mercoledì 29 luglio 2009

Un reduce del Vigorelli,



5 luglio 1971 Velodromo Vigorelli disordini sopa tutto per la volontà di imporre una musica di un'altro stile e generazione(ma che verrà imposta attraverso mamma RAI): Gianni Morandi canterà prima dei Led Zeppelin. Per l'ottusità con cui si vuole far convivere la musica di Gianni Morandi e compagni del cantagiro si sfiora la tragedia, la mediocrità di un mondo musicale sepolto già prima degli anni settanta, ma che tuttora sopravvive imposto solo imposto.
.Lo spettacolo dei Led Zeppelin è infatti previsto al termine di una serata del Cantagiro in cui prima avrebbero dovuto suonare i concorrenti della manifestazione canora. Morandi doveva suonare prima, ma tutto sta sfuggendo e gli "insorti" assaltano il palco distruggendo tutto e Morandi se la da a gambe e scappa con il complesso, la polizia rincara la dose di lacrimogeni.
Si ritorna temporaneamente alla calma, ma i disordini fuori dal Vigorelli sono furiosi, ci sono quelli che non vogliono pagare il biglietto.
La polizia continua a lanciare lacrimogeni sopratutto fuori, ma anche dentro il velodromo
Entrano i Led Zeppelin e si arrangiano con degli amplificatori di fortuna, dato che gran parte della strumentazione è andata distrutta al grido di "via Morandi "Si comincia con Immigrant song, e poi Heartbreaker, Since I've Been Loving You, Black Dog, Dazed and Confused, ma gli scontri coinvolgono anche gli spettatori dentro il Vigorelli piovono lacrimogeni. A nulla valgono gli appelli alla calma lanciati dal palco e mentre l’aria si riempie di sassi e di candelotti lacrimogeni i Led Zeppelin sono costretti ad interrompere Whole Lotta Love. Perché non si eseguì Stairway To Heaven forse avrebbe placati gli animi.MORALE Dopo quarantanni Morandi è ancora in Rai con la sua musica a dir poco vomitevole, che non vuole nessuno e nessuno compera.
Eppure sguazza e tenta anche di far diventare cantante il figlio. MISERIE ITALIANE.
I Led Zeppelin hanno caratterizzato un'epoca, anche se la loro musica è ormai storia.
Ma Morandi è ancora li ospite o titolare di trasmissioni senza nessun senso, lontane dal pubblico fatte a tavolino per imbonire la gente e rincoglionirla.
La faccia da mummia la possiede, forse lo avranno imbalsamato, ma chissà?

martedì 28 luglio 2009

La bellezza salverà il mondo



Questo è l'esempio antico di una regina che venne trasposta a Divinità.
Una operazione magica, che attraverso l'estetica raffinatissima comporta un superamento dell'umano per arrivare al divino e così alla salvezza, uscendo dal tempo e dalla limitazione del terrestre.
Le due facce di Nefertiti - È considerato la «Monna Lisa» dell'antico Egitto questo ritratto di Nefertiti, pezzo forte del museo Altes di Berlino. Da un'indagine sull'opera è emerso che sotto al volto ne esiste un altro, in pietra, molto dettagliato e diverso da quello visibile in stucco. L'ipotesi degli studiosi è che agli artisti sia stato chiesto di correggere il volto della moglie del faraone Akhenaten, vissuta 3.300 anni fa. Ma il motivo della richiesta è per il momento uno dei tanti misteri che avvolgono la civiltà dell'antico Egitto (Reuters)

giovedì 16 luglio 2009

Il processo al cadavere di Papa Formoso



Piccola premessa:

IL TERMINE "PONTEFICE"

Il titolo di pontefice che attribuiamo al Papa non gli spetterebbe nè di diritto nè di fatto.

La parola "pontifex" era dai Rasena (gli Etruschi) usata per indicare una delle molte qualità dei loro Lucumoni, quella che si riferiva alla loro capacità di costruire ponti (presumibilmente tra gli umani e le divinità).

I Romani, sconfitti gli Etruschi, che come civiltà sembrarono sparire dalla Storia da un giorno all'altro, la fecero propria e l'attribuirono ai loro "sacerdoti".

Gli imperatori, quando decisero di essere "divini", ritennero opportuno che tale qualità dovesse riferirsi a loro medesimi e se ne appropriarono.

A questo punto, giocando sull'equivoco e sul falso palese costituito dalla cosiddetta "donazione di Costantino" (che peraltro mai si sognò di rinunciare al titolo di pontefice, massimo o minimo che fosse), i papi ritennero opportuno, per consolidare la loro superiore qualità imperiale, che permetteva loro di giustificare l'esercizio di un controllo sopra i vari regnanti sparsi, appropriarsi anche di questo titolo (solo quindi a fini di potere temporale) distorcendone quindi l'originario spiritualissimo significato.

- Fine della premessa -


Processo al cadavere e papato nel X secolo

Papa Formoso, processato post-mortem da Papa Stefano VI
Papato nel X secolo (saeculum obscurum)

Il periodo più buio nella storia del papato coincide con il periodo di circa 100 anni tra la fine del IX secolo (morte di Papa Stefano V nel 891) e la fine del X secolo (elezione di Papa Silvestro II nel 999). In questo periodo si susseguirono ben 28 papi e 3 antipapi, di scarsissimo peso storico e diversi dei quali furono scomunicati o morirono di morte violenta. L'elezione del pontefice si ridusse ad una lotta tra le fazioni filo-imperiali e nazionalistiche e furono perpetrate nefandezze di tutti i generi, dalle quali, spesso, gli stessi papi non erano estranei.

Si distinse, tra il 904 ed il 964, l'azione della famiglia del senatore romano Teofilatto, soprattutto quella delle dissolute donne della famiglia, la moglie Teodora e le figlie Teodora II e Marozia (e di seguito l'influenza del figlio di quest'ultima, Alberico), dando origine a quel periodo denominato "pornocrazia romana". Allo strapotere di Marozia viene fatto risalire l'origine più probabile della leggenda della "Papessa Giovanna", una donna, travestita da uomo, che sarebbe ascesa al seggio papale, salvo poi essere scoperta a causa di una gravidanza inopportuna: più semplicemente la leggenda era una metafora sull'influenza di Marozia, vera papessa in pectore, degli affari ecclesiastici.

L'elenco, secondo l'Annuario pontificio, è il seguente:

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Formoso (891-896)
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Bonifacio VI (896)
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Stefano VI (896-897)
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Romano (897)
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Teodoro II (897)
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Giovanni IX (898-900)
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Benedetto IV (900-903)
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Leone V (903)
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Cristoforo (antipapa) (903-904)
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Sergio III (904-911)
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Anastasio III (911-913)
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Landone (913-914)
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Giovanni X (914-928)
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Leone VI (928)
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Stefano VII (928-931)
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Giovanni IX (931-935)
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Leone VII (936-939)
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Stefano VIII (939-942)
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Marino II (942-946)
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Agapito II (946-955)
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Giovanni XII (955-964)
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Leone VIII (936-965)
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Benedetto V (964-966)
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Giovanni XIII (965-972)
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Benedetto VI (973-974)
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Bonifacio VII (antipapa) (974-985)
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Benedetto VII (974-983)
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Giovanni XIV (983-984)
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Giovanni XV (985-996)
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Gregorio V (996-999)
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Giovanni XVI (antipapa) (997-998)

I papi, che più si distinsero, in senso negativo, furono:

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Formoso, scomunicato ai tempi di Giovanni VIII (neppure lui uno stinco di santo!), banderuola tra le fazioni filo-imperiali e nazionalistiche, morto per avvelenamento.
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Stefano VI, promotore del cosiddetto processo al cadavere di Formoso (vedi più avanti) e strangolato in carcere.
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Sergio III, scomunicato da Giovanni IX, uomo totalmente privo di scrupoli, amante di Marozia e padre del futuro Papa Giovanni XI.
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Giovanni X, amante di Teodora, moglie di Teofilatto, soffocato da sicari di Marozia.
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Giovanni XI, figlio di Marozia e di Papa Sergio III, poi fantoccio nelle mani del fratellastro Alberico.
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Giovanni XII, figlio di Alberico, forse uno dei peggiori papi di tutti i tempi. Depravato, sempre circondato da prostitute e ragazzi di vita (uno dei quali fu da lui nominato cardinale!), disastroso in politica estera (spergiuro e voltagabbana), scialacquatore del tesoro pontificio, colpevole di omicidi e mutilazioni dei suoi avversari politici, finì la sua indegna vita, scaraventato fuori da una finestra dal marito della sua amante di turno, una tale Stefanetta.

Processo al cadavere (897)

Uno degli episodi più truculenti di questo periodo fu il famigerato processo al cadavere: Papa Formoso aveva cercato, durante il suo pontificato, di barcamenarsi in una difficilissima situazione tra il partito filo-imperiale di Berengario (re d'Italia 888-923 e imperatore 915-923) e quello nazionalistico di Guido da Spoleto (re d'Italia 889-894 e imperatore 891-894), ottenendo l'unico risultato di scontentare ambedue. In particolare il voltafaccia ai danni degli spoletini di Lamberto e Ageltrude, figlio e vedova di Guido, portò ad un macabro processo post-mortem a suo carico.

Nel Febbraio 897, dieci mesi dopo la morte per avvelenamento di Formoso, Papa Stefano VI, della fazione spoletina, ne fece dissotterrare la salma e imbastì un processo farsa, nel quale il cadavere di Formoso, vestito da papa, fu dichiarato colpevole per un cavillo (era stato eletto papa quando era già vescovo di Porto, cosa che le leggi ecclesiastiche dell'epoca non permettevano). Ovviamente la vera ragione era il rinnegamento della causa spoletina: Stefano fece condannare in eterno Formoso, mutilare le tre dita usate per benedire e spogliare il cadavere, gettandolo nel Tevere.

Comunque, per l'eterna legge che violenza chiama violenza, Stefano, pochi mesi dopo, in seguito ad un'insurrezione popolare, finì in carcere e, come si è detto precedentemente, fu strangolato.

Chartres



Che dire ammutoliti dalla bellezza e dalla "magia" di un edificio fuori dal tempo.
Un edificio che unisce il cristianesimo e il paganesimo indissolubilmente e solo la cattiveria e l'ignoranzxa umana tenta in maniera maldestra di separare.
Sappiamo che in questi luoghi esistono e sono ancora operativi gli DEI di ogni religione e di ogni credo convivono e sono eternamente legati affinchè l'uomo si evolvi e percorra il suo cammino verso la libera azione. L'essere ritrova se stesso le sue radici le sue immense e insondate profondità, ma sopratutto LA SUA ANIMA ESULTA!
Siamo immortali.


A.Merini(ma sono in cerca spudorata!);

Il suo sperma bevuto dalle mie labbra
era la comunione con la terra.
Bevevo con la mia magnifica
esultanza
guardando i suoi occhi neri
che fuggivano come gazzelle.
E mai coltre fu più calda e lontana
e mai fu più feroce
il piacere dentro la carne.
Ci spezzavamo in due
come il timone di una nave
che si era aperta per un lungo viaggio.
Avevamo con noi i viveri
per molti anni ancora
i baci e le speranze
e non credevamo più in Dio
perché eravamo felici.

mercoledì 15 luglio 2009

I sotterranei di Santa Maria dei Tribunali a Napoli

Risultati immagini per Santa Maria dei tribunali a napoli
                                 
Una chiesa per tutte: Santa Maria ai Tribunali con i suoi teschi che si intravedono già prima di entrare in chiesa come orpello a capo dei paletti che segnano il recinto che delinea il sagrato della chiesa.
Un tempo lontano le donne dei "bassi" portavano in quella cripta-ossario (da trentanni chiusa per nascondere la vera religiosità partenopea) le giovanissime vergini affinché dopo nottate insonni potessero dare i numeri miracolosi proprio estorti ai morti della cripta, dove riposano i resti di migliaia e migliaia di persone che la peste fece passare a miglior vita. Riti che circa trent'anni fa furono "debellati" dal cardinal Aloisio(continuatore della gens di Gennaro o januario)per paura o per amore, riti legati ai gnostici terapeuti coreuti d'Alessandria, che per millenni hanno convissuto con il cristianesimo della Nea Poleis. Ma alle Fontanelle esiste ancora il culto del "capitano" e le "scarrabattole" sono ancora presenti come un tempo segnavano nelle cripta di Santa Maria ai Tribunali anche il culto sotterraneo di Lucia.
Il de Martino socialista. comunista e condizionato dal cattolicesimo "democristriano" del dopoguerra, non indago mai quei antri, dato che in quei luoghi viveva ancora intatto il culto possente e PAGANO delle anime dei morti o i Pulcinelli.
Napoli Paradiso perduto di riti e di religioni cariche del grande sapere, centro del Mediterraneo. Napoli che sta nel ventre di una vacca non ha mai perso i suoi legami con le forze divine degli dei inferi e degli Dei Uranici fusi indissolubilmente.
Castel dell'Ovo è una navicella sempre pronta a sprofondare quando il fragile supporto, che lo sostiene viene a rompersi, e Partenope continua ad immolarsi per sostenere la Città affinché non sprofondi nel sottosuolo cavo da millenni.
Napoli sei un mistero e un miracolo pagano, dal tuo sottosuolo rinasci baciata del cielo.

martedì 14 luglio 2009


Questa mattina è morto Pio (Luigi) Quinto, un uomo complesso e un artista di grande capacità. Sempre in bilico in una esistenza inquieta,che inseguiva l'impossibile serenità. Teso alla ricerca di ciò che l'uomo aveva perduto, ma che poteva ritrovare. La morte è un mistero, apparentemente la chiusura che apre forse ad altre vite parallele. Il sogno finisce aprendo ad altri sogni più complessi e inconcepibili.
Siamo un nulla, ma un nulla che purtroppo pensa e si dimena nella materia che fermenta. La tua morte è un po' la mia.

domenica 5 luglio 2009

Il Dio Clitunno



Il Dio Clitumno - L. L. Rimbotti
A nord di Spoleto, alimentato da acque sorgive che scaturiscono da un lembo di terra ai piedi del monte Campello, scorre il fiume Clitumno. Ma non è solo uno spicchio di natura, se pure oggi risparmiato dalla volgare violenza della modernità. In realtà, si tratta di natura sacra. Anzi, il fiume stesso è un dio. È il caso tipico del genius loci, quando, cioè, in taluni luoghi naturali – un bosco, una fonte, un fiume, una grotta – il paganesimo credeva celarsi le energie misteriose della natura, geni e anime cosmiche che tutelano speciali rifugi del sacro.

Entità mistiche, spazi divini. Il fiume Clitumno fu oggetto di devozione forse per gli Etruschi, certamente per gli Umbri, una delle più fiere e compatte stirpi italiche. Il suo nome, da taluni creduto etrusco, viene considerato di origine umbra e alla fine sorto dalla corruzione di inclytus amnis, cioè “fiume insigne”. Esso rivela assonanze precise con altri toponimi della zona, come il famoso Ipogeo dei Volumni, non lontano da Perugia. In seguito, i Romani fecero del rivo un’emanazione del loro dio sovrano. E fu Giove Clitumno, Clitumnus Umbriae, ubi Juppiter eodem nomine est, come recita un’antica epigrafe: «Il dio Clitumno dell’Umbria, che è chiamato anche Giove».

Un arcaico dio umbro latinizzato, dunque, e da Roma assunto nel pantheon minore dei numi locali. Le acque, in antico spesso oggetto di divinizzazione, richiamano il simbolo della purezza, della virginea trasparenza. Esse sono la limpida sostanza da cui traluce l’ulteriore, il mondo delle vite invisibili. Come uno specchio, le acque nascondono mondi di arcana e inesplorata profondità metafisica. E le Fonti del Clitumno, in prossimità del borgo di Pissignano (piscina Jani, la polla di Giano), proprio accosto alla via Flaminia che corre verso Foligno, formano un laghetto di straordinaria suggestione. Qui, in questo recinto di muta bellezza, sopravvive certamente un dio ancestrale. Lo si sente con chiarezza. Chiunque abbia ancora vivo il senso religioso del nume avverte che non si è in un posto normale, ma in un concentrato tellurico di occulte energie. Tra salici piangenti, ombrose sinuosità, ponticelli e verdi isolette, in un’atmosfera di calma sospesa, davvero si percepisce la sostanza della fede pagana nella divinità della natura. Quel perduto rispetto che gli antichi avevano per la solennità di speciali posti, raccolti in magico silenzio. Le vene sorgive che danno vita a numerosi ruscelletti compiono il loro capolavoro nella meraviglia naturalistica delle Fonti: qui il Clitumno crea una fantastica oasi lacustre, circondata da filari di pioppi, da frassini, gelsi, cipressi. Una ricca vegetazione acquatica e la presenza del cigno nobilitano questo quadro d’altri tempi.

Ben conosciuto dai Romani, questo luogo di magica evocazione vide il sorgere, a poca distanza dalle Fonti, di un tempietto dedicato al dio Clitumno, ancora oggi visibile. Era la consacrazione. E i poeti latini non tardarono a cantare tanta armonia, tanta dolce e riparata suggestione. A cominciare da Virgilio che celebrò queste acque e i pascoli del luogo che davano nutrimento ai buoi da condurre al sacrificio. Properzio ribadì la leggenda, confermata dal naturalista Plinio, che le acque del Clitumno conferissero ulteriore candore al bianco mantello dei buoi che ad esse si abbeveravano. Molte voci cantarono la magia del luogo: da Stazio a Giovenale, fino a Claudiano che ne sancì la portata di lavacro atto a purificare la vittoria e i trionfi: «Le onde del Clitumno, sacre ai vincitori, che ai trionfi romani offrono candidi armenti». È Svetonio, inoltre, a raccontarci di come l’imperatore Caligola in persona consultasse l’oracolo del dio Clitumno, riportandone il verdetto di guardarsi dai nemici e di rinsaldare l’alleanza con il popolo germanico dei Batavi, a garanzia dei confini dell’Impero.

Questo umile luogo era pertanto per i Romani uno spazio di grande fascino, ma anche di occulta potenza ultraterrena, legata ad annunci di vittoria. Il nume era ritenuto divinità profetica, il dio Clitumno aveva fama di infallibile oracolo, le Feste Clitumnali si celebravano il primo di maggio presso il tempio delle Fonti, iscrizioni romane provano la rinomanza del dio e attorno alla polla sorsero tempietti e si alzarono simulacri rivestiti di toga pretesta bianca orlata di rosso, alla maniera etrusca. Ancora oggi, al Museo di Spoleto esiste un manufatto in argilla, risalente al VII secolo a.C., ritenuto esemplare arcaico di uno degli idoli che recavano l’effigie del dio Clitumno, una piccola testa dalla bocca dischiusa, in attitudine oracolare, che serviva a scopi rituali.

Scosso da vari terremoti nel corso dei secoli, il luogo non perse il suo potere incantatore. E fu anche visto come una di quelle rare plaghe in cui il mondo pagano legato alla natura si era ritirato dopo l’avvento del Cristianesimo. Lord Byron, nel corso del suo “grand tour” italiano, non mancò di soffermarvisi, cogliendone appieno il valore di intoccato misticismo. Nel suo Pellegrinaggio del giovane Aroldo celebrò la manifestazione del Genio della Natura, ancora ben visibile ai suoi occhi: «Ma tu, o Clitumno! Dalla tua dolcissima onda del più lucente cristallo che mai abbia offerto rifugio a ninfa fluviale…». Poeta pagano, Byron invitò ogni viandante a non oltrepassare, senza benedirlo, il Genio del Luogo. E uguale incantesimo riconobbe il Carducci quando, nel 1876, passò di qui in carrozza, e subito volle fermarsi, vedere, farsi spiegare. Quel geniale vate dell’Italia unita, nella quale vedeva l’erede naturale di Roma, non poteva non dire la sua parola su un tale vivente spaccato di arcaica paganità. E ne fece uno scrigno delle glorie delle nostre stirpi: «Salve, Umbria verde, e tu del puro fonte nume Clitumno! Sento in cuor l’antica patria e aleggiarmi su l’accesa fronte gl’itali iddii». Cantando il Clitumno come “testimone di tre imperi” e della lotta di Italici, Etruschi e Romani, il Carducci immaginò che, proprio partendo da un luogo simile, carico di fato, l’epica storia del nostro popolo sarebbe giunta sino ai «segni fieri di Roma». Roma nata dal cuore ancestrale della civiltà italica. Sarà stato anche massone, ma il Carducci colse con grandezza di poeta il fulcro di una vicenda che storici e antropologi sanciscono con la loro “scienza”. La nostra civiltà è sgorgata come limpida fonte dalle pieghe più intime della nostra terra e delle nostre genti più antiche. E il Clitumno, “nume indigete” e simbolo di autoctonìa, con le sue acque tranquille e sognanti, è in realtà un dio della terra che custodisce la nostra identità.

L’oracolo oggi è muto, ma noi vogliamo pensare alle Fonti del Clitumno come a ciò che furono in origine: un simbolo di purezza. Sarà certo l’ultimo, tra i luoghi che ancora proteggono la nostra identità, così antica, così sacra, ad essere contaminato dall’aggressione mondialista.


Luca Leonello Rimbotti

Una musica dell'anima


Il famoso canone di Pachelbel o Cannon in D, http://www.youtube.com/watch?v=v2GRHPM4hCI , opera musicale di una bellezza sconcertante che ha influenzato non solo il suo tempo ma tutto l'universo musicale a venire: molti motivi musicali si sono rifatti a questo vero e proprio canone e come ultima annovero Aphrodites Child Rain And Tears
http://www.youtube.com/watch?v=gtz5XTtbz4M musica della mia adolescenza che mi introdusse in un mondo magico e sconosciuto.
Lascia a Voi le considerazione e le emozioni infinite di un universo che si schiude in queste note. Ascoltatelo e riascoltatelo, fatevi riassorbire dall'armonia che ci pervade, una divinità che si avvicina al nostro essere attraverso le note altissime e celesti. Forze possenti agiscono intorno e dentro di noi.

sabato 4 luglio 2009

L'edificio che segna l'apoteosi del paganesimo durante il Rinascimento



All'esterno del Tempio sono presenti più sarcofagi predisposti da Sigismondo Malatesta, in uno di questi riposano i resti del grande filosofo: Gemisto Pletone
di Mistra (in Morea, Grecia).
Il sapiente era il continuatore della grandiosa scuola neoPlatonica alessandrina. Venuto in Italia invitato da Cosimo de Medici nel 1438 partì insieme all'imperatore Giovanni VIII Paleologo, in occasione del concilio di Ferrara e Firenze, durante il quale Pletone tenne delle lezioni nelle quali diffondeva gli insegnamenti platonici e neoplatonici, criticando aspramente i monoteismi cristiano e musulmano e auspicando la ripresa dell'antica religione ellenica. Le sue ossa furono raccolte e portate a Rimini da Sigismondo Pandolfo Malatesta e inumate in un'arca all'esterno del Tempio Malatestiano.

Il Tempio Malatestiano di Rimini, chiamato erroneamente chiesa è senza ombra di dubbio il Tempio pagano per eccellenza, uno dei più bei edifici sacri pagani giunti pressoché intatti fino ad oggi.
Riporto poche righe per sottolineare la superficialità con cui i cristiani si ostinano a chiamare chiesa un tempio dedicato agli dei, nella più totale confusione- sanno o non sanno quello che fanno?

Il mistero più grosso e più fitto lo riserva il più celebre monumento riminese: proprio quel Tempio Malatestiano che Cesare Brandi ha definito l'"emblema stesso" del laico e luminoso Rinascimento. La sera del 27 aprile 1462, nel solenne concistoro convocato da Pio II, l'avvocato fiscale Andrea Benzi rovesciava addosso a Sigismondo Pandolfo Malatesta, contumace, una valanga di accuse una più infamante dell'altra. Oltre a vari omicidi (inclusi un fratricidio e due uxoricidi), stragi, fabbricazione e spaccio di moneta falsa, stupro di un'ebrea di Pesaro, di una monaca di Volterra e di una pellegrina tedesca, incesto e sodomia ai danni del figlioletto e infrazione del digiuno quaresimale, al signore di Rimini era imputata la costruzione di un "tempio pagano" per officiarvi riti sacrilegi.

Beninteso la requisitoria commissionata da papa Piccolomini (autore, quand'era cardinale, di una delle più scollacciate commedie del Quattrocento) va presa con le pinze. Ma che nella decorazione del Tempio Malatestiano - fra insegne araldiche, maliziosi amorini, sibille, arti liberali e segni dello Zodiaco - ci sia poco o niente di sacro e molto, moltissimo di profano, salta agli occhi anche al turista in zoccoli, calzoncini e canottiera. A rafforzare i dubbi c'è poi un passo di un testimone al di sopra di ogni sospetto, l'intellettuale di corte Roberto Valturio, che accenna ai "simboli" sparsi nel Tempio, "tratti dai più occulti recessi della filosofia e altrettanto atti a dilettare i dotti quanto a permanere nascosti al volgo illetterato".
Quali "simboli"? Un severo studioso dell'Istituto Warburg, Charles Mitchell, ha sostenuto che il Tempio Malatestiano è un compendio marmoreo delle dottrine neoplatoniche ed ermetiche, una traduzione in pietra dei testi di Ermete Trismegisto, Giamblico e Macrobio, un trattato criptico di teologia solare. Ogni statua, bassorilievo, motivo decorativo nasconderebbe un significato segreto, noto solo agli "iniziati" della corte malatestiana. C'è chi si è spinto anche più in là e ha ipotizzato che nel Tempio si celebrassero misteriosi riti solari, sul tipo di quelli riesumati, in Grecia, da Giorgio Gemisto Pletone. Come che sia, è un fatto che nel 1464, a Mistra, Sigismondo violò proprio la tomba del Pletone e ne rapì le ossa, che fece poi tumulare nella terza arca del Tempio. Sembra che Fellini frequentasse questo luogo, gli era particolarmente caro Ermes, e che in sordina pregasse gli antichi Dei........