domenica 25 luglio 2010

Un mondo di professionisti che non servono a nulla






LA FAMIGLIA E I SUOI NEMICI(7) I PROFESSIONISTI DEL BISOGNO di Ivan Illich

(Da: AA. VV, Esperti di troppo, Erickson 2008)
Un modo per chiudere un’ epoca è quella di attribuirle un nome che rimanga impresso. Propongo di chiamare la seconda metà del Ventesimo secolo l’ «Era delle Professioni Disabilitanti»: un’ epoca nella quale le persone avevano dei «problemi», gli esperti possedevano delle «soluzioni» e gli scienziati misuravano realtà sfuggenti quali le «abilità» e i «bisogni». Quest’ era volge ora al termine, proprio come si può dire che sta già terminando l’era degli sprechi energetici. Le illusioni alla base di entrambe queste epoche risultano sempre più chiare a tutti, tuttavia non è ancora stata presa nessuna contromisura da parte delle istituzioni. L’accettazione acritica da parte della gente dell’onniscienza e dell’onnipotenza dei professionisti può sfociare in dottrine politiche autoritarie (con possibili nuove forme di fascismo) o in un’ulteriore esplosione di follie neoprometeiche ma essenzialmente effimere. (…)
Per vedere chiaramente il presente, immaginiamo i bambini del futuro che tra breve giocheranno fra le rovine degli edifici scolastici, degli aeroporti e degli ospedali. In questi moderni castelli, trasformati in cattedrali costruite per proteggerci dall’ignoranza, dal disagio, dal dolore e dalla morte, i bambini di domani riprodurranno, nei loro giochi, le illusioni della nostra «Era delle Professioni», come negli antichi castelli e nelle antiche cattedrali noi, oggi, ricostruiamo le crociate dei cavalieri contro i peccatori o contro i Turchi nell’«Era della Fede». I bambini nei loro giochi mescoleranno il gergo televisivo che ora inquina il nostro linguaggio con arcaismi ereditati dal medioevo o dai western. Li vedo rivolgersi l’un l’altro chiamandosi «presidente» e «segretario» piuttosto che «capo» e «signore». Già adesso qualche adulto ha la delicatezza di arrossire quando infila nel suo inglese manageriale termini quali «policy-making», «social planning» e «problem-solving».
L’Era delle Professioni sarà ricordata come l’epoca nella quale dei politici un po’ rimbambiti, in nome degli elettori, guidati da professori, affidavano ai tecnocrati il potere di legiferare sui bisogni; rinunciavano di fatto al potere di decidere in merito alle esigenze della gente diventando succubi delle oligarchie monopolistiche che imponevano gli strumenti con i quali tali esigenze dovevano essere soddisfatte. Sarà ricordata come l’Era della Scolarizzazione, in cui alle persone per un terzo della loro vita venivano imposti i bisogni di apprendimento ed erano addestrate ad accumulare ulteriori bisogni, cosicché, per gli altri due terzi della loro vita, divenivano clienti di prestigiosi «pusher» che forgiavano le loro abitudini. Sarà ricordata come l’era nella quale dedicarsi a viaggi ricreativi significava andare in giro intruppati a guardare la gente con l’aria imbambolata, e fare l’amore significava adattarsi ai ruoli sessuali indicati da sessuologi come Masters e Johnson e i loro vari allievi; l’epoca in cui le opinioni delle persone erano una replica dell’ultimo talk-show televisivo serale e alle elezioni il loro voto serviva a premiare imbonitori e venditori perché potessero fare meglio i comodi propri.
Gli studenti futuri saranno altrettanto confusi nel dover determinare le differenze tra istituzioni di ispirazione socialista e quelle capitaliste, al pari degli studenti di oggi quando sono chiamati a chiarire le pretese differenze tra le diverse sette per la Riforma cristiana dei secoli passati. Scopriranno che gli studiosi professionisti, o i chirurghi o i progettisti di supermercati nei Paesi poveri e/o socialisti, verso la fine di ogni decennio, utilizzavano gli stessi dati, gli stessi strumenti, costruivano gli stessi edifici dei loro colleghi dei Paesi ricchi, che però l’avevano già fatto all’inizio dello stesso decennio. Gli archeologi suddivideranno le ere della nostra generazione non attraverso i frammenti di vasellame, ma grazie alle mode professionali, riflesse nelle tendenze aggiornate delle pubblicazioni ONU.
Sarebbe pretenzioso voler predire se questa era, nella quale i bisogni vengono modellati da progetti di professionisti, sarà ricordata con un sorriso o con un’imprecazione. Io mi auguro, naturalmente, che essa venga ricordata per quello che è: un periodo buio nel quale il padre di famiglia si dava a spese pazze, dissipava tutti i risparmi e obbligava poi i figli a ricominciare da zero. Molto più probabilmente, purtroppo, verrà ricordata come l’epoca nella quale un’intera generazione se ne andò alla ricerca frenetica di un benessere che impoverisce, dove tutte le libertà umane furono svendute; un’ epoca che, dopo aver impostato ogni politica pubblica sulle lamentele organizzate degli utenti del welfàre state, si è finalmente estinta in un totalitarismo bonario.
Io ritengo inevitabile questo declino della nostra epoca verso un tecno-fascismo, a meno che delle forze più fresche non riescano a reagire sul serio, non limitandosi a sostenere un nuovo mistificante professionalismo pseudo radicale, bensì perorando uno scetticismo integrale verso gli esperti, specialmente nella loro presunzione di fare diagnosi e imporre prescrizioni. Dal momento che è la tecnologia ad essere chiamata in causa per il degrado ambientale, una vera critica sociale dovrebbe sostenere che gli ingegneri si dedichino allo studio della biologia.
Finché gli scandali ospedalieri verranno imputati a singoli medici avidi o a infermieri negligenti, il problema se in linea di principio un paziente possa trarre vantaggio dall’ ospedalizzazione non verrà mai posto. Fintanto che è il puro e semplice profitto capitalista ad essere messo sotto accusa come causa delle disuguaglianze economiche, la standardizzazione e la concentrazione delle industrie – che è causa strutturale di ogni disuguaglianza – non verrà mai presa in considerazione ed eliminata.
Solo se comprendiamo il modo in cui la dipendenza dalle merci ha legittimato le domande, le ha trasformate in bisogni urgenti ed esasperati mentre contemporaneamente ha distrutto la capacità delle persone di provvedere da se stesse, noi potremmo evitare di avanzare verso una nuova epoca buia nella quale una autoindulgenza edonista sarà scambiata per la forma più alta di indipendenza.
Soltanto se la nostra cultura, già così intensamente mercificata, verrà sistematicamente messa di fronte alla sorgente profonda di tutte le sue connnaturate frustrazioni, potremo sperare di interrompere l’attuale perversione della ricerca scientifica, le sempre più forti preoccupazioni ecologiche e la stessa lotta di classe. Al momento presente queste istanze sono principalmente al servizio di una crescente schiavitù degli individui nei confronti delle merci.
Il ritorno a un’ era di politica partecipativa, nella quale i bisogni siano definiti dal consenso comune, è impedito da un ostacolo tanto fragile quanto non considerato: il ruolo che elite professionali sempre nuove giocano nel legittimare quella sorta di religione mondiale che promuove la cupidigia che impoverisce. (…)

Consideriamo prima di tutto questo dato di fatto: che le corporazioni di specialisti che ora controllano i processi di creazione, attribuzione e implementazione dei bisogni rappresentano un nuovo tipo di oligopolio. Sono radicate più profondamente di una burocrazia bizantina; più internazionali di una chiesa universale; più stabili di qualsiasi sindacato; dotate di più competenze che uno sciamano; con una presa ferma sopra le loro vittime più di qualsiasi mafia.
I nuovi specialisti organizzati, tuttavia, devono essere attentamente distinti dai gangster. (…) Questi ultimi, in realtà, semplicemente monopolizzano per il proprio profitto un bisogno di base, controllandone gli approvvigionamenti. Oggigiorno invece vediamo che i nuovi specialisti, soprattutto i medici e gli operatori sociali – come in precedenza facevano soltanto i sacerdoti e i giuristi – acquisiscono il potere legale di creare il bisogno, che, in base alla legge, essi soli hanno poi il potere di soddisfare. A differenza delle proofessioni liberali di ieri che erano al servizio dei ricchi mercanti, le odierne professioni dominanti rivendicano il controllo sopra i bisogni umani tout court. Trasformano lo Stato moderno in una holding che ha lo scopo di facilitare le proprie imprese nell’esercizio delle loro competenze autocertificate che sono quelle di assegnare uguali bisogni ai cittadini/clienti, da soddisfare solo in un gioco a somma zero.
Il controllo sul lavoro non è una novità di oggi. Il professionalismo è una delle molte forme assunte dal controllo del lavoro nel corso della storia. Nei tempi andati, i soldati di ventura si rifiutavano di combattere fino a quando non avevano ottenuto licenza di saccheggio. Lisistrata organizzò la proprietà del corpo femminile per costringere alla pace, pena il rifiuto del sesso. I medici di Cos promettevano con giuramento di trasmettere il segreto del mestiere solo ai propri figli. Le gilde fissavano il curriculum, le preghiere, le prove, i pellegrinaggi e gli scherzi attraverso cui gli Hans Sachs di allora dovevano passare prima che fosse loro permesso di calzare i concittadini borghesi.
Nei paesi capitalisti, i sindacati cercano di controllare chi lavorerà, per quante ore e per quale salario minimo. Tutte le corporazioni sono tentativi compiuti da coloro che vendono il loro lavoro di determinare come il lavoro sarà svolto e da chi. Anche le professioni fanno tutto questo, ma vanno oltre: decidono che cosa sarà fatto, per chi e in che modo le loro decisioni dovranno essere applicate. Rivendicano un’ autorità speciale, tacita, di deeterminare non solo il modo in cui devono essere fatte le cose, ma anche il motivo per il quale i loro servizi sono obbligatori. Molte professioni sono ora così altamente sviluppate che esse non soltanto esercitano la tutela sui “cittadini-divenuti-clienti», ma determinano anche la forma di questo loro «mondo- messo-sotto- tutela».
Esiste un’ulteriore distinzione tra il potere professionale e quello delle altre occupazioni. La sua autorità deriva da una fonte differente. Una gilda, un sindacato o una gang obbligano al rispetto dei propri interessi e dei propri diritti mediante lo sciopero, il ricatto o la violenza esplicita. Una professione, invece, al pari del sacerdozio, detiene il potere per concessione di una élite della quale sostiene i relativi interessi. Così come il sacerdozio si occupa della salvezza eterna, una professione rivendica la legittimazione a interpretare, proteggere e a servire qualche speciale (mondano questa volta) interesse della popolazione intera. Questo tipo di potere professionale esiste soltanto in quelle società nelle quali la stessa appartenenza alle élite è legittimata o acquisita in base allo status professionale. Il potere professionale è una forma specializzata del «privilegio di prescrivere». È questo potere di prescrizione il vero controllo nello stato industriale. Il potere delle professioni sul lavoro dei propri membri è quindi diverso da tutti gli altri e nuovo tanto in relazione agli scopi che alla sua origine.
I mercanti vendono le merci che hanno accumulato. I membri delle corporazioni garantiscono la qualità. Alcuni artigiani adattano il loro prodotto alle esigenze e ai gusti del cliente. I professionisti vi dicono invece ciò di cui avete bisogno e rivendicano il potere di prescrivere. Non vi propongono solo ciò che è buono, ma vi ordinano di fatto ciò che è giusto. Non è il livello del reddito, la lunga formazione, i compiti delicati e nemmeno la posizione sociale che contraddistingue il professionista. È piuttosto la sua autorità a definire una persona come cliente, a decidere di che cosa questa ha bisogno e nel fornirle una prescrizione.
Questa autorità professionale comprende tre ruoli: l’autorità sapienziale del consigliare, istruire e dirigere; l’autorità morale che rende non solo utile ma obbligatorio quanto prescritto; e l’autorità carismatica che permette al professionista di appellarsi a qualche interesse superiore del suo cliente che non solo travalica la coscienza individuale ma talvolta anche la ragion di stato. Per esempio, il «medico generico» è divenuto il «dottore» quando ha lasciato il commercio delle medicine al farmacista e ha tenuto per sé quello delle ricette. È divenuto uno «scienziato della salute» quando la sua corporazione ha avocato a sé tutte queste autorità e ha cominciato a trattare con «casi» anziché con «persone», ritrovandosi, quindi, a tutelare gli interessi della società invece che quelli dell’individuo.
Le «autorità» che, durante l’era liberale, erano fuse nel singolo operatore nell’atto del singolo trattamento, sono ora legittimate attraverso la corporazione professionale. Questa entità formale si costruisce una propria missione sociale.
È un fatto che soltanto (…) la medicina si è trasformata da una «professione liberale» a una «professione dominante», ottenendo appunto il potere di decidere che cosa costituisce un bisogno sanitario per «gli individui in genere». Gli specialisti sanitari in quanto corporazione hanno acquisito l’autorità di determinare quale assistenza sanitaria debba essere erogata nella società. Non è più un singolo professsionista che «imputa un bisogno» a un singolo cliente entro una singola relazione terapeutica, ma un organismo corporativo che «imputa a un’intera collettività» i propri bisogni. La corporazione medica rivendica il potere di sottoporre a diagnosi l’intera popolazione al fine di identificare tutti coloro che potrebbero essere dei clienti potenziali.
La differenza tra artigiani, professioni liberali e i nuovi tecnocrati può essere chiarita mettendo in evidenza come tipicamente si reagisce di fronte a coloro che trascurano di seguire il parere che è stato dato loro. Se non seguo il consiglio dell’ artigiano, sono uno sciocco. Se non seguo quello del professionista liberale sono un masochista. Ora, invece, se tento di sfuggire al chirurgo o allo strizzacervelli che hanno deciso per me, posso addirittura aspettarmi di essere raggiunto dal braccio armato della legge.
Rispetto al mercante-artigiano o al consulente esperto, il professionista si è trasformato in un crociato e in un filantropo inquisitore. Egli sa in che modo devono essere allevati i bambini, quali studenti devono o meno proseguire negli studi e quali droghe si possono o meno ingerire. Da un tutor che vi guidava e sorvegliava mentre voi stessi mandavate a memoria la lezione, l’insegnante si è trasformato in un educatore il cui status giuridico lo autorizza a una crociata moralizzatrice che gli permette di inserirsi fra voi e qualsiasi cosa vogliate studiare. Gli stessi accalappiacani di Chicago sono oggi divenuti esperti pubblici di controllo canino.
I professionisti rivendicano il possesso di conoscenze segrete sulla natura umana, conoscenze che soltanto loro hanno il diritto di dispensare. Esigono un monopolio sulla definizione di devianza e sui rimedi necessari. Per esempio, gli avvocati sostengono che essi soltanto hanno la competenza e il diritto legale di fornire assistenza in caso di divorzio. I becchini diventano membri di una professione mutando il loro nome in impresari di pompe funebri, questo attraverso il possesso di un titolo di studio o accrescendo lo status della loro attività nominando qualcuno di loro presidente del Lyon’s Club. Gli impresari di pompe funebri si trasformano in «professionisti» quando ottengono il potere di richiedere l’intervento della polizia per impedire la sepoltura di una salma che non sia stata imbalsamata e messa nella bara presso di loro.
In ogni ambito in cui possa essere immaginato un bisogno umano, queste nuove professioni, dominanti, autoritarie, monopolizzatrici, legalizzate – e, nello stesso tempo, disabilitanti – sono divenute le depositarie esclusive del bene pubblico.

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