoharie, distruggendo tutti i forti statunitensi ad eccezione di uno: fu però un successo di breve durata, perché già nel 1781, l’esercito contrattaccò scacciandoli e respingendoli fino ad Oswego. Dopo la sconfitta inglese del 1783, gli Irochesi si divisero: alcuni seguirono Brant in Canada, dove ottennero delle terre su cui oggi vivono ancora i loro discendenti, mentre altri rimasero negli Stati Uniti. Questi ultimi vennero completamente spogliati dei loro beni e confinati in piccole riserve.
Un altro episodio che merita di essere citato è l’eccidio del 1782 contro una comunità di Indiani della tribù dei Delaware, convertiti al cristianesimo e assolutamente pacifici. Costoro, entrati in contatto con i frati moravi, vivevano in due villaggi sul fiume Muskingum, e paradossalmente fu proprio la loro sostanziale neutralità a segnarne la sorte, poiché gli americani trovavano più facile colpire degli inermi che dei guerrieri. Nel marzo di quell’anno il comandante americano di Fort Pitt, Irvine diede ordine di distruggere i villaggi. I rastrellamenti provocarono la scomparsa di 62 adulti e 34 bambini. Si decise poi di ucciderli tutti: solo due bambini fintisi morti, riuscirono a scampare al massacro coloniale. Il compito infame fu portato a termine dal colonnello Crawford impegnato a massacrare un gruppo di Delaware, che aveva cercando scampo su un isola del fiume Allegheny. Il risultato di questa barbarie fu che i Delaware, che avevano fino ad allora combattuto a fianco dei continentali, ripresero le ostilità contro questi ultimi. Una colonna statunitense comandata da Crawford, composta di 480 soldati, inviata a distruggere quanto restava dei Delaware e degli Huroni venne attaccata nei pressi di Sandusky: circa 180 soldati, tra cui lo stesso Crawford, persero la vita nell’assalto. I Delaware, vittime della sete di potere dei colonizzatori, per il momento avevano avuto giustizia.
Intanto i coloni, che si erano scrollati di dosso l’ostacolo della madrepatria, potevano scatenare la loro avanzata criminale verso i territori del nord-ovest, strappandoli alle tribù indiane che vi vivevano da sempre. Inizialmente l’avanzata statunitense incontrò una resistenza durissima da parte di tutte le tribù della zona che, consapevoli del pericolo mortale che correvano, erano decise a non cedere la loro amata terra di fronte all’arroganza dei conquistatori: dal 1783 al 1790 ben 1500 colonizzatori furono uccisi o catturati dagli Indiani e molti di questi attacchi erano condotti dal capo della tribù dei Miami, Little Turtle, uno dei più grandi di tutti i tempi. Contro le tribù da lui riunite, i comandanti statunitensi inviarono delle spedizioni imponenti, ma non ottennero il successo sperato: la prima, al comando del generale Harmar, ritornò alla base con un bilancio di 183 morti e 31 feriti, mentre al suo successore, il generale Saint-Clair, andò ancora peggio. Quest’ultimo affrontò gli Indiani di Little Turtle in un’epica battaglia sul fiume Wabash, avvenuta il 4 novembre 1791, e si rivelò la più grande vittoria indiana di tutti i tempi: le truppe di Saint-Clair lasciarono sul campo 637 caduti e rientrarono alla base con 263 feriti. Galvanizzata da questo successo, la coalizione di Little Turtle decise a contrattaccare per espellere definitivamente i colonizzatori dal loro territorio e in questo caso commise l’unico, ma purtroppo fatale errore della sua vita, attaccando Fort Recovery e ignorando che fosse difeso da cannoni, così subendo una dura sconfitta. I bianchi ne approfittarono per scendere a patti con i capi delle singole tribù che componevano le forze di Little Turtle, firmando delle paci separate. Rimasto solo alla testa sella tribù dei Miami, Little Turtle propese anch’egli per la firma di un trattato, ma, dietro le pressioni degli inglesi del Canada che predicavano ad ogni costo l’eliminazione, alcuni suoi seguaci lo deposero e lo sostituirono con Turkey Foot, che si ostinò in una vana resistenza, venendo definitivamente sconfitto negli scontri successivi con le truppe del generale Wayne. La pace firmata a Fort Greenville nel 1795 assegnò “per sempre” agli Indiani le terre al di là del fiume Ohio. In realtà l’espressione “per sempre” avrebbe assunto il triste significato di “50 anni”.

CONTINUA…

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