domenica 25 gennaio 2009



PREFAZIONE AL TESTO
Il cielo sopra di noi da sempre ci affascina nel chiarore flebile della sua immensità.
Sovrasta la nostra esistenza pressoché immutato nei millenni dei millenni.
In esso eternamente cerchiamo risposte sul nostro destino, propiziamo la nostra fortuna e cerchiamo inconsciamente il senso profondo della nostra vita.
Le stelle con la loro luminosità sembra ci indichino una via di salvezza, una maniera per liberarsi della pesantezza della materia, del terrestre per essere assorbiti dall’alto, dove tutte le religioni collocano le loro divinità.
Questo firmamento lo abbiamo rivisto splendidamente elaborato dall’arte bizantina e ci ha inquietato per la bellezza. Chi è entrato nell’incanto del cielo stellato di Galla Placidia ha ripensato a una notte stellata, si lascia la luce del giorno e si va oltre. Il luogo è stato costruito per ospitare un sepolcro autorevole, un mausoleo che non incute paura ma stordimento. Questo cielo trasposto dall’artificio umano trasmette nella misteriosa bellezza quello che non possiamo comprendere, quello che a noi è completamente sconosciuto o meglio celato. Mosaici sgargianti che incorruttibilmente parlano con i simboli, i colori, la raffigurazione di quello che perennemente è sopra di noi mortali.
Anche ad Aquileia abbiamo delle complesse rappresentazioni delle stelle fisse,nella parte conosciuta come l’Aula Nord, residuo della prima Basilica ubicata attorno all’attuale campanile. Pavimenti musivi della metà del secondo secolo d.C.,studiati e decifrati da Renato Jacumin, che nascondono concezioni teologiche complesse, un cristianesimo degli albori venuto direttamente da Alessandria d’Egitto, dove testi scritti in coopto trovano il loro riscontro, qui in terra veneta, come immagini di un cristianesimo gnostico.
Gli antichi Caldei osservarono il cielo(si passavano questa incombenza sacerdotale di padre i figlio) giorno dopo giorno, per secoli, dalle Ziggurat mesopotamiche con costanza e con rispetto. Annotavano sulle tavolette di argilla il moto degli astri, e senza conoscere la matematica complessa prevedevano le eclissi e le orbite delle rivoluzioni.


L’uomo odierno, purtroppo, sta perdendo il contatto con il cielo e con esso anche il patrimonio culturale accumulatosi nel corso dei millenni grazie allo studio del firmamento.
Culti astronomici e astrologici delle religioni stellari nati in Mesopotamia rimarranno come traccia indelebile passando anche alle religioni monoteistiche. Non a caso i vangeli riportano che la nascita del Cristo è annunciata da una stella che i Re Maghi inseguono per adorare e conoscere il nuovo Dio.
Retaggi di culti stellari.
Anche la teologia cristiana sarà influenzata dall’astrologia e un importante teologo e dottore della chiesa cosi scriveva:
“ La volontà può subire la mozione dei corpi celesti, nei limiti in cui subisce l'influsso degli oggetti esterni: poiché i corpi esterni, presentati dai sensi alla volontà, e gli organi stessi delle potenze sensitive, sono soggetti ai moti dei corpi celesti……I movimenti del corpo umano dipendono dal moto dei corpi celesti, per il fatto che la stessa disposizione degli organi al loro movimento deriva in qualche modo dall'influsso dei corpi celesti; e anche perché l'appetito sensitivo viene alterato dall'azione di quei corpi…...”
( San Tommaso d’Aquino, Summa Theologicae, Iª-IIae, q. 9, a. 5)

L’Islam riporta come proprio vessillo la luna crescente con una stella al centro, che rappresenta in realtà il pianeta Venere dai Romani chiamato Lucifero ovvero portatrice di luce, l’ultima che scompare all’alba, mentre con il nome vespero era denominata al suo comparire nell’ora del tramonto.
Questo pianeta scandisce,con la sua luce, le preghiere del mattino e quelle della sera presso la gran parte del monachesimo orientale ed occidentale.
Anche l’ebraismo è una religione lunare, che allinea il suo capodanno e le sue festività sul plenilunio e sul noviluneo.
Già l’uomo preistorico individua queste fonti di luce come punti fissi di riferimento, per non perdersi, nei suoi viaggi di terra e di mare. La fondazione stessa delle città era intimamente legata alle stelle, la liturgia della segnatura del pomerio,attuata con il vomere, implicava la volontà di attirare il cielo in terra e legare la nascente città alle forze celesti ed incorrotte.
Gli Assiro-Babilonesi prima gli Egizi poi, come i Greci e i Romani guardavano in alto per scorgere il Divino e l’astrologia si confondeva con l’astronomia, in un intreccio fra mito e scienza dove tutto era intimamente fuso: il pensiero magico con quello prammatico.
Alla metà del secolo scorso in seno all’astronomia si è specializzata una nuova scienza, l’Archeoastronomia, insegnata in varie università Italiane e del mondo. L’archeologia si avvale di questo sapere per ricomporre la posizione delle stelle nell’antichità come nelle ere arcaiche e scoprire così l’importanza dei riferimenti siderali sull’orientamento di centri urbani ed edifici religiosi.
Con il presente studio Adriano Gaspani svolge un’indagine precisa, condotta con strumenti adeguati e mirata a scoprire le origini storiche ed archeoastronomiche della città di Verona, riprendendo i luoghi, le pietre, i resti e confermando, peraltro, la tesi dell’allineamento della città sul solstizio d’estate. Da questo complesso lavoro le teorie di Umberto Grancelli trovano finalmente una loro verifica, e quelle che per anni sono state considerate bizzarrie, in realtà hanno ora un loro fondamento scientifico. In queste pagine si chiarisce, inoltre, la ben nota e controversa questione, mai chiarita fino ad ora, sulla esatta ubicazione del cardo e del decumano massimo nella città scaligera.
L’orientamento arcaico siderale di Verona ci è indicato dal monolito noto con il nome di “Piloton”, pietra posta alle spalle del Castello di Montorio, quale punto preciso di riferimento e di continuità della “vecchia”città di Verona nata sul monte Gallo (l’attuale Castel San Pietro) e della “nuova” città romana fatta sorgere dentro l’ansa protettrice dell’Adige.
Due poggi, che erano altrettante sedi di santuari e di osservatori celesti, Monte Pagano e Monte Pipaldolo, partecipano alla complessità dell’individuazione del primo impianto cittadino.
I Romani, che costruirono la città “nuova” dentro l’ansa dell’Adige, si allinearono con la loro razionalità sugli antichi punti di riferimento posizionando i propri monumenti, le opere urbane e i levigati marmi, nel rispetto delle antiche tracce.
Un patrimonio oltretutto mitico e simbolico che fa da cornice ad un insediamento urbano nato sotto due stelle opposte e luminose come Regolo, della costellazione del Leone, e Arturo, detto il guardiano dell’Orsa, della costellazione di Bootes. Questi due punti coincidono con l’alba del solstizio d’estate e il tramonto del solstizio d’inverno.

Adriano Gaspani non dimentica che l’universo è una creatura vivente, dove da sempre l’uomo ha proiettato le sue paure, ma ha anche riversato il sapere, la conoscenza e le osservazioni di piante, di forme geometriche, di animali, di acque, di mari e deserti, affinché quel cielo, con le sue costellazioni, sia la memoria eterna della conoscenza divinizzata di eroi e di Dei che in quei luoghi altissimi risiedono.
Attraverso il moto degli astri e conoscendone i precisi movimenti, si fissavano e si decidevano i momenti le ricorrenze festive, i giorni delle semine, i momenti degli amori e dei sacrifici; dalla rivoluzione della stella più vicina si determinava l’anno, scandito dai mesi, e l’umanità organizzava la propria vita seguendo il Cielo che segnava i tempi, la fine e l’inizio dei cicli.
Un cielo che abbiamo dimenticato di guardare, costretti nelle nostre metropoli caotiche ed inquinate da luci forvianti, correndo il rischio di perdere completamente l’orientamento e il ritmo del giorno e della notte.
Abbiamo vinto il buio, ma le paure si sono moltiplicate.
In questo caso l’archeoastronomia ci aiuta a comprendere la fondazione di un’importante e bellissima città unica al mondo, dove il Cielo ne è stato l’arcaico custode, condizionandone la sua nascita sulla terra.

Luigi Pellini

giovedì 15 gennaio 2009



Che meraviglia! Da vedere! Papaveri e fiordalisi

La fine dei Fiordalisi

Le origini del fiordaliso sono antichissime, alcuni fossili di questo fiore risalgono al neolitico. E’ soprannominato “erba degli incantesimi”.
Una leggenda racconta che la dea Flora, avendo ritrovato morto in un campo pieno di fiordalisi il corpo dell’amato Cyanus, volle chiamare quei fiori proprio con il suo nome. Il nome scientifico è, infatti, Centaurea cyanus. Centaurea deriva dal nome del centauro Chirone che, ferito al piede da una freccia avvelenata, si curò con il succo del fiore.
In Oriente, gli innamorati lo regalano all’amata nella speranza di ottenere la felicità da lei.
Nel linguaggio dei fiori significa felicità e leggerezza.
Questo fiore ormai è quasi estinto da quando gli erbicidi sono entrati di prepotenza nella pratica agricola a meta degli anni settanta. I campi di grano sono ora "puliti" di una pulizzia devastante. Sono i tempi che ormai segnano lo stravolgimento irreversibile.
L'uomo è malato dentro e nella mente, il colore dei campi di grano è cambiato, la mente è grigia e i pittori non usano più dipingere i campi coltivati.


Croci e sangue ovvero la scoperta del Nuovo Mondo di Salvator Dalì.
Il titolo è stato volutamente alterato, ma il dipinto è meraviglioso e inquetante,
la bellezza ci affascina e allo stesso tempo ci turba.


Paul Klee, Angelus Novus (The Israel Museum, Gerusalemme)

Angelus Novus, che di nuovo ha poco!

Walter Benjamin fece dell'Angelus Novus di Paul Klee il simbolo della sua filosofia della storia. Il piccolo acquerello sarà esposto per cinque giorni a Berna: un'occasione unica per vedere in Svizzera un'opera chiave nella storia della cultura del XX secolo.

«C'è un quadro di Klee che si intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi».
Così scriveva il filosofo Walter Benjamin